Alla Mansfield e ai suoi bellissimi ineguagliabili racconti, del resto, aveva reso omaggio Virginia Woolf in modo inequivocabile, confessando: “Ero gelosa di come scriveva. L’unico modo di scrivere di cui fossi mai stata gelosa”.

Il Journal di Kathleen Beauchamp, questo il vero nome della grande narratrice neozelandese morta a 34 anni di tubercolosi, ritorna finalmente dopo tanto tempo in una versione italiana accurata, grazie alla nuova traduzione di Serena Trisoglio. Il volume dei Diari 1910-1922 è appena uscito per la Biblioteca del Vascello-Robin, con un saggio di Marco Catucci intitolato Un prequel dei Diari: Katherine Mansfield vista da Mario Praz.

Pubblicato qualche anno dopo la scomparsa di Katherine dal marito e critico letterario John Middleton Murry, il Journal ebbe due edizioni gloriose nel nostro Paese, nel 1933 con Corbaccio e nel 1949 per Dall’Oglio, per poi essere ristampato proprio da Robin tra gli anni Novanta e il 2000.

Ora questa versione in italiano lo ripropone felicemente ai lettori vecchi e nuovi, anche in virtù dell’ottimo apparato critico di Catucci e delle fotografie di Katherine e del suo mondo, e peraltro anticipa il centenario nel 2023 della morte dell’autrice di Bliss e di The Garden Party.

Nei taccuini c’è tutta la Mansfield, donna e letterata troppo presto strappata alla vita e alla letteratura, tra annotazioni di vita quotidiana, letture, passioni, viaggi (dall’Italia a Parigi) e naturalmente la battaglia contro il male che la martoriava. E c’è, come appunta Catucci, “del tutto privo di pathos e misticismo, il lieve, incantevole e disincantato tributo di Katherine alla grazia del sense of humour e alla divina indifferenza”.

Come scrisse nelle ultime pagine del diario, nell’ottobre del 1922: “L’entusiasmo folle o la serietà troppo grave non vanno bene. L’uno e l’altro passano. Si deve conservare sempre il senso dello humour. Quanto vediamo o sentiamo o comprendiamo, dipende interamente da noi stessi. Ma ho provato che il senso dello humour mi è stato di grande utilità in ogni occasione della mia vita. Ora forse tu comprenderai che cosa significhi la parola ‘indifferente’. Significa imparare a non soffrire e a non mostrare il proprio pensiero”. Un anno prima aveva scritto: “Chi fallisce nelle piccole cose, non riuscirà nelle grandi. Persino la mia scrittura… da questo momento deve cambiare. Dopo cena, devo riprendere il mio diario e continuarlo giorno per giorno. Ma riesco a essere onesta? Se mento non vale la pena di scriverlo”.

Guido Morselli aveva compreso benissimo il segreto del diario della scrittrice neozelandese, un’opera perfetta quanto le sue raccolte di racconti.

Lo testimonia un brano del Journal, intitolato Malvagità, in cui Katherine compone un ritratto – o una memoria – di se stessa, che è nello stesso tempo un vero racconto compiuto. “La baciai”, scriveva. “Sentii la sua guancia fredda, bianca, leggermente umida. Era come se avessi baciato un cero in chiesa. La guardai nel profondo degli occhi: erano smorti, ma illuminati, di tanto in tanto, da una luce vaga e lontana. Odorava leggermente di incenso. La sua veste era sgualcita alle ginocchia. ‘Ma come avete potuto parlare così della Madonna?’ mi chiese. ‘Dovete aver dato un gran dolore alla Vergine Benedetta’. E io vidi la Madonna gettar via la sua copia del mio racconto Je ne parle pas Français dicendo: ‘Questa K. M. è veramente come mi è stata descritta dalle sue amiche’”.