IL PREMIER VINCE FACILITATO DALLE DIVISIONI DEGLI AVVERSARI.

di Massimo Franco

I tre tronconi in cui è diviso il Parlamento sono usciti formalmente indenni dal voto sulla riforma costituzionale: almeno nel senso che non ci sono state scissioni né dissociazioni clamorose. Ma il saldo è diverso per Pd, FI e M5S. Il governo di Matteo Renzi riemerge rafforzato dal «sì» netto della Camera; e potenzialmente in grado di attrarre pezzi dell’opposizione. D’altronde, la minoranza del Pd si conferma divisa perfino sulle proposte alternative a quelle di Palazzo Chigi.
E FI si ritrova con diciotto deputati che avvertono Silvio Berlusconi di non essere d’accordo sul «no» alle riforme: avanguardie di un’attrazione forse fatale per Renzi, e di un malessere più profondo dei numeri ufficiali. Quanto al Movimento 5 Stelle, è rimasto fuori dall’Aula, confermando la sua vocazione antisistema. Verrebbe da dire che Palazzo Chigi è circondato da un nugolo di avversari che però non sono in grado di contrastarlo né di insidiarlo seriamente. E, di forzatura in forzatura, come gli rimproverano le opposizioni, sta ottenendo quello che voleva.
Nessuno pensa che la guerriglia sia finita ieri. I numeri del Senato si presentano meno rassicuranti per il governo di quelli della Camera. È anche vero, però, che quando si voterà lì le elezioni regionali saranno già alle spalle. E i «no» berlusconiani e la compattezza di facciata di FI potrebbero sgretolarsi d’incanto. L’ex premier ha cercato di valorizzare la tenuta del suo partito, evocando una presunta centralità tra «nuova destra populista» e «falso riformismo della sinistra». La sua analisi, in realtà, finisce per dare corpo alla tenaglia della Lega di Matteo Salvini, peraltro sua alleata, e di Renzi, che gli toglie spazio e ossigeno politico.
Renzi ieri ha assegnato al vicesegretario Lorenzo Guerini il compito di spiegare il motivo di una riforma costituzionale approvata a maggioranza. E non gli è stato difficile additare le contraddizioni di FI, che al Senato aveva contribuito al «sì»: le stesse evidenziate da una dissidenza berlusconiana inquieta. Il problema è che accadrà di qui a giugno. Dipenderà molto da FI. Se dopo le Regionali il centrodestra e Berlusconi riusciranno a contenere la diaspora, per il governo il Senato potrebbe diventare una trappola.
Soprattutto sulla riforma dell ’Italicum , gli avversari di Renzi nel Pd sanno di giocarsi la sopravvivenza come candidati alle elezioni. Ma il calcolo e la speranza di Palazzo Chigi sono altri. Il premier confida che emerga un’area grigia di deputati e senatori d’opposizione, pronti ad appoggiare i suoi provvedimenti anche contro Berlusconi. Un po’ perché temono che altrimenti si sciolgano le Camere. Un po’ perché tendono a considerare chiusa la parabola dell’ex Cavaliere e vedono in Renzi un leader con valori che condividono: gli stessi che invece nel Pd fanno covare una scissione.