Il destino del populismo nel tramonto dei suoi leader

di Ezio Mauro
A i due lati dello schieramento politico, due partiti si stanno sfarinando, Forza Italia e il M5S.
Viviamo da mesi dentro un Big Bang a effetto prolungato, che è ancora in corso e modificherà profondamente il quadro politico italiano, influendo sulle alleanze e spostando i confini che per anni hanno diviso i “campi” dei diversi schieramenti. Ma oggi le scosse si concentrano in particolare sul movimento grillino e sull’area berlusconiana, forze antagoniste e molto lontane tra loro, e tuttavia investite da una crisi che rivela alcuni caratteri molto simili, su cui vale la pena riflettere per cercare di capire il percorso di evoluzione del sistema. Sia il Movimento Cinque Stelle che Forza Italia pagano il prezzo di una trasformazione incompiuta e lasciata a metà. Ed entrambi i partiti sono entrati dentro questa metamorfosi sulla spinta degli eventi, non attraverso l’elaborazione di un processo politico. È mancata cioè una teorizzazione del passaggio, delle sue ragioni, dei suoi rischi e degli obiettivi: una cornice di senso, capace di spiegare e rappresentare il cambiamento. Per i grillini si tratta del trasloco dall’antisistema al governo del sistema, abbinato al voltafaccia dell’alleanza col Pd dopo la rottura con la Lega, e ora al sostegno a Draghi e alla Ue dopo anni di polemiche con l’Europa e i poteri forti.
Una scelta di rottura col passato che si fa ma non si dice, un passaggio dalla rivoluzione all’istituzione che si pratica ma non si può rivendicare, nel tentativo impossibile di tenere insieme tutto il Movimento, che infatti si è spezzato e continua a ribollire. Anche Forza Italia passa dal radicalismo al moderatismo, e come i Cinque Stelle non può rivendicarlo, per non lasciare interamente libero per Meloni e Salvini il campo della predicazione populista frequentato negli anni d’oro, e per non rompere con gli alleati estremi con cui governa città e regioni. L’estremismo è stato ampiamente praticato ogni volta che a Berlusconi serviva violentare l’ordinamento per ritagliarsi un lasciapassare di sicurezza e sfuggire alla giustizia che lo incalzava. Nel momento in cui questa esigenza non c’è più, il radicalismo non serve. Senza una spiegazione che giustifichi il passaggio e spieghi la nuova collocazione, Forza Italia si scopre “liberale”, accantonando il passato, come se fosse un cambio d’abito. Per entrambe le forze politiche sarebbe stato indispensabile un vero congresso, per valutare pubblicamente le alternative, discutere le scelte, schierarsi, votare e contarsi