Industria culturale. I modelli e i risultati del Museo Egizio di Torino e del MaXXI di Roma
Il Museo delle antichità egizie e il Museo nazionale delle arti del XXI Secolo (MaXXI), di proprietà dello Stato, sono affidati a fondazioni create a suo tempo (nel 2004 e nel 2009) per bypassare strettoie burocratiche e controlli. La riorganizzazione del ministero dei Beni e delle attività culturali (MiBact), che attribuisce autonomia finanziaria, contabile e organizzativa (autonomia speciale) ai 22 musei di «rilevanza nazionale», le rende ora superflue e, al tempo stesso, enclave ingombranti: rompono l’uniformità della nuova disciplina senza garantire una corretta gestione. La riforma, infatti, impone a tutti i musei di svolgere le funzioni di tutelae valorizzazione secondo i principi di «imparzialità, buon andamento, trasparenza, pubblicità e accountability» e di dotarsi di statuto e «Carta dei servizi». E il quadro degli adempimenti delle due fondazioni per il rispetto di tali principi e di quelli anticorruzione e i risultati operativi (si vedano i dati riportati in tabella) evidenziano l’esigenza di abbandonare questa formula gestionale ormai obsoleta. Il caso di Torino Molte scelte della Fondazione Museo Egizio (Fme) sono in linea con le prescrizioni ministeriali:selezione del direttore con pubblica gara, nomina del Comitato scientifico, pubblicazione dei bilanci, comunicazione al MiBact del numero dei visitatori. Nonostante lo statuto preveda la possibilità di compensi, né presidente, né componenti del Cda, con raro fair play, si sono attribuiti emolumenti considerando onorifiche le loro funzioni. Quanto al gradimento del pubblico, l’andamento crescente dei biglietti emessi nell’ultimo quinquennio (dai 577.942 nel 2011 ai 881.463 nel 2016), principale fonte di copertura dei costi d’esercizio, va ricondotto più alla soliditàe al prestigio di un’istituzione bisecolare unica in Europa che alla presenza della fondazione. La struttura museale fa premio sull’involucro giuridico. I dati di Roma Meno virtuosi i comportamenti e più controversi gli esiti della Fondazione MaXXI (Fm) che, dopo lo shock da commissariamento per squilibri di bilancio nel 2012a2 anni dall’apertura, cerca di rilanciare il museo in un parterre caratterizzato da eccesso di spazi espositivi. Il nuovo Cda si è avvalso della discrezionalità riconosciuta alla natura privatistica della fondazione per forzare le disposizioni più stringenti del nuovo statuto. Così, non arginato dalla vigilanza ministeriale, ha nominato senza gara pubblica il «direttore artistico», ha attri buito compensi al presidente (almeno 91.500 euro) e indennità ai membri del Cda (7.200 euro), non ha insediato il Comitato scientifico, non comunica al MiBact il numero dei biglietti emessi, né pubblica sul sito i bilanci preventivi. I risultati non sono appaganti: gli ingressi certificati nel 2016 (167.863) sono meno di quelli del 2012, anno di commissariamento (169mila) e poco più di un terzo di quelli del 2011 (450mila).Il gettito dei biglietti copre meno del 10% dei costi, al resto provvedono risorse pubbliche: la riserva del 50% dei fondi del Piano per l’Arte Contemporanea, il contributo statale di 5 milioni, quelli di Enel e Regione Lazio. La prevalente destinazione della spesa a mostre ed eventi ha reso poco visibili le collezioni permanenti che invece avrebbero dovuto essere valorizzate e accresciute. Per un esiguo ampliamento degli spazi loro dedicati si è dovuto attendere lo scorso 5 maggio con il mini riallestimento «ReEvolution». Il ruolo delle fondazioni Il diverso approccio gestionale dei due enti si accompagna alla comune inadempienza nel varo della Carta dei servizie all’identico trattamento normativo riservato alla figura del direttore che diverge da quello ministeriale. Se nei musei dotati di autonomia speciale il direttore scelto con gara è l’organo dominante quale presidente di Cda e comitato scientifico, gli statuti di entrambe le fondazioni non includono il direttore tra i propri organi prevedendone nomina e revoca da parte del cda al cui presidente di scelta politica sono attribuiti poteri predominanti. Il rientro nell’alveo pubblicistico dei due musei eviterebbe i rischi di forme parallele di gestione privatistica che consentono discrezionalità non sempre tempestivamente contenibili dalla vigilanza ministeriale, pure se eccedono le prescrizioni a garanzia del corretto uso del patrimonio statale conferito. Restituirebbe unitarietà di applicazione al nuovo sistema di governo dei musei lasciando il “modello fondazione” solo a istituzioni culturali diverse dai musei.
Il Sole 24 Ore – Alessandro Monti – 24/07/2017 pg. 6.