Maestri Esce domani per Adelphi il libro postumo dello scrittore, centrato sul mistero cristiano dell’Apocalisse. Il sacrificio del sangue che riscatta l’umanità: l’ultima lezione di Roberto Calasso.
di Giorgio Montefoschi
«Tutto comincia con l’Agnello dell’altare di Gand», scrive Roberto Calasso all’inizio del suo ultimo libro, Sotto gli occhi dell’Agnello (in uscita domani per Adelphi). «È il primo essere adorato, integro, candido. Ed è il primo essere che viene ucciso. Nessuno ha detto perché». Il suo sguardo, impassibile, viene da una distanza infinita; ma la ferita che ha nel petto, dalla quale sgorga lo zampillo del sangue raccolto in una coppa, non è la ferita slabbrata di una pietra o di una lama: è tonda come il foro provocato da una pallottola. Una ferita contemporanea, dunque.
Chi, prima di accostarsi a Sotto gli occhi dell’Agnello ha letto nel 2010 L’ardore, il libro del medesimo Autore sul sacrificio nell’India vedica di tremila anni fa, sa che l’opera unica, in diversi libri, o capitoli, scritta da Calasso sugli uomini e sugli dèi, iniziata nel 1983 con La rovina di Kash, non era improbabile che potesse concludersi qui: nel mistero cristiano. Sa anche che il riscatto operato da Gesù, «unico e ultimo», attraverso il suo sacrificio, per la salvezza dell’uomo, «è stato preceduto da altri, parziali e provvisori, sin dall’inizio dei tempi, operati dal sangue di un animale: l’agnello divino, Agnus Dei» — come, appunto, nell’abisso dei Veda. Sa, infine, che il riscatto, non è mai definitivo: «Ogni volta. Agli uomini era concesso, per qualche tempo, un senso di liberazione, senza impedimenti, ma presto tornavano alla condizione di ostaggi in attesa di riscatto, nuovamente in attesa del sangue dell’agnello divino».
Abele è il primo a compiere il sacrificio di un animale del suo gregge. Noi — scrive Calasso — non sappiamo e non possiamo sapere per quale motivo Iahvè lo abbia prescelto. Forse, è possibile che lo abbia eletto perché Abele era un veggente (uno dei tanti che popolano la terra), aveva visto come era stato fatto il mondo, e ancora prima che fosse fatto il mondo aveva capito che il mondo sarebbe stato perennemente inciso dal sangue di un agnello; capito che «questo sangue sarebbe servito a riscattare parzialmente e temporaneamente gli ebrei, come accadde con la fuga dall’Egitto, finché un giorno sarebbe riapparso davanti agli occhi di Giovanni Battista nella figura di Gesù e questa volta il suo sangue avrebbe riscattato tutti per sempre». Tutto comincia con l’Agnello del Polittico di Gand: ma se Abele lo ha visto, questo significa che è già avvenuto. Come tutto, non solo l’Agnello, è già avvenuto: Prima. «L’Agnello — afferma Simone Weil — è in qualche modo sgozzato in cielo prima di esserlo sulla terra». Quindi, anche il sacrificio del Figlio è già avvenuto. Cosa dice, del resto, in Geremia (1,5) il Padre al Figlio con la sua estrema, dolorosa dolcezza, scolpita in un versetto che è la perfetta sintesi della teologia cristiana? Gli dice, mentre Geremia ascolta: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo/ prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato».
Nell’Apocalisse, la visione dalla quale, verso la fine del I secolo, fu folgorato un ebreo cristiano di nome Giovanni relegato nell’isola di Patmos, alla mitezza evangelica si oppone il furore. Gli uomini non sono più riscattati dal sangue che Gesù ha sparso per loro: sono tutti schiavi, compresi i profeti. In cielo compaiono mostri che con un solo movimento della coda cancellano le stelle; una bestia orribile sale dal mare; distruzioni e sciagure colpiscono credenti e non credenti, tutti indistintamente gli abitanti della terra. L’unica figura che «rimane illesa, ed è già ferita», è l’Agnello, apparso al centro di un trono fra quattro animali.
Il precedente
Il primo a sacrificare un animale del suo gregge è Abele. Ma perché Iahvè lo sceglie? Non lo sappiamo
Siamo nel culmine del libro di Roberto Calasso. L’Agnello, sanguinante, ha in mano un rotolo. Prima che lo svolga, il cosmo trattiene il fiato: è silente per mezz’ora. Cosa c’è scritto nel rotolo? C’è scritto che Dio, col suo sangue, ha riaperto la via della vita, non ci sarà più la morte, cancellerà per sempre le lacrime dell’uomo, come aveva promesso Gesù. «Ma — domanda allora Calasso — chi era venuto prima?». Ora, il Prima, tutto quello che era già scritto compresa la Croce, sembra abolito. La visione di Giovanni — con la discesa dall’alto della Sposa dell’Agnello, la Gerusalemme Celeste che non avrà bisogno di lampade perché la luce sarà quella divina — spalanca una nuova attesa: un cielo nuovo, una terra nuova. Come mai? «Come mai l’Apocalisse sentiva il bisogno di far crescere un novum sulla terra abolita? Non bastava che Gesù avesse riscattato gli uomini, tutti gli uomini? Ma l’Agnello di Dio continuava a sanguinare». Possiamo fidarci dell’ultima promessa che conclude il Nuovo Testamento, o l’Agnello primordiale sanguinerà all’infinito? Oppure il sangue si fermerà col ritorno, anche questo promesso, di Gesù?
Nel capitolo 14 (16-17) del Vangelo di Giovanni, Gesù conforta i discepoli dopo aver lavato loro i piedi: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscerete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi». È il Paracleto, l’avvocato, il nostro protettore; che però è già in noi. È lui, dunque il successore? Gesù prosegue (14,18-20): «Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi».
Qui, il verbo usato è il presente. Anche nel finale dell’Apocalisse, dove si dice che l’Agnello «è stato ucciso fin dall’origine del mondo», si torna al presente: l’eterno Presente nel quale tutto è stato scritto e tutto è avvenuto, come diceva il Padre al Figlio, sussurrandolo nell’orecchio di Geremia. Gesù, però, ha detto ai discepoli: non vi lascerò soli, verrò a prendervi e vi porterò con me. Così, nella confusione verbale, è inevitabile che i cristiani prigionieri del tempo, si domandino: quando?
Ma questo è solo uno dei tanti dilemmi che propone Sotto gli occhi dell’Agnello di Roberto Calasso: un libro essenziale, affilato, e incandescente.