ISLAMOFOBIA E BULLDOZER MEDIATICI.

Oggigiorno non va bene essere musulmani in Francia, e in generale nel mondo occidentale.
Il terrorismo in nome di questa religione ha finito per distruggere l’immagine dell’islam e ha aperto la porta ai pregiudizi. pagina 26 Oggigiorno non va bene essere musulmani in Francia, e in generale nel mondo occidentale. Il terrorismo in nome di questa religione ha finito per distruggere e massacrare l’immagine dell’islam e dei musulmani; ha anche aperto la porta ai pregiudizi più folli sulla religione e sui chi dice di appartenervi. Stigmatizzati, condannati a priori, la stragrande maggioranza dei musulmani soffrono in silenzio per lo sguardo torvo che il resto del mondo posa su di loro. È finita l’epoca in cui gente come Massignon, Berque o Montaigne davano, attraverso le loro opere, un’immagine positiva e universale del messaggio islamico. Questi orientalisti sono ormai dimenticati. Sono stati rimpiazzati da esperti che parlano dell’immediato e non approfondiscono le analisi, contribuendo, talvolta involontariamente, a plasmare nel grande pubblico un’immagine dell’islam sbagliata, che apre la strada alla stigmatizzazione e perfino all’odio. Spesso si parla di islamofobia, adesso si tratta di odio e di rifiuto.
La vicenda della bella cantante ventiduenne Mennel Ibtissem ha rivelato quanto l’odio per l’islam sia radicato profondamente. Mennel è nata in Francia, è di origine siriana, canta in inglese, in francese e in arabo, la sua lingua madre. Come molti giovani della sua generazione ha fatto degli errori, ha scritto cose inammissibili dopo l’attentato di Nizza. Ma ha riconosciuto di aver agito male e si è scusata. Invece di accettarla e di considerare la sua prestazione a The Voice da un punto di vista artistico, l’hanno trascinata nel fango fino a spingerla a rinunciare a cantare ancora in quella trasmissione. A dimostrazione di come il tribunale mediatico sia diventato più importante e crudele di quello giudiziario. Si viene condannati prima di essere giudicati. Si viene sopraffatti e insultati.
Linciati prima di essere ascoltati. Questo nuovo tribunale fa paura a tutti, sicuramente ai personaggi pubblici.
Ma quando qualcuno è di origine araba e musulmana, quando si presenta con un segno di appartenenza all’islam, con un grazioso velo sul capo, come nel caso di Mennel, le derive mediatiche e social diventano un bulldozer che schiaccia tutto ciò che trova sul suo passaggio.
In questo momento in Francia c’è un clima detestabile. Come ha detto il presidente Macron è «una Francia del sospetto»; ha detto che non gli piacerebbe vivere in un Paese così. Sì, il sospetto esiste e alla minima occasione si posa sulle persone, soprattutto se godono di notorietà. Anche Tariq Ramadan non sfugge al sospetto diffuso. L’islamologo, arrestato e accusato di violenza e stupro, è in attesa di processo. Il tribunale mediatico lo ha già condannato e quello che i giudici faranno diventa secondario. Ramadan è noto per la sua capacità di tenere discorsi. È uno showman. È considerato il miglior difensore delle idee della setta dei Fratelli Musulmani. In sostanza è un fondamentalista che nasconde bene le sue carte. Per cui è pericoloso. La prova ce la fornisce lui stesso: il 19 novembre 2003 è in tv davanti a Nicolas Sarkozy che gli chiede di prendere posizione sulle punizioni corporali nel mondo musulmano. Tariq Ramadan, scombussolato, dice di «auspicare l’applicazione di una “moratoria” sulle punizioni corporali, la lapidazione delle adultere e la pena di morte». Quel giorno la maschera del talentuoso islamologo è caduta. Da allora non viene più preso sul serio. I media francesi lo hanno boicottato e oggi assistono alla sua caduta con soddisfazione. Ma, dietro il personaggio, alcuni mirano all’islam. La religione viene confusa con chi la difendeva e oggi si trova a rispondere di accuse molto gravi davanti alla giustizia.
Un altro paradosso è che i giudici hanno rilasciato Jawad Bendaoud, il padrone di casa che ha prestato l’appartamento a terroristi. Da un lato c’è il clamore popolare che non ha più alcuno scrupolo di presunzione di innocenza, che giudica e condanna su basi soggettive, e dall’altro una giustizia che fa il proprio lavoro con indipendenza. Il caso di Mennel Ibtissem non è arrivato fino ai tribunali della Repubblica. Ma è bastato il tribunale mediatico per farle lasciare la scena, tanto più che una giornalista le ha rimproverato di aver cantato in arabo! La stessa giornalista ha anche dichiarato di non essere razzista. Sì, naturalmente il razzismo è roba d’altri. Un pugile ha postato sul suo sito un video in cui blatera insulti disgustosi diretti alla cantante. Ricordiamo che Mennel ha una bella canzone sulla Palestina, Souris Palestine.
Ecco a che punto siamo nel Paese di Cartesio e di Voltaire. Il sospetto e la delazione. L’odio e la ritirata. E su questo sottofondo malsano il governo di Macron ha presentato una nuova politica di asilo e immigrazione. Fortunatamente ha suscitato le reazioni di qualche intellettuale che ha fatto notare come la severità di questa politica superi quella che avevano cercato di imporre alcuni governi di destra. Non va bene essere musulmani, migranti o rifugiati nella Francia di oggi, e per estensione in Europa. (Traduzione di Elda Volterrani)
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