“Il ritorno al futuro è nella terra”.

Antichi mulini, grani biologici e la capacità di usare la rete: il salto di Stefano dalla Calabria alla Val d’Orcia
MARIA CRISTINA CARRATÙ
Tutto è cominciato nel 2016, con l’idea di comprare un antico mulino in disuso, l’ultimo della Calabria, e salvare le sue preziose macine in quarzo.
Nostalgia della tradizione? Non solo. Alla base dell’iniziativa dell’allora 27enne calabrese Stefano Caccavari, studi in economia aziendale, c’era molto di più. Già promotore dell’Orto di famiglia (sorta di sharing economy agricola) nel suo paesello in provincia di Catanzaro, San Floro, Caccavari coltivava un progetto più ambizioso: «Coniugare il meglio della tradizione agricola locale, come i grani antichi e le farine macinate a pietra, molto più ricche di vitamine e minerali, con le nuove tecnologie». Per salvare l’antico mulino il giovane calabrese crea la start up Mulinum srl, lancia un crowdfunding sul web, e in 3 mesi raccoglie 500 mila euro (record mondiale per le start up agroalimentari), con donazioni da tutta Italia e dalla Svizzera. Il segno, secondo lui, che il brand «agricolo» tira, e che «se l’agricoltura soffre è solo perché non sa sfruttare le nuove potenzialità della rete». Rete in senso digitale, «indispensabile per la comunicazione e la pubblicità», ma anche «umana, fatta di amicizie e relazioni imprenditoriali». Come quelle che si catalizzano intorno al mulino calabrese, demolito e ricostruito ex novo con criteri di bioedilizia, rimesso in funzione con le macine e gli ingranaggi originali, e dove si lavorano esclusivamente grani antichi biologici di filiera corta: il Senatore Cappelli, Verna, Maiorca, il farro monococco, la segale. Grani ‘naturali’, a differenza dei ‘moderni’ ad alta produttività (geneticamente alterati con i raggi gamma), ad altissimo valore nutritivo. Fatti fuori dal mercato, dice Stefano, non, come si crede, per il loro scarso rendimento (20 quintali a ettaro contro 60) «ma per carenza di informazioni», e «perché gli agricoltori italiani, pur producendo, non sanno fare rete per trasformare e commercializzare i prodotti».
L’impresa decolla, il grano viene pagato agli agricoltori 50 euro al quintale contro i 18 dei grani normali, la remunerazione di Mulinum srl è garantita dalla vendita delle farine (2,50 al chilo anziché 1,50) e dei prodotti, «un po’ più cari», dice Stefano, «ma di una qualità molto apprezzata dai consumatori più informati e consapevoli». E il giovane di San Floro decide il salto: con un nuovo crowfunding cerca in tutta Italia agricoltori disposti a scommettere con lui «sulla terra come ritorno al futuro», e la Toscana risponde.
Così a Buonconvento, in Val d’Orcia, con il 1 milione di euro raccolto e l’adesione di 120 soci, nascerà presto il primo polo Mulinum fuori dalla Calabria, forte di 10 aziende agricole locali e 1.000 ettari di seminativo e un nuovo mulino a norma di bio-architettura, che, ottenuto il via libera del Comune, sarà costruito in 120 giorni, con tanto di macine antiche in quarzo (recuperate nel sud Italia). E che, come già quello di San Floro, non sarà solo un mulino, «ma una vera e propria vetrina della produzione a filiera corta», dove, dopo aver attraversato i campi di grano guidati da un agronomo, si potranno visitare la sala macine e la sala dei forni, assistere alla macinatura, alla lavorazione e alla cottura dei pani e degli altri prodotti, assaggiarli e acquistarli.
Info www.mulinum.it
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/