il paracadute dell’Europa

 

di Federico Fubini

 

Nel 2008, nel pieno del contagio finanziario che aveva preso in una morsa le banche di tutto il mondo, Angela Merkel citò Goethe: «Se tutti spazzassero di fronte alle propria porta, ogni quartiere della città sarebbe pulito». Rifiutava l’idea una risposta europea per fermare lo smottamento.

L’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, che l’aveva proposta, tradusse: Chacun sa merde . Quindi la cancelliera tedesca passò a farsi approvare 44 aiuti di Stato alle banche. Ci sarebbero voluti altri tre anni e danni incalcolabili prima che acconsentisse a un approccio comune dell’area euro alla crisi. Che una citazione di Goethe sia nell’aria anche stavolta si inizia a percepire da certi piccoli segni. Non dalle parole della cancelliera, benché sempre caute. Quando Merkel ricorda che il Patto di stabilità ha «sufficiente flessibilità per situazioni straordinarie», dice anche che quelle regole si applicano comunque all’Italia: niente deficit sopra al 3% del prodotto lordo (quasi impossibile da rispettare, nel 2020) e interventi solo mirati e limitati. E quando precisa che «farà quanto necessario», afferma qualcosa di diverso dal «qualunque cosa serva», che Mario Draghi alla Banca centrale europea affermò otto anni fa e l’Italia con Emmanuel Macron, oggi al posto di Sarkozy, vorrebbero trasformare nell’approccio comune dei governi alla recessione in arrivo.

I segni che la sindrome di Goethe serpeggi si notano. L’altro ieri nella teleconferenza dei leader europei, solo Italia, Francia e Spagna hanno chiesto un piano comune di rilancio dell’economia. Non è il pacchetto da 25 miliardi di euro volenterosamente offerto dalla Commissione Ue: di fronte al crollo della domanda, al rischio di fallimento delle compagnie aree, di interi comparti del turismo e delle infrastrutture, serve un pacchetto da centinaia di miliardi. E subito, dato il crollo in corso in alcuni Paesi e imminente in altri. Fatto insieme da tutti i governi, quel piano avrebbe l’effetto moltiplicatore della simultaneità e del segnale di fiducia ai cittadini.

Merkel invece ha detto poco, l’altro giorno. Ma si è capito che si prepara soprattutto a chiedere una sospensione delle regole sugli aiuti di Stato che le permetta di regolare le sue questioni aperte. Ci sono da risolvere i problemi di Deutsche Bank e Commerzbank, i due colossi del credito in Germania, dei quali i prezzi di Borsa dicono in pratica che quattro quinti del bilancio valgono zero. C’è Lufthansa che rischia e solo su aprile ha dovuto cancellare 23mila voli. La cancelliera vuole spazzare la neve davanti alla propria porta e conta sul fatto che la Germania ha ben 29 posti letto in terapia intensiva ogni centomila abitanti: la disponibilità più alta d’Europa, il doppio della Francia e tre volte più dell’Italia.

Quanto all’Olanda e agli scandinavi, sono ancora più riluttanti di fronte alle proposte del premier Giuseppe Conte, dello spagnolo Pedro Sánchez e di Macron. Un segno di tanta reticenza lo si è visto ieri a Bruxelles quando agli ambasciatori dei 27 Paesi è stata data l’agenda per il prossimo vertice europeo del 26-27 marzo. Era immutata rispetto a quella di settimane fa, con la più grande pandemia da mezzo secolo giusto aggiunta a fondo pagina.

Su questo sfondo, per ora la Bce sarà di nuovo lasciata sola a tenere il sistema a galla. Sotto la nuova guida di Lagarde, oggi annuncerà molto: meno vincoli regolatori per le banche, nuova liquidità da prestare alle imprese strozzate dalla pandemia, magari anche un aumento degli acquisti di titoli di Stato (il quantitative easing ) e un taglio dei tassi ancora più in negativo. Lagarde insiste e insisterà ancora per archiviare Goethe a reagire tutti insieme. E non è detto che alla fine, con la cancelliera, lei non risulti più convincente di Sarkozy.

 

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