Il piccolo Charlie e la speranza confusa con la scienza.

È POSSIBILE parlare del caso del piccolo Charlie Gard senza offendere la sensibilità di alcuno o fugare il turbamento che in tanti hanno provato nel leggere l’evolversi, o meglio, l’avvitarsi dell’intera vicenda? No, non credo, malgrado siano stati in tanti, ottimamente, a descrivere le condizioni mediche e la scrupolosità con cui i dottori inglesi si sono accostati allo stato di salute del bambino e alle sue prospettive di cura. DIFFICILE anche affrontare la questione considerando il solo punto di vista scientifico perché sembra quasi di offendere il dramma vissuto dal bambino e dai suoi genitori.
Per molti aspetti, al crescere dell’attenzione mediatica è coinciso l’allontanarsi dalle concrete condizioni del piccolo. Alle evidenze cliniche si sono sostituiti i Principi – con le maiuscole – , insofferenti ad ogni possibilità di bilanciamento e alla ragionevolezza che, in altre occasioni, avrebbe fatto parlare l’esperienza. È sembrato quasi di rivivere, nella drammatica esperienza vissuta loro malgrado dai coniugi Gard, la tensione di una Antigone contrapposta a Creonte, laddove i primi che ubbidiscono alla legge primordiale “del diritto alla speranza” si sono opposti ad una cinica legge dello Stato, dei tribunali e soprattutto della scienza medica che di speranze, dolorosamente ma giustamente nel momento in cui non ci sono prove, è stata avara fin dall’inizio.
Provando a restare distanti dal caso specifico, è comunque necessario affrontare la questione dell’opportunità e delle modalità sufficienti a consentire l’uso di terapie e protocolli sperimentali in atto solo su roditori. È un aspetto che merita un’attenta riflessione, comprendendo come vi siano limiti e condizioni laddove anche la speranza si deve arrestare per evitare la degenerazione di un malato, contro o in assenza di una sua volontà, a precoce cavia di trattamenti in larga parte ancora ignoti.
Oggi, però, di fronte all’esito e al dolore dei coniugi Gard, forse è bene che l’opinione pubblica mondiale – questo è ormai il perimetro del caso – si ritragga riconoscendo anche a loro, che se ne sono volontariamente spogliati, quella riservatezza che deve accompagnare l’ultimo saluto.
Della fondazione che i coniugi Gard preannunciano l’imminente costituzione per lo studio della sindrome da deplezione del Dna mitocondriale, frutto doloroso della mobilitazione mondiale per una ipotetica cura, confido possano beneficiarne tutti quei ricercatori che sulle malattie rare spendono la propria esistenza affinché, con i tempi propri del metodo scientifico, possano corrispondere alle comprensibili aspettative di cura dei genitori di oggi e di domani. L’autrice è docente presso l’Università Statale di Milano e Senatrice a vita
La Repubblica.