Il sistema è il libro nero della magistratura italiana. La terrificante confessione della presenza di uno Stato nello Stato, di una cupola, di un meccanismo che gestisce, orienta e sovrasta la vita dei cittadini. Di un potere oscuro e totalizzante, ricco di trame, complotti, tradimenti, sangue. Un libro scandaloso che nonostante il grande successo di vendite vive un pesante oblio. Un oblio di cui i media, lo Stato e la magistratura sono i complici diretti ed indiretti, che hanno spento i riflettori del verità, preferendo l’oscura e stagnante retorica del capro espiatorio. “Il sistema è Palamara”, tutto finito, tutto silenziato. Ma il sistema non è un solo uomo.
A leggere e declamare questo libro nero ci ha pensato Edoardo Sylos Labini, in uno spettacolo che sta tra Borges e Shakespeare, teatro civile e rivolta intellettuale. Sylos Labini, attore, editore, fondatore di Cultura Identità, decide di dare una maschera al Sistema, di mostrare quel clima, quel grande altro che frena il paese, che si muove di nascosto, lontano dai riflettori. Un mondo fatto di magistrati rockstar, di congiure di palazzo, di un clima forcaiolo e giustizialista, di inquisitori più che di inquirenti, di giudici che sembrano gestire le sentenze più con la foga dei tifosi che con l’equilibrio degli arbitri. Dove Labini, narratore, personaggio e specchio di questo potere, riprende i versi del “Giulio Cesare” di Shakespeare e come Antonio declama al pubblico il celebre: “Romani, amici, cittadini, datemi ascolto. Sono qui per seppellire Cesare, non per tesserne le lodi”. Ma il mantello che stringe tra le braccia nello spettacolo non è quello di Berlusconi, di Salvini o di Craxi, è il mantello di un popolo sopraffatto da una malagiustizia che come dice Céline è “il gran luna park del dolore”. È il tricolore di tutti quei cittadini calpestati da queste trame oscure, di quei giudici onesti e giusti (che sono la maggioranza) a cui lo spettacolo è dedicato, che seguendo l’esempio di Falcone e Borsellino, lottano contro il crimine e l’ingiustizia e non per conto di esse. Il Sistema, adattato per la scena da Angelo Crespi, interpretato da Sylos Labini, è una rivolta potente e tagliente, ribelle e imperdonabile contro la deriva correntizia e autocratica della magistratura, che compie un atto liberatorio contro un tiranno collettivo. Attualmente in scena a Roma al teatro Sala Umberto in Roma, in programmazione al Manzoni di Milano il 29 e 30 settembre. Ad ogni rappresentazione seguirà un dibattito per riflettere e valutare su come andare Oltre il sistema e sulla giustizia.
Com’è nata l’idea di allestire per il teatro Il sistema ?
Dopo aver letto il libro ho chiamato Alessandro Sallusti, perché leggendolo mi sembrava di leggere alcuni passi del Giulio Cesare di Shakespeare. Anche lì ci sono i tradimenti, le cospirazioni, la sete di potere, ovvero tutte le caratteristiche della migliore drammaturgia shakespeariana. Mi è venuto in mente anche un altro testo molto importante di fine anni Quaranta, Corruzione al palazzo di giustizia di Ugo Betti. Mi sembrava uno spettacolo perfetto e quindi ho chiamato Sallusti che mi ha messo in contatto con Rizzoli, da cui ho preso i diritti, e poi ho conosciuto Palamara che ha dato una mano a me ad Angelo Crespi nella stesura del testo teatrale tratto dal libro.
Che cos’è il Sistema e quali sono i suoi meccanismi?
Il Sistema è il potere della magistratura che non può essere scalfito. Tutti coloro che ci provano vengono abbattuti, è successo e succede ormai da più di 25 anni. È un intreccio tra politica e magistratura, tra una parte della magistratura e la politica, soprattutto. C’è poco da dire su tale parte, è la corrente che ha sempre trionfato dentro la magistratura: la corrente di sinistra. Palamara è stato fatto fuori dal sistema proprio perché per la prima volta nella storia della magistratura ha imposto la sua corrente, la corrente renziana. Quando la sinistra è stata sconfitta, tutti i gangli dell’ex apparato comunista hanno fatto fuori Palamara, eliminandolo dal sistema fino arrivare ad alla radiazione dalla magistratura.
Lei nello spettacolo parla della famosa regola del tre, in che cosa consiste questa regola?
