Il romanzo segreto del caso Moro.

di Francesco Cevasco

Ostinato, dicevamo non a caso. Perché questo libro per trentacinque anni è rimasto sepolto nei labirinti delle case editrici. E nei labirinti che «il potere» ha abilmente costruito per nascondere tutto ciò che è scomodo.

Contrario, dicevamo non a vanvera. Perché questo libro racconta una verità che è contraria a quella che ci hanno voluto raccontare, per decenni, quasi per una quarantina d’anni.

La verità cercata è quella sul caso Moro, sul delitto Moro.

Bene, Aldo Moro «tira dentro», anche soltanto con l’astensione, pure «i comunisti» nella maggioranza di governo. Correva l’anno 1978. Insopportabile. Per i padroni del mondo occidentale d’allora, per i custodi degli accordi di Yalta e anche per i rivoluzionari delle Brigate rosse. Per i primi c’era il pericolo del vento dell’Est, una sorta di pacifica ma pur sempre «invasione rossa». Per i secondi il pericolo che venisse incrinato l’equilibrio su cui si fondava il potere dei protagonisti della Guerra fredda. Per i terzi il pericolo che il «compromesso storico» sfaldasse definitivamente, in Italia, lo spirito rivoluzionario che, nella classe operaia, tirava ancora qualche asfittico respiro.

Fatto sta che Moro viene eliminato. Ma prima di essere eliminato dal gioco della politica e dalla sua stessa vita passano cinquantacinque giorni. Di prigionia, di trattative, di ricatti, di imbrogli, di febbrili lavori — puliti e, soprattutto, sporchi, di tanti servizi segreti di tanti Paesi del mondo — fino al sospiro di sollievo che accompagna la sua morte. Contenti i sostenitori della fermezza della Stato italiano. Contenti gli americani (una parte) che tramavano affinché la verginità dell’Italia non venisse violata dai comunisti. Contenti i francesi che «in queste cose bisogna aver prudenza». Contenti gli israeliani che «noi osserviamo tutto ma lasciamo fare». Contenti quelli della Cecoslovacchia e di qualche altro satellite sovietico che «i conti tornano: certe cose non si possono cambiare superficialmente». Tutti contenti. E Aldo Moro è, inutilmente, morto.

Anche il Papa di allora, Paolo VI, che non era certo una tempra di rivoluzionario, ha lottato contro una morte ingiusta. Il suo appello agli «Uomini delle Brigate rosse» è rimasto inascoltato. Moro è morto. Doveva morire. Ecco il libro di Ferrari. Perché e chi? Perché uccidere Moro? E chi c’è dietro quell’orrendo complotto?

C’era una volta un albergo di Washington, il Marriott. Lì si trovarono, una sera, un grappolo di personaggi ambigui. Non tutti sapevano perché erano lì. Ma a reggere i fili che avrebbero mosso le marionette c’era il dottor Alfred Greninger (questo è un nome di fantasia). Jimmy Carter era presidente degli Usa. Ma a mister Greninger e alla sua Organizzazione quel presidente, «un venditore di noccioline», non piaceva proprio. Quelli del suo entourage (di Carter) che si occupavano di politica estera non avevano chiuso la porta in faccia a quel miserabile di Moro. Avevano detto un mezzo ok ai comunisti: nel governo no ma nella maggioranza… A Greninger, e alla sua Organizzazione, non bastava, bisognava fare in modo che «liberali, radicali e tutto quel marciume intellettuale che qui, in America, ascoltano tanto fossero zittiti. E i comunisti italiani? Dei pazzi intrattabili. Credono che si possano inquinare gli equilibri del mondo con teorie ridicole. Che cos’è il marxismo-leninismo libertario? Oppure il neocapitalismo comunista?».

Zittire, cancellare, sopprimere, con tutti i mezzi possibili.

E il complotto parte annodandosi ad altri interessi che, comunque, portano sempre allo stesso obbiettivo.

I personaggi del libro di Ferrari hanno (quasi) tutti un nome di fantasia. Ma, come ammette anche l’autore, è molto facile smascherarli. A cominciare da Ron J. Stewart che corrisponde a Ronald Stark agente di «un» servizio segreto americano che frequentò l’Italia ed entrò in contatto con i vertici delle Brigate rosse. È facile identificare Valerio Morucci e seguire le sue mosse di rigoroso capo dell’organizzazione che però celano inquietanti ambiguità. Come rivedere nel personaggio di Giusto Semprini uno di quei giovani disillusi del Pci e illusi dalle Br che credevano veramente in una possibile e giusta rivoluzione finché… O imbattersi in magistrati e poliziotti per bene che ci hanno rimesso la vita o la carriera. E in intellettuali contorti come Toni Negri. E in circoli culturali e politici (Kyrie nel libro, Hyperion nella realtà) che diventarono crogiuolo di esperienze diverse: convegni contro la repressione ma anche luogo d’incontro di spie di tutto il mondo, palestra del pensiero rivoluzionario ma anche zona franca per allestire complotti politici.

La ricostruzione del sequestro e del delitto Moro si sposta da Roma a Milano: giusto quanto basta per dire che questo libro è un romanzo e non un’inchiesta. Che poi romanzo, questo libro, lo è davvero. Una lunga storia dove la suspense non cede mai. Fino alle ultime otto righe, quando il lettore sperava di aver trovato un po’ di quiete, di aver appagato almeno in parte i suoi sentimenti di giustizia e invece…

La storia di come nasce Il segreto è un romanzo nel romanzo. La racconta bene Ferrari nella postfazione. C’è da sapere che l’autore, prima di essere inviato e poi editorialista di politica estera, negli anni Settanta e primi Ottanta si è occupato di terrorismo rosso e nero, due anni ha vissuto con la scorta. Si presume che certe vicende le conoscesse bene quando nel 1981, seduto alla scrivania che fu di Dino Buzzati, ricevette una telefonata dal sopravvissuto manager, Salvatore Di Paola, allo scandalo P2 che s’era abbattuto sul «Corriere». Più o meno gli disse: tu che sei persona per bene scrivi un libro, in questo momento può essere utile far vedere ai lettori che, nonostante tutto, siamo puliti. Per farla breve, Ferrari scrisse il suo libro, questo di cui stiamo parlando. Per farla breve, quando lo consegnò cominciò un gioco a nascondino tra i responsabili della casa editrice: rinvii e rinvii spesso immotivati. Per farla lunga, sono passati trentacinque anni da allora. In tutti questi anni Ferrari ha ricevuto minacce, più o meno esplicite, che in qualche modo si ricollegavano alle cose che sapeva e che aveva avuto il coraggio di scrivere e il coraggio di volerle pubblicare. Bene, ora la storia è finita. Il libro è stampato. Quell’Araba Fenice che è la commissione parlamentare sul delitto Moro, che ogni tanto risorge com’è successo da poco, oggi ha fatto proprie alcune tesi di Ferrari. E, forse, Il segreto è un po’ meno segreto.

 

 

 

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