Era un giovane studioso di filosofia molto promettente, di bella presenza e con una buonissima dialettica. Ciò che lo rendeva particolarmente interessante, poi, era la sua capacità di smontare gli odierni miti progressisti tramite l’applicazione e il ragionamento di autori fondamentali del panorama culturale della sinistra. Tramite lui, politici e pensatori radical chic nostrani sono stati costretti a guardare in faccia la totale mancanza di basi e contenuti delle loro proposte sociali. Non sempre condivisibile nei suoi interventi, ma certo apprezzabile per i contenuti che era capace di introdurre all’interno di un dibattito pubblico come quello italiano, più simile a una partita a Mortal Kombat che a uno scambio di idee ragionato. Tutto questo, però, è diventato vago ricordo nostalgico, e di Diego Fusaro, ad oggi, possiamo parlare come di una promessa non mantenuta. Basta dare un’occhiata alla sua pagina Facebook per capire che qualcosa è andato storto: quello che era il suo punto di forza, ovvero il ragionamento, scompare, lasciando strada libera a una serie di slogan sempre uguali, accompagnati da vignette e meme di estetica talmente imbarazzante da sembrare appena usciti da “Una pezza di Lundini”.

Ma quali sono le ragioni di questo declino? Cosa ha spinto l’aspirante filosofo ad abbassare così tanto il tenore delle sue considerazioni? Probabilmente, la risposta a queste domande è da rintracciarsi in un solo, semplice concetto: la ricerca di consenso. Cerchiamo però di essere più chiari e di entrare più profondamente nell’argomento.

Anzitutto, è bene analizzare i motivi scatenanti la prima mediaticità di un personaggio tanto anomalo per gli standard televisivi italiani; Fusaro attira i salotti culturali italici per la facilità di esposizione e per le argomentazioni che porta, considerate “bizzarre” dal mondo della sinistra e “interessanti” da quello della destra. Com’è stato detto, lo studioso si impegnava a confutare filosoficamente le scelte politiche delle forze progressiste italiane, partendo però da posizioni marxiste e gramsciane. Questo non è un fatto trascurabile, poiché, anche se utilizzati così, ancora oggi i nomi di Marx e Gramsci sono grimaldelli potenti per aprire le porte dei “salotti buoni” nostrani.

Questo è il periodo d’oro di Fusaro, che trova terreno fertile nella desolazione culturale del fazionismo italico. Riceve inviti da sinistra, ì per le citazioni su Marx e Gramsci – gli incontri però finiscono sempre nel malumore e nella constatazione che lo studioso è un non allineato –; riceve inviti a destra che, a causa dell’ormai storica sudditanza psicologica nei confronti della sinistra, non trova niente di meglio che promuovere un pensatore marxista.

Ora, l’eccessiva esposizione mediatica, se non si è degli showman nati, porta con sé due grandi pericoli: il primo, quello di “cristallizzarsi” in una maschera, ovvero di fare di sé stessi un personaggio da serie tivù, con determinate e immutabili caratteristiche che devono essere sempre immediatamente riconoscibili allo spettatore; il secondo, quello di essere soggetti ai rovesci della fortuna, dato che la fama, in sé, è cosa assai volubile. Questi due punti sono tra loro fortemente collegati, infatti, chi si innamora dei riflettori del palcoscenico comincia a fare di tutto per rimanervi. Ricordando i motivi che hanno acceso la curiosità del suo pubblico, la neo-stella tende istintivamente a ripeterli, sperando che funzionino sempre come hanno funzionato la prima volta. Purtroppo, non è così; lo spettatore prima è incuriosito, poi sarcastico, infine annoiato. Il personaggio non piace più, avanti un altro.

Così, quel sentore di “essere arrivato” che le comparsate televisive portano come effimera dote, svaniscono come la brina al sole di metà mattina. Tutti quei gesti che ti hanno reso famoso – il dito alzato come a scuola per chiedere di parlare, il linguaggio forbito e puntuale degli interventi, quel modo di fare da primo della classe – ti si ritorcono contro, creando prima derisione e poi, ancora peggio, indifferenza.

