IL DISSENSO NEL CARROCCIO CHE ROMPE UN FRONTE

 

di Massimo Franco

 

Finora era il fronte della maggioranza a mostrare smarcamenti di peso sul referendum rispetto al «sì» al taglio dei parlamentari. A destra, a parte Silvio Berlusconi, Lega e Fratelli d’Italia sembravano compattamente allineati al M5S e a un Pd in obiettiva sofferenza. Ma da ieri, nel Carroccio è stato rotto un tabù. L’ex sottosegretario a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che voterà «no». Anzi, «voterò no convintamente», ha dichiarato durante un comizio. E ha definito il taglio «improponibile».

Secondo Giorgetti, la riduzione imposta dai grillini e ufficialmente appoggiata quasi da tutti limiterebbe la volontà popolare e darebbe forza alle oligarchie. In più «sarebbe un favore a un governo in difficoltà». Le sue parole, riportate da Ticino notizie, riflettono la volontà di rimarcare una posizione agli antipodi rispetto a quella ufficiale di Matteo Salvini e della leader di FdI, Giorgia Meloni. E sottolineano il dissenso rispetto a una scelta ritenuta a vantaggio soltanto dei Cinque Stelle.

Non è chiaro se l’elenco col quale il vicesegretario leghista ha spiegato il proprio «no» sia stato fatto in ordine di importanza. Il sospetto è che l’ultimo dettaglio, e cioè l’esigenza di evitare «un favore» all’esecutivo di Giuseppe Conte, sia l’aspetto più rilevante. E non solo perché il premier si è espresso per il «sì». Già da FI, nelle ultime ore, era arrivato qualche segnale per invitare tutta l’opposizione a votare «no». Ma nella risposta di Giorgetti si indovina anche il malessere di quella parte di elettorato leghista che si mostra poco convinto dell’appoggio a un referendum ritenuto «grillino».

E qui spuntano le domande su un dissenso nella Lega che fatica a emergere per i successi elettorali collezionati da Salvini. Eppure tende a affiorare a intermittenza, con Giorgetti indicato come uno degli esponenti più critici anche per la linea antieuropea di alcuni degli uomini più vicini al leader. Il problema è che la Lega ha avallato la riforma costituzionale voluta dai Cinque Stelle: come aveva approvato il reddito di cittadinanza quando erano alleati di governo. Anche per questo oggi diventa più difficile dissociarsi.

Cresce la sensazione che il referendum diventerà una delle armi delle rese dei conti interne non solo nella coalizione governativa. Non basta parlare di scontro tra politica e antipolitica, o tra protettori e demolitori di privilegi. A guardare bene, Conte e Salvini, pur nemici, sul referendum sono dalla stessa parte. Quando Beppe Grillo, benedicente, dice al premier e al ministro degli esteri Luigi Di Maio che stanno lavorando bene, per quanto la sua presunzione induca al sorriso, ha ragione: nel senso che il grillismo in agonia sta minando le altre forze politiche.

 

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