Il futuro del Monte

primo: stop al teatro politico

 

L’esultanza con la quale alcuni soggetti politici o esponenti di gruppi in vena di quotidiane esternazioni hanno salutato la definitiva interruzione delle trattative tra governo e Unicredit è la spia di duraturi malintesi e aspri contrasti. Le campagne elettorali da noi son gestite più per incentivare un’accattivante propaganda che per parlar chiaro rafforzando la consapevolezza delle prospettive da affrontare. Così è stato – sembra – per il futuro del Monte dei Paschi. Il canovaccio è il solito.  Proprio ora che è indispensabile ritrovare un spirito di concordia riprendono vigore le baruffe di sempre. Si sa che gli orientamenti delle istituzioni locali non possono avere un ruolo determinante nella faccenda e che essenziale rimane l’interlocuzione tra governo centrale e autorità europee, ma il fatto che il Tesoro abbia una parte così preponderante nel capitale Mps consente di pretendere almeno ascolto. Passare in rassegna giudizi o indicazioni è sconfortante. Il commissario provinciale della Lega ha attribuito a Salvini il merito di aver impedito la svendita della banca e non ha  formulato alcuna proposta alternativa. Ma, allora, quando si è unanimemente insistito sui paletti da rispettare per non imbastire un’inaccettabile operazione a vantaggio esclusivo di Unicredit si recitava una parte tanto per fare! Il sindaco Luigi De Mosi se n’è uscito con un’ingiunzione lapidaria: «adesso il governo e la politica facciano la loro parte». Come se il Comune, la Regione, i sindacati e quanti altri dovessero assistere passivamente ad una rappresentazione loro estranea. Si preferisce dar la colpa del mancato accordo al Pd anziché criticare l’esoso comportamento di Orcel, quasi che, a furia di alzare l’asticella dell’intervento pubblico fino a portarla nell’insieme a quota 8 miliardi e passa, non fosse stato uno degli impedimenti cruciali. Il Pd, attraverso Enrico Letta, ha insistito sui temi sociali che più premevano, mai però mettendo in discussione l’impostazione di partenza, che già faceva intravedere un’ardua strada in salita. Per difendere il prestigioso marchio e una presenza riconoscibile del Monte occorreva battersi per logiche di holding o di aggregazione in grado di non considerare la banca senese un magazzino dal quale prendere, a costo zero, solo ciò che fa comodo. Ora il Pd si dice contrario alla «svendita», termine mai pronunciato fino a ieri. Il movimento civico “Per Siena” è favorevole alla costruzione di una Banca Pubblica di Investimenti che associ altri soggetti e si specializzi nello sviluppo dell’economia verde. Definire un modello vincente alimentato da risorse pubbliche è segno di eccessivo orgoglio, ma è pur sempre un’idea che entra nel merito delle cose. Il presidente Eugenio Giani, da parte sua, valorizza gli incoraggianti risultati che la banca comincia a ottenere e invoca, come tutti, proroghe di tempo per la privatizzazione, avendo in cuor suo un docile Monte, autonomo e toscano: con le  conseguenze sulla struttura e sull’occupazione che è facile immaginare. Queste le parti della commedia politica, ma il vecchio canovaccio va buttato. Istituzioni e partiti hanno il compito di sollecitare un progetto tecnicamente fondato e innovativo. Nessuna via è da scartare a priori, tranne un sentiero che si accontenti di avere a disposizione una banchetta al servizio di miopi interessi di bottega. Questa sarebbe la vera sconfitta. È necessario che riprenda su basi realistiche la ricerca di interlocutori lealmente tesi a varare un assetto solido, all’altezza dei fini comuni da condividere e perseguire. In Italia e in Europa.

Roberto Barzanti

“Corriere Fiorentino”, 26 ottobre 2021

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