Una procura che indaga, un giornale che lancia la campagna mediatica, un partito che fa da sponda e trae il giovamento dalla campagna mediatica-giudiziaria. Potete immaginare quale partito anzi quali siano i partiti, gli attori, che hanno interpretato il gioco delle parti del Sistema.
Palamara è stato un protagonista del Sistema: vittima, carnefice o entrambi?
È stato carnefice e poi vittima. Pensava di essere al vertice del Sistema invece era soltanto una parte del meccanismo che poteva essere sostituita purché tutto continuasse come prima. Una parte che però ha avuto il coraggio poi di scoperchiare il vaso di Pandora di questa mala giustizia ed è diventato il capro espiatorio, l’unico colpevole. Il Sistema, intanto, è ancora lì.
Ipotizzando una trama shakespeariana, nel Sistema secondo lei che personaggio è il Palamara della sua opera?
Non vedo Palamara come un personaggio shakespeariano, ma nella sua vicenda ci sono scene che sembrano le idi di Marzo, il tradimento di Cesare. Con le parodie dei cesaricidi che si mettono insieme, si tradiscono nel giro di poco tempo, in base agli interessi, in base alle nomine e fanno finta di farsi la guerra, le correnti, e poi si mettono insieme quando devono appunto spartirsi gli incarichi.
Come si può andare oltre il Sistema?
Io ho firmato il referendum presentato dai radicali, della Lega… ma non bastano i referendum. Ci vuole una riforma vera della giustizia e chi meglio di Luca Palamara, che è stato parte di quel Sistema, potrebbe scardinarlo? La vera rivoluzione sarebbe, in caso vincesse alle le suppletive della Camera, dire in Parlamento, ufficialmente, quello che è successo in questi ultimi 25 anni, perché quello che viene descritto nel libro è soltanto la punta dell’iceberg, ci sono tanti altri segreti che gli italiani vogliono sapere. Per poter intervenire veramente e farla finita con questo potere che da quando ha approvato la legge suicida che toglie l’immunità ai parlamentari, ha permesso a una parte della magistratura di spadroneggiare, minacciando durante le campagne elettorali amministratori pubblici e parlamentari attraverso avvisi di garanzia.
Lei è molto attivo nella politica culturale e svolge un’attività intensa con Cultura Identità: quali sono i principi che muovono la sua attività?
Cultura Identità è un movimento che si batte per il rilancio del nostro immenso patrimonio artistico e culturale, di questa grande ricchezza che va dalle opere d’arte alle aziende del made in Italy, dall’enogastronomia alla letteratura. La cosa incredibile è che in realtà nessuna forza politica ha fatto una vera battaglia culturale in questa direzione: siamo nati tre anni fa, quando ho fondato un’associazione, formata da artisti, giornalisti, intellettuali e imprenditori, per spronare un’area, soprattutto di centrodestra, a interessarsi di questo settore.
Parlando del suo percorso artistico, lei ha interpretato Mazzini, i futuristi, D’Annunzio e altri protagonisti della cultura controcorrente. Qual è il ruolo a cui è più legato e perché?
Sicuramente D’Annunzio è il personaggio che ho interpretato di più in questi anni, anche se poi ho interpretato Mazzini, Nerone, Balbo, ho fatto un lavoro su Futurismo sui futuristi… D’Annunzio è il più teatrale dei personaggi per la vita inimitabile, per la vita privata, per l’amore verso le donne, per il suo essere un eroe di guerra, un poeta. È il personaggio più affascinante da interpretare pieno di sfaccettature che ho studiato in modo approfondito, quindi è personaggio al quale sono più legato a cui mi sono ispirato anche per Cultura identità. Soprattutto, mi sono legato all’impresa fiumana, nel sogno di un movimento che unisca artisti e giovani rivoluzionari di tutta Europa per un mondo che riparta dalla cultura, dalla bellezza e dal valore.
Possiamo dire che Cultura identità è un arrembaggio contro l’egemonia globalista della cultura…
Assolutamente sì. Quando siamo nati, nel febbraio 2018, abbiamo lanciato il nostro manifesto con alcune parole d’ordine che poi sono entrate nel dibattito pubblico politico e culturale in questi anni come “sovranizzare”, restituire l’identità ai popoli, liberare l’Italia dal politicamente corretto insomma tutte battaglie che poi sono diventate lo spartiacque tra due visioni opposte: quella della difesa dell’identità dei popoli contro l’appiattimento, il finto umanitarismo e la finta uguaglianza globalista.