Il rischio nascosto nei neo nazionalismi.

« Siamo in guerra» si dice nell’Europa sconvolta dal terrorismo. Che sia slogan, scelta politica, reazione emotiva o tutte queste cose poco importa. Conta l’adesione delle opinioni pubbliche all’idea che non si tratti solo di orrendi attentati, bensì di una dichiarazione di guerra al cuore delle nostre società. In guerra, come ricorda Canetti, «le religioni nazionali si acutizzano in modo particolare», anche se non si sa bene di che pasta sia fatta questa «religione» nazionale: un misto di lingua, storia, identità, confini, valori condivisi, ma non più determinati da razza, origini etniche, pratiche religiose. In tempi di prosperità, l’Europa ha felicemente convissuto con l’indeterminatezza delle identità nazionali, coltivando il progetto dell’integrazione politica, oltre che monetaria. E la consapevolezza delle tragedie provocate dai nazionalismi nel corso dell’ultimo secolo ha favorito il riconoscimento di un’identità sovranazionale. La crisi economica, le reazioni miopi delle classi dirigenti, l’immigrazione incontrollata, l’allargamento improvvisato hanno spianato la strada a movimenti xenofobi, populisti, antieuropei, che un po’ dovunque hanno complicato la vita dei governi e il processo di adesione al progetto europeo. Lo «straniero» visto come concorrente o come nemico è diventato un luogo comune costruito non solo su pregiudizi, ma anche sulla percezione che troppe situazioni stiano sfuggendo di mano. Il primo campanello d’allarme è stato la bocciatura francese del trattato costituzionale. Il secondo, ancora in Francia, è stato la rivolta delle periferie che ha evidenziato il potenziale eversivo di masse di giovani poco integrati, immigrati di seconda e terza generazione, ma di nazionalità francese, disoccupati come milioni di giovani europei. Da allora, sono rintoccati molti altri campanelli, ma sono spesso prevalsi egoismi nazionali, miopi calcoli contabili, inconsistenza sulla scena internazionale, sterili opposizioni fra Nord e Sud d’Europa. Il terrorismo ha stravolto le questioni sul tappeto. Gli argomenti del facile populismo trovano oggi dignità nella riscoperta del nazionalismo, inteso come identità, valori, luogo di nascita, religione. Anche sotto questo profilo, la Francia ha preparato il terreno. Chirac fece votare una legge sui principi della laicità, che si tradussero in un divieto di veli e simboli religiosi. Sarkozy lanciò un dibattito sull’identità nazionale che di fatto si concentrò sul rapporto con una religione, l’Islam. Da Hollande è giunto un solenne richiamo ai valori della République : solidarietà, integrazione, libertà di espressione. Ma la loro traduzione suona nel senso che se i «valori sono minacciati» c’è qualcuno che li minaccia e contro il quale occorre sollevarsi, combattere. L’«alternativa» nazionale, la paura di perdita d’identità, della «sottomissione all’Islam», dell’«aggressione esterna» — prerogative del populismo — sono entrate nel linguaggio comune, nei media, nei programmi dei partiti, nell’editoria di successo, come dimostra il caso Houellebecq. Anche il dibattito su Schengen risente della preoccupazione di difendere confini nazionali rispetto all’ideale della libera circolazione. Di questo passo, l’Europa rischia di perdere ancora il treno della Storia. La riscoperta dei nazionalismi allarga il solco tra Nord e Sud, accentua le forze centrifughe, dà dignità di proposta politica al populismo. Poco o nulla di ciò che potrebbe salvarci — difesa europea, integrazione politica, ricerca, investimenti — viene seriamente portato avanti. «Siamo in guerra», ma disarmati agitiamo le bandiere di un altro secolo. mnava@corriere.it