Il problema è che, una volta assaggiata, è difficile fare a meno della fama. Si cerca quindi qualcosa per rilanciarsi o, perlomeno, rimanere a galla. In quest’ottica, forse, è possibile leggere prima la bislacca “invenzione” della “veterolingua italica” – niente di meglio per stimolare prese in giro e parodie, pur sempre ottime pubblicità – e la fondazione di Vox Italia, partito con velleità intellettualistiche che, sebbene sia attivo da qualche anno, sta facendo grandissima fatica anche solo a farsi notare all’interno del nostro panorama politico. Ma quelle che dovevano essere mosse di rilancio non hanno avuto l’effetto desiderato: ben presto le comparsate in radio e TV hanno cominciato a scendere e la pagina Facebook ha avuto una flessione nel numero dei like, facendo diventare Fusaro un personaggio sempre più di nicchia.

Proprio la fondazione di Vox Italia, dopo aver ispirato qualche articolo giornalistico, ha avuto l’effetto di stabilizzare Fusaro all’interno di vari circoli “carbonari” disseminati nel nostro paese, circoli che hanno in comune la cosiddetta ideologia “rossobruna”, riassumibile in pratica nel seguente modo: “va bene tutto, basta che sia un totalitarismo”. Considerando il punto di partenza, è inevitabile pensare che un panorama culturale così miope gli stia stretto. Eppure, tant’è.

Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, poi, la situazione è, nel contempo, sia migliorata che peggiorata. Cavalcando a spron battuto il tema Covid-19, sfruttando il più che giustificato risentimento popolare nei confronti delle restrizioni, la pagina Facebook di Fusaro è tornata alla ribalta, aumentando sensibilmente il numero di post e il numero di like per ciascuno di essi. Ecco, quindi, un nuovo filone aureo, notizia assai positiva per Fusaro. Il problema, però, sta nei contenuti proposti, oramai votati al peggior sensazionalismo e alle varie teorie del complotto. La filosofia e la retorica che agli esordi televisivi muovevano i suoi ragionamenti, sono diventate ancillari a una ricerca sempre più spasmodica di consenso, e sono quasi completamente svuotate di contenuto. Vignette in cui si invoca una rivoluzione popolare si susseguono senza soluzione di continuità a meme contro i vaccini e contro le mascherine. A condire tutto, aforismi estrapolati dal contesto, in cui ci si scaglia contro vaghi e incerti “padroni” che vogliono il nostro male. Tutto, ovviamente, privo di argomentazioni accettabili. In pratica, Fusaro si muove sulla scia di un poco chiaro “nostalgismo” comunista, non molto dissimile da quello di un “Forza Nuova” nei confronti del Ventennio fascista. Al posto di Mussolini, vi è Berlinguer, ma la frase è la stessa: “Ah, quando c’era lui…”.

L’azione mediatica di Fusaro ha infatti attirato buona parte di quella zona d’ombra ideologica presente in Italia, caratterizzata da vaghe nostalgie della politica del passato e da manie di persecuzione che spesso sfociano in teorie complottiste. Questo ha l’effetto negativo di dare materiale a tutta quella stampa allineata, in cerca di no-vax e “irresponsabili” vari per legittimare qualsiasi linea operativa del governo, giusta o sbagliata che sia. Fare opposizione, significa subito essere collocati nella linea “Fusaro”, denunciare decisioni sospette essere comparati ai “complottisti”.

Purtroppo, Diego Fusaro, da splendido outsider quale era, non è riuscito a mantenersi tale, finendo per entrare in quello squallido gioco di polarizzazioni di cui i media e i dibattiti italiani si nutrono. In questo, però, non si dia solamente la colpa al sistema mediatico nostrano. Certamente, la struttura dei salotti televisivi italiani ha nel suo stesso meccanismo un potente mezzo di corruzione dell’individuo, basti pensare che diventare opinionista è ad oggi considerato il vertice supremo della vita di un intellettuale; non si deve però escludere anche una certa dose di responsabilità individuale. Lo studio stesso della filosofia, infatti, dovrebbe essere un vaccino abbastanza efficace contro certe derive ideologiche. Certo, questo discorso forse non vale, per chi all’efficacia dei vaccini non crede.