Il diplomatico che dal Vaticano dialogavacol blocco dei Paesi comunisti

Il ricordo il cardinale Achille Silvestrini

Erede della scuola di Tardini e Cicognani

La «Ostpolitik» e il rapporto con Wojtyla

di Andrea Riccardi

 

Si è spento il cardinal Achille Silvestrini, 95 anni, espressione della grande scuola dei diplomatici italiani del Vaticano. A differenza di tanti colleghi, non si era mai spostato dal Vaticano, dove si era sviluppata tutta la sua carriera fino a diventare «ministro degli Esteri» vaticano nel 1979 (era entrato in diplomazia nel 1953), succedendo a Casaroli divenuto Segretario di Stato di Giovanni Paolo II.

Il Papa polacco non era favorevole alle posizioni di Casaroli e Silvestrini, che avevano condotto la politica orientale della Santa Sede dialogando con i regimi comunisti (e in Polonia, soppiantando il ruolo dell’episcopato). Ma lo stesso primate polacco Wyszynski consigliò al nuovo Papa di servirsi dei diplomatici vaticani, proprio per la sua inesperienza politica. Infatti la scuola diplomatica vaticana, che risaliva a Tardini (di cui il giovane Silvestrini era stato collaboratore), ma anche allo stesso cardinal Gasparri, firmatario dei Patti del Laterano, era caratterizzata da un impegno di contatto con i governi, convinta che la Chiesa — nei limiti del possibile — dovesse negoziare realisticamente per garantire la libertà religiosa dei fedeli e favorire un clima di dialogo.

Il rapporto con i molti «ragazzi» di Villa Nazareth, che pro-muoveva lo studio dei giovani

Giovanni Paolo II aveva incorporato la «dottrina diplomatica» nella sua visione, servendosi di Silvestrini e Casaroli. Aveva utilizzato il primo come rappresentante nel processo di Helsinki per la pace e la sicurezza in Europa e poi alla conferenza per il disarmo. Nel 1983 lo aveva inviato in Centro America a preparare un suo viaggio in un clima difficile nel Nicaragua sandinista e rivoluzionario e in El Salvador, dove era stato assassinato monsignor Romero (e Wojtyla s’impuntò per pregare sulla sua tomba). Decisivo fu l’impegno di Silvestrini nella riforma del concordato in Italia. Nel 1988 Giovanni Paolo II lo creò cardinale per metterlo alla testa del tribunale della Segnatura apostolica, posizione poco confacente alle sue capacità. Infatti nel 1991, lo spostò alla testa delle Chiese orientali, ruolo che occupò con grande sensibilità fino al 2000. Intanto si affermava una diversa Segreteria di Stato che ruotava attorno alla figura del cardinal Sodano. La tradizione casaroliana veniva archiviata — confidava il cardinal Silvestrini.

Esperto di Europa orientale aveva seguito con passione le vicende dell’89

La sua biografia sembra quella di un uomo interno all’istituzione: sempre in Curia. Veniva poi da quella che in tempi più recenti sarebbe stata chiamata una «cordata»: vari cardinali, tra cui i fratelli Cicognani, venivano come lui dalla piccola diocesi di Faenza. Un sistema di cooptazione che, però, funzionava e aveva prodotto personalità notevoli.

Critico con la Cei di Ruini, avverso alla politica di Berlusconi, guardò con interesse a Prodi Silvestrini aveva — come ricordano i molti che l’hanno conosciuto — una grande apertura alla realtà e una forte esperienza umana. Non sbrigava solo affari, ma perseguiva una visione. E tale visione era nutrita da una vasta cultura, da molte letture e da un grande senso storico. E poi c’era il rapporto umano con i molti «ragazzi» — come diceva — che erano passati per Villa Nazareth, l’istituzione romana per promuovere lo studio dei giovani (cui è stato legato anche il premier Conte), fondata da Tardini, cui dedicava tanto tempo. Anzi, con la crisi del ’68, quando si verificò una spaccatura tra la dirigenza di Villa Nazareth (su posizioni più rigide rispetto ai giovani) e i ragazzi che furono espulsi, Silvestrini, semplice prete allora, sostenne questi ultimi, accogliendoli in alcuni appartamenti fuori dall’istituzione.

Esperto di Europa orientale e di mondo comunista (il comunismo era anche realtà decisiva della sua Romagna), aveva seguito con passione le vicende dell’89: per lui non era solo una vittoria politica, ma una realtà che apriva grandi spazi, in cui la Chiesa avrebbe dovuto avere un nuovo ruolo. Molto attento era anche alle tematiche mediterranee e all’intreccio tra religioni e politica. La politica era una sua passione, seppure con il riserbo del prelato. Critico sulle scelte della Cei del cardinal Ruini, avverso alla politica di Berlusconi, aveva guardato con interesse a Prodi. Silvestrini, personalità poliedrica, ha rappresentato un riferimento per tanti nel mondo della Chiesa e fuori. Era un po’ un prete «fuori dalle mura». Si ricorda, ad esempio, il suo rapporto con Spadolini e con altre personalità laiche (come il dialogo con Pietro Ingrao). Da anni viveva ritirato, non isolato, circondato dall’affetto dei familiari e dei suoi ex «ragazzi» di Villa Nazareth.

 

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