Il Chiostrino dei mille colori.

Santissima Annunziata Restaurato grazie ai Friends of Florence il luogo dei maestri del ManierismoAntonio Natali: «Rappresenta la lungimiranza dei Servi di Maria, che manca a politici e imprenditori».

Centrale nella storia. Ma periferico, se guardiamo alle vie del turismo. Il Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, che torna oggi al suo splendore dopo 4 anni di restauro, è l’emblema di una contraddizione tipica della Firenze odierna: «Non siamo in un luogo affrescato: siamo di fronte alla rappresentazione della lungimiranza», ammonisce Antonio Natali. Ma al contempo «i fiorentini non lo conoscono», e l’amministrazione «non lo valorizza», preferendo occuparsi di chi «viene qui tre ore e guarda solo il David e Botticelli». L’ex direttore degli Uffizi usa il ricordo dei Serviti, l’ordine fiorentino dei Servi di Maria artefici di fortune fiorentine che nel mondo attuale non conoscono pari, per bacchettare la mancata lungimiranza attuale di politici e «imprenditori con braccia tanto corte che non arrivano alle tasche». Si legge: tirchi. È durato quattro anni e costato 467 mila euro il restauro che ci restituisce a pieno splendore il Chiostrino dopo 50 anni dagli ultimi lavori che lo stesso soprintendente Andrea Pessina ha accusato di aver reso «ancor più difficoltoso il restauro attuale». I lavori, finanziati dalla fondazione Friends of Florence ed eseguiti da Gioia Germani, Cristiana Conti e Alessandra Popple, riportano all’attenzione pubblica il gruppo pittorico di dodici lunette affrescate dai grandi maestri della Firenze fra Quattro e Cinquecento: Andrea Del Sarto, Pontormo, Rosso Fiorentino e con loro il Franciabigio, che hanno dato vita alla «maniera moderna», un momento chiave nella storia dell’arte. Con scene di natività, adorazione dei Magi e «cosa assai rara — sottolinea Natali — il viaggio dei Magi». «Meno male ci salvano gli americani» aggiunge riferendosi a Friends of Florence, la cui presidente Simonetta Brandolini d’Adda ricorda «la necessità di mantenere qui decoro e pulizia giorno dopo giorno, anno dopo anno». A ringraziarla si aggiunge Anna Mitrano del Fondo Edifici di Culto, l’ente ministeriale «proprietario» del complesso: «È un esempio di mecenatismo non politico ma umanistico». Il lavoro non finisce mai, anzi «è il primo passo di un più completo progetto per tutta la piazza» anticipa l’architetto Giorgio Caselli a nome di Palazzo Vecchio. Il restauro non è la fine, ma l’inizio dunque. Anche se il priore Gabriele Alessandrini scherzando cita l’Apocalisse 21.5 : «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» come metafora del restauro come concetto. Sono tre i fattori «traumatici» che hanno minato la salute del chiostro, spiegano le restauratrici: prima della copertura del 1913 era soggetto alle intemperie: «Umidità e sbalzi termici hanno comportato solfatazioni, imbianchimenti, distacchi di varia entità». Va ricordata inoltre «la pratica di esporre ex voto corredati di lampade a olio e candele» che ha causato altre lesioni. Tanto che «nel 1785 il granduca Pietro Leopoldo ordinò la rimozione di tutti gli ex voto che vennero poi bruciati in piazza». Ma soprattutto il lungo alternarsi di restauratori di epoca pre-tecnologica che utilizzavano sostanze organiche «hanno portato alla saturazione del colore». Un sistema di interventi che «sul finire degli anni Cinquanta causò il distacco di tutte le lunette» .

 

Giovedì 26 Ottobre 2017 Corriere Fiorentino.

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