Il futuro di Mps Contro gli entusiasmi riduttivi

Rinasce in molti l’idea che il Monte dei Paschi di Siena ce la faccia da solo a superare le difficoltà che da tempo hanno suscitato inquietudine e incertezza. Le cifre snocciolate dall’Ad Guido Bastianini nel presentare l’ultima trimestrale e nel tracciare un quadro complessivo della situazione della banca hanno impresso una svolta al convulso dibattito, ridando fiato a un tema che sembrava da accantonare decisamente. Con 388 milioni di utili incassati in nove mesi e la scomparsa dell’incubo di una carenza di capitale, almeno fino all’autunno 2022, l’orizzonte si rischiara. Ma cedere all’euforia sarebbe errato. L’aumento di capitale da ottenere a condizioni di mercato è pur sempre necessario e urgente. Un nuovo piano industriale da attuare entro il 2026 dovrà esser presentato e il confronto tra Mef e Direzione della concorrenza della Commissione di Bruxelles è tuttora in corso anche per conseguire un’indispensabile proroga delle scadenze in calendario. Insomma il consolidamento raggiunto in autonomia va registrato con soddisfazione, ma parecchie  strade restano aperte e vanno valutate tenendo presenti i mutamenti del risiko bancario. La costituzione di un terzo polo pubblico comprensivo di Mps è – almeno per ora – da archiviare, non solo per le cogenti prescrizioni europee. La trattativa con Unicredit è fallita poiché ha prevalso un cinismo che ha impedito qualsiasi logica di holding, come sarebbe stato conveniente verificare. Si è preteso di acquisire le parti più vitali della banca di Rocca Salimbeni puntando su un sostegno pubblico esorbitante e annullando totalmente storia e funzioni di una vicenda lunga secoli. Il mercato è fatto di tanti elementi e averlo ridotto a calcoli di stretto e immediato tornaconto non è stato accettabile. E ora che fare? Il nuovo piano in elaborazione e le varie scelte ipotizzabili non sono impegni da affrontare con rassegnazione o da subire di malavoglia. Neppure da semplificare con boria. Se si analizza il recente passato, è evidente che proprio l’aver interpretato la trasformazione dell’lstituto di credito di diritto pubblico in Spa con ritardo e senza avviare i mutamenti di gestione e di cultura manageriale conseguenti è stato uno dei fattori determinanti della crisi del Monte. La nuova fase che s’intravede chiede flessibilità di visioni e apertura a formule da soppesare con prudenza e realismo. La via stand alone che torna in auge non è la sola su cui attestarsi. Non è detto che il Monte riesca in solitudine a trarsi fuori dagli impacci. Il positivo rapporto esibito è un viatico confortante . Immutata comunque deve restare la volontà di risollevarlo facendone ancora una presenza forte in un sistema da rafforzare e slargare. Certo: anche le piccole e medie banche meritano un adeguato spazio. Aver esaltato la dimensione e le concentrazioni quali operazioni risolutive da parte delle autorità europee ha prodotto, insieme a successi, illusioni e sconfitte. Muoversi oggi all’insegna del «piccolo è bello», restringersi ad un’operatività regionale e assistita, non è la salvifica strada dell’agenda da definire. Occorre coraggio: più che piantare paletti difensivi e timorosi è il momento di accettare la sfida di riforme dure e ragionevoli. Guardando al presente e immaginando il futuro.

                                                                                                                           Roberto Barzanti       

“L’Economia” “Corriere Fiorentino”, 8 novembre 2021, ed.