di Massimo Franco
Il sì della Corte di cassazione al referendum che taglia il numero dei parlamentari potrebbe essere un altro giro di chiave destinato a blindare la legislatura. La possibilità che vengano sciolte le Camere prima della sua celebrazione, probabilmente nella tarda primavera, in teoria da ieri appare ancora più ridotta. Dal Quirinale si è fatto capire da tempo che sarebbe inaccettabile andare alle urne con il sistema attuale, per poi andare alla consultazione referendaria: tanto più che la legge costituzionale è stata votata da uno schieramento larghissimo.
Il nuovo Parlamento nascerebbe delegittimato, se come è probabile vincesse il «sì» alla riduzione del numero di deputati e senatori: sebbene ci sia chi spera in un «pentimento» trasversale in extremis di alcuni dei partiti che hanno approvato la riforma. Forse perché si avvertono malumori in regioni che sarebbero penalizzate come rappresentanza: Umbria e Basilicata sono le più inquiete, soprattutto per quanto riguarda il Senato. Ma anche la Calabria passerebbe, secondo i calcoli che sono stati fatti, da dieci a sei senatori. E regioni come la Lombardia ne perderebbero diciotto.
A oggi, però, il percorso che porterà al referendum appare segnato. Il Centro Luigi Einaudi, che ne è stato il motore, spera che venga indetto tra marzo e aprile. E la sensazione è che nel governo si speri in un’accelerazione per stabilizzare la situazione in vista delle tensioni prevedibili dopo il voto regionale di domenica; e con un M5S in ebollizione anche dopo il passo indietro del capo politico, Luigi Di Maio. C’è chi accredita perfino una crisi del governo di Giuseppe Conte sulla scia di una sconfitta della sinistra in Emilia-Romagna.
Si tratta di uno scenario molto virtuale, anche se non può escludersi a priori. Tende a riflettere la speranza di una destra abile a sfruttare le debolezze e le divisioni della maggioranza tra M5S, Pd e Iv; obbligata a provare a scardinarla a ogni elezione locale, esasperando i toni; e ansiosa di ritornare in gioco per non rimanere all’opposizione per l’intera legislatura. In realtà, l’ossessione degli eletti è di scongiurare un ritorno alle urne che falcidierebbe le candidature e la loro possibilità di tornare in Parlamento.
Rimane la domanda sui motivi che hanno spinto la Lega di Matteo Salvini a «prestare» sei parlamentari al comitato referendario, per raggiungere il numero minimo delle firme richieste per chiedere la consultazione. Di Maio sostiene che «qualcuno farà di tutto per andare a votare prima e incassare un numero di parlamentari maggiore rispetto a quelli che vogliamo tagliare». Ma sembra una scommessa al buio contro la tenuta del governo in una situazione così conflittuale. Scommessa azzardata, nonostante tutto.