Illustratrici italiane, una storia rimossa

Per cogliere appieno l’ambizione e la profondità di ricerca che stanno alla base del ponderoso e piacevolissimo ultimo volume di Paola Pallottino, Le figure per dirlo Storia delle illustratrici italiane (Treccani, pp. 225, e 27,20), bisogna partire dalla fine, come spesso accade. L’autrice infatti si accommiata dal lettore con un augurio che è una promessa: «Concludiamo, quindi, con l’auspicio che le tante, pur meritevolissime artiste, che non hanno potuto trovare ospitalità in questo primo regesto, possano venire tutte documentate nell’auspicato Dizionario che, sempre per la Treccani, dovrebbe comprendere migliaia di nomi di illustratrici attive in Italia dal Seicento a oggi». Basterebbe questo breve passaggio per cogliere la difficoltà della sfida raccolta da Pallottino: raccontare una storia dell’illustrazione al femminile, dando un volto e un profilo biografico a migliaia di donne che, nel corso dei secoli, hanno illustrato libri, giornali, periodici.
D’altra parte, a proposito di compiti improbi, risale ormai al 1988 la fondamentale prima edizione della Storia dell’illustrazione italiana, vera e propria Bibbia dell’illustrazione, in cui Pallottino tratteggiava insieme le vicende degli artisti e i confini di una disciplina in rapida formazione ed evoluzione. Come spiegava Baule nell’introduzione alla riedizione aggiornata del 2010, il libro aveva avuto il merito, tra gli altri, di mettere «in connessione tra loro le immagini riprodotte confermandone la dignità in quanto scrittura e discorso; cancellando definitivamente il pregiudizio che le teneva segregate in un catalogo a parte».
Scrittura e discorso: non è questo lo spazio per ritrovare le fonti di una riflessione che nel Novecento ha visto protagonisti intellettuali come Walter Benjamin o Roland Barthes, tuttavia bisognerà sottolineare la finezza interpretativa con cui Pallottino da sempre legge le immagini, come unità ermeneutiche complesse in dialogo con il testo. Significativamente, in un suo saggio dedicato alle illustrazioni dell’Orlando furioso, all’interno di un’ampia raccolta curata da Lina Bolzoni ancora per Treccani, la studiosa proponeva, con il pizzico di sapiente provocazione intellettuale che la contraddistingue, di inserire l’apparato paratestuale visivo tra le citazioni bibliografiche, così come si fa con i testi, dal momento che le illustrazioni presentano spesso una propria interpretazione logico-figurativa.
Alla luce di queste minime considerazioni, non meraviglierà dunque la cura editoriale con cui la Treccani, in accordo con Pallottino, ha pubblicato il volume, peraltro a un prezzo davvero accessibile: dalla copertina, caratterizzata da un chiaro e raffinato impianto grafico (opera degli ottimi Francesco Messina e Andrea Morandini), alla carta, opaca e leggermente granulosa, perfetta per ammirare le centoquindici, splendide, illustrazioni, disposte lungo tutto il volume con una sapiente alternanza ritmica tra piena pagina e infratesto. La galleria delle immagini, una per ciascuna illustratrice, non è ovviamente fine a se stessa, ma rispecchia l’articolazione del testo, che intreccia continuamente piano cronologico e tematico. Il libro, completato da una preziosa e utilissima bibliografia, è infatti suddiviso in quattordici capitoli che coprono un arco temporale impressionante: dal Seicento ai giorni nostri.
Le figure per dirlo non è tuttavia ‘soltanto’ una storia, meticolosa e attenta, dell’illustrazione femminile, ma è anche un articolato affresco della società italiana, in particolar modo novecentesca, sezione alla quale è dedicato lo spazio maggiore. Pallottino parte da un assunto critico, esplicitato nell’introduzione critica, e cioè che la donna nell’illustrazione viene emarginata due volte: in quanto donna e in quanto dedita a un’arte troppo a lungo considerata marginale rispetto alle ‘arti maggiori’. Da questa constatazione, l’autrice sviluppa un percorso teorico e visivo che approfondisce l’idea del segno «che, nella rivoluzionaria fisicità alla quale allude l’illustrazione, si fa già ‘politico’ e che esprime nell’impegno creativo del divenire immagine una sorta di protomilitanza». Pallottino fa così luce su artiste che spesso non avevano neanche diritto di firma, celate dietro a pseudonimi, oppure emergevano quali capacisssime figlie di valenti tipografi: «Il volume [Le Prose del Cardinale Pietro Bembo, 1824] è fregiato col ritratto dell’Autore inciso da C. Cattaneo, sopra disegno della signora Ester Silvestri, figliuola al Tipografo; giovinetta di assai belle speranze».
Ma non è solo questione di rivendicazione politica, o militanza femminista, che restringerebbe (ingiustamente) di molto il campo: Pallottino parla piuttosto di qualità e valori artistici assoluti. Ad esempio, il capitolo Novecento aurorale è introdotto da una superba copertina a colori, per il periodico «La Donna», di Neli Marchese, «della quale non si hanno dati biografici»: eppure, il segno netto, preciso e flessuoso, la disposizione plasticamente sintetica del colore e della forma, parlano di un’artista di prima fascia. Questo è un altro dei meriti di Le figure per dirlo: suscitare nel lettore il desiderio di saperne di più, di seguire altre piste di ricerca, grazie anche alla concezione del volume, che segue un doppio binario dato dall’alternanza tra testi introduttivi, di cornice generale, alle singole sezioni, ed efficaci e puntuali schede biografico-critiche, che aprono ulteriori scenari.
Con una prosa discorsiva e allo stesso tempo dialogicamente problematica, Pallottino non rinuncia a svelare storie personali e rapporti familiari: da Rosetta Cavallari, moglie di Sergio Tofano, a Colette Cacciapuoti, moglie prima di Raffaello Rosselli e poi di Indro Montanelli; ricorda, a perenne memoria, che il Novecento è stato anche il secolo delle guerre e delle persecuzioni razziali (emblematiche le vicende di Fausta Beer ed Elsa Zamorani, quest’ultima deportata e uccisa a Auschwitz nel 1944); passa in rassegna bellissime riviste di vario genere (da «Lidel» a «Sipario», da «Cordelia» a «Il Cartoccino dei Piccoli»); presenta collane indimenticabili (tra le principali, la salaniana «Biblioteca dei Miei Ragazzi» illustrata a più riprese dalla sfortunata Maria Augusta Cavalieri, figlia del più noto Luigi). A emergere è un mosaico complesso, in cui la storia dell’illustrazione è sondata in ogni suo aspetto, compreso il versante dei fumetti, con artiste come Paola Bologna, Lina Buffolente, ovviamente Grazia Nidasio.
Infine, vi è un altro aspetto da sottolineare: che si tratta davvero di una lettura aperta a tutti e non solo per gli addetti ai lavori. In attesa del Dizionario online.

 

 

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