La Biennale e gli altri mostri delle mostre, marci fino al midollo.

 

Pubblichiamo alcuni stralci da ll ‘ ultimo libro di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione, ” Contro le mostre ” , Einaudi. ario Vargas Llosa ha dedicato alcune pagine de La civiltà dello spettacolo alla Biennale di Venezia. Per molto tempo, ha ricordato, la Biennale è stata una vetrina di prestigio, di modernità, di sperimentazione. Da qualche anno, accoglie ” molta più frode e imbroglio che serietà, che profondità ” . Ci offre uno spettacolo talvolta noioso, addirittura ” f a r s esco e desolato ” , rivelando, sotto la maschera della ricerca di nuovi mezzi espressivi, ” la terribile orfanità di idee, di cultura […], di abilità artigianale, di autenticità e di integrità che caratterizza buona parte dell ‘ attività artistica di oggi ” . A proposito di una delle ultime edizioni della kermesse veneziana, Vargas Llosa scrive: ” A nessuno dei quadri, delle sculture e degli oggetti che ho visto, nei venti padiglioni circa che avevo attraversato, avrei aperto le porte di casa mia ” . Certo, esistono alcune eccezioni. Che, tuttavia, non sempre emergono in maniera chiara e distinta: ” Perché, a differenza di quanto accade in letteratura, campo in cui non sono ancora crollati del tutto i codici estetici che permettono di identificare l ‘ originalità, […] la disinvoltura formale o la grossolanità e la frode, […] nel caso della pittura è il sistema che è marcio sino al midollo ” . no generalizzato per le opere d ‘ arte non ha nulla di artistico; è quello imposto da un mercato determinato da mafie di galleristi e marchands che non rivela gusto e sensibilità estetica, soltanto operazioni pubblicitarie, pubbliche relazioni e in molti casi semplici truffe ” . La confusione regna sovrana. A Venezia, è sempre piú difficile distinguere le aquile dai tacchini (per dirla con le parole di Hughes). I gruppi di potere che controllano il mercato dell ‘ arte lavorano insieme con tanti curatori conniventi, per sostenere opportunisti e imbroglioni. E, per legittimare momentanei prestigi, conferiscono ” lo statuto di artista a illusionisti che nascondono la propria pochezza e il proprio vuoto dietro i raggiri e la presunta sfrontatezza ” . Trionfano spropositi, bravate, scandali, frivolezze, aberrazioni, oscenità. Gesti privi di senso. Un vuoto edonismo. [ … ] Tutti vanno alle medesime mostre e alle medesime feste. Alloggiano negli stessi hotel, si recano negli stessi ristoranti. La cosa piú drammatica, come ha scritto Saltz, è che sovente hanno le medesime opinioni. Adottano comportamenti convenzionali, pur muovendosi in un ” ambiente che si vanta di pensare in modo indi pe nde nt e ” . Visitano le mostre non per vedere, ma per farsi vedere. Spesso, amano solo le inaugurazioni. Quei momenti in cui sei costretto a ” sfrecciare fuori dalla folla e a rientrarvi, riuscendo solo a intravedere brandelli di opere, salutando e dribblando le persone, sgomitando tra la calca, facendo lunghe code per stare sei minuti in un padiglione ” . Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a rassegne che hanno molti aspetti in comune con le fiere. Occasioni espositive che vogliono ” vetrinizza re ” le ultime trovate della ricerca artistica. I padiglioni nazionali sembrano sempre più stand fieristici. Anche il pubblico che va a Venezia o a Basilea è ormai il medesimo: mescolanza di addetti ai lavori e di curiosi, di figure interessate a comprare e a vendere e di col lezionisti rampanti, attratti dal boom delle quotazioni delle opere, combattuti tra investimenti oculati e gusto per l ‘ azzardo. Oggi una Biennale è diventata espressione sempre piú anche di interessi mercantili. Come una fiera (Basilea o Art Basel di Miami) ha precise valenze culturali. Ci si illude di essere dentro spazi dove trionfano libertà e mancanza di regole. Invece, ci si trova in regni i cui direttori (i curatori) agiscono come autocrati, che detengono un potere assoluto e lo esercitano in maniera addirittura autoritaria. [ … ] IL PIÙ IMPORTANTE libro sul fenomeno delle mostre nell ‘ età moderna e contemporanea ( The Ephemeral Museum , di Francis Haskell) si conclude con un capitolo intitolato alle ” Durevoli eredità ” di questi fenomeni, per loro natura transitori. Ebbene, la più durevole eredità della ” bienna lizzazione dell ‘ arte ” rischia di essere la mutazione genetica dei più importanti musei italiani. Nel 2015 il ministro Franceschini ha ottenuto dal governo Renzi una deroga alla norma per cui il presidente della Biennale non poteva superare i due mandati consecutivi. È così che l ‘ ingegner Paolo Baratta (tre volte ministro; cognato di Diana Bracco, la presidente di Expo: è piccolo il mondo delle grandi mostre italiane) ha potuto continuare a governare ciò che si è appena descritto. Nello stesso periodo, anche Baratta faceva qualcosa per Franceschini: accettava di presiedere la commissione di cinque persone (gli altri quattro erano due studiosi stranieri, una manager culturale e il braccio destro del ministro stesso) che avrebbe scelto i direttori dei venti cosiddetti supermusei individuati e isolati dalla ” riforma ” firmata dallo stesso Franceschini. Questa profonda riscrittura dell ‘ assetto di governo del patrimonio culturale pubblico italiano ruota intorno alla separazione radicale, e direi violenta, tra tutela e valorizzazione: la prima lasciata a soprintendenze in via di smantellamento, la seconda prospettata come unica mis sion dei musei. CIÒ DERIVA dalla convinzione che la valorizzazione non sia finalizzata all ‘ aumento della cultura (come invece vuole – recependo il dettato costituzionale e le sentenze della Corte costituzionale – il Codice dei Beni culturali) ma invece sia da intendere come messa a reddito del patrimonio. Da qui l ‘ idea di non occuparsi di luoghi improduttivi (implicitamente destinati all ‘ estinzio ne: gli archivi e le biblioteche), e quella di sfilare dal contesto i venti supermusei (sette di prima classe, tredici di seconda) su cui concentrare risorse e attenzione. Se, almeno, questi direttori-curatori incaricati della ” biennalizzazione ” dei musei fossero stati scelti in modo serio e trasparente, la riforma avrebbe segnato un punto sul campo. Ma così non è stato: al di là della propaganda governativa (e con il massimo rispetto delle persone dei vincitori) i risultati sono stati oggettivamente modesti. La ” grande levatura scientifica i n t e r n a z i o n a l e ” , sbandierata da Dario Franceschini sulla prima pagina di un ‘ Unità de cisamente post-gramsciana, era una balla colossale. Sono stati promossi a direttori di grandi, e a volte grandissimi, musei storici dell ‘ arte che erano curatori di sezioni di musei di secondo, o terzo, ordine: nemmeno uno dei nuovi nominati ha avuto esperienze lontanamente comparabili alle responsabilità che si è assunto in Italia.
La valorizzazione del patrimonio a r t i s t i co non è più f i n al i zza t a al l ‘ aumento del l a cultura , ma alla messa a reddito d el patrimonio.
Il Fatto Quotidiano
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