La corsa ai test rapidi perché ora l’Italia li adotta

di Michele Bocci
Come funzionano i test antigenici rapidi?
Il prelievo, spiega Paolo D’Ancona dell’Istituto superiore di sanità, avviene con un tampone, che può essere nasofaringeo oppure, meno di frequente, solo nasale. Sul campione viene ricercato l’antigene del coronavirus. Il test può essere fatto leggere da una “saponetta” di plastica, simile a quella usata per i test sierologici, da dei “Poct”, piccoli macchinari portatili, oppure in laboratorio. In tutti i casi la risposta si ottiene in 10-30 minuti.
Quanto sono utilizzati in Italia i test rapidi?
Ci sono Regioni, come il Veneto, che più o meno fanno ormai un numero di test di questo tipo simile a quello dei tamponi. Anche nel Lazio accade la stessa cosa: ogni giorno vengono fatti 15 mila tamponi molecolari e 15 mila antigenici, tra i quali si contano anche quelli effettuati presso i privati. Il test, a seconda della Regione, può essere usato per gli screening oppure per le diagnosi.
Da quando vengono usati i test antigenici rapidi in Italia?
Da Ferragosto. La prima Regione ad utilizzarli è stata sempre il Lazio, che ha iniziato negli aeroporti e successivamente ha allargato ai porti e alle scuole. All’inizio servivano come screening. Un po’ alla volta tutte le Regioni si sono unite.
Qual è la precisione di questi esami?
Come spiega l’Ecdc, lo European center for disease control, hanno normalmente una sensibilità inferiore rispetto ai test “tradizionali” cioè quelli molecolari che invece sono in grado di amplificare i frammenti del genoma del virus. Funzionano meglio quando la persona analizzata ha una carica virale alta. Il direttore sanitario dello Spallanzani di Roma Francesco Vaia spiega che quando c’è una positività con un’alta carica l’affidabilità è sovrapponibile a quella dei molecolari.
Quanto conta l’operatore?
Il suo ruolo è fondamentale, dice sempre Vaia. Come tutti gli esami, come ha appena dimostrato tra l’altro l’esito del tampone molecolare fatto dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, può dare falsi positivi e negativi. Per evitarli è importantissimo anche l’operatore, come è formato e quindi come effettua il prelievi.
Tutti i test antigenici calcolano la carica virale?
No, solo quelli definiti “quantitativi”. Ci sono poi quelli solo qualitativi, che sono in grado di dire soltanto se c’è o non c’è la positività. Questi esami sono meno affidabili.
Quanti esami di questo tipo sono in commercio in Italia?
A fronte di centinaia di test sviluppati nel mondo, in Italia ne sono stati autorizzati cinque o sei. Secondo l’Oms è necessario che abbiano almeno l’80% di sensibilità, cioè di capacità di diagnosticare il caso positivo, e il 97% di specificità, cioè capacità di identificare i soggetti negativi e quindi di avere un basso numero di falsi positivi.
Quando è meglio fare questi test?
Di nuovo l’Ecdc, suggerisce di usarli entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi o 7 giorni dall’esposizione, cioè del contatto a rischio. «Se il momento dell’esposizione non è noto, vanno realizzati il prima possibile», scrivono gli esperti del Centro europeo, anche se il risultato ovviamente non è ottimale.
A chi vengono fatti oggi?
Possono essere usati sia come screening su casi asintomatici che su casi sintomatici, spiega D’Ancona.
Bisogna però tenere conto delle loro caratteristiche. Se una persona ha la febbre o altri sintomi del Covid, fa il tampone rapido e risulta positiva, c’è un’altissima possibilità che lo sia davvero. Se invece viene negativa sarebbe meglio cercare la conferma del molecolare. Lo dice anche l’Ecdc: in una situazione di alta prevalenza della malattia come quella attuale da noi, se qualcuno ha i sintomi è meglio non fidarsi del risultato negativo. Se invece una persona è asintomatica e fa il test rapido, è meglio non fidarsi del risultato positivo e cercare una conferma con il molecolare.
Perché il ministero alla Salute ha deciso di fare una circolare?
Il 3 dicembre l’Ecdc ha modificato la definizione di caso, inserendo anche quello diagnosticato attraverso il test antigenico. «Questi esami possono contribuire ad aumentare la capacità di diagnosticare il Covid, offrendo vantaggi in termini di tempi e di costi, soprattutto quando la possibilità di fare test molecolari è limitata», scrivono gli esperti.
Come si usano oggi i test rapidi?
Sono esami che richiedono sempre la conferma con un tampone molecolare, nel caso venga trovata una positività.
Che novità introdurrà la circolare del ministero?
Dovrebbe semplificare quanto riportato nei tanti documenti sugli strumenti diagnostici. L’idea è di togliere l’obbligo di fare il tampone molecolare di conferma quando c’è un test rapido positivo, sia nei sintomatici che negli asintomatici (anche se sui secondi bisogna ancora valutare bene il da farsi). L’atto porterà al conteggio anche dei test rapidi, che finirebbero nel report quotidiano della Protezione civile.
L’aumento degli esami potrebbe provocare una riduzione della percentuale dei positivi rispetto ai test. La circolare dovrebbe anche mettere ordine sulla sorveglianza e la fine del periodo di malattia, anche se in quel caso cambierebbe le disposizioni di un decreto. Un problema di fonti legislative che deve essere risolto.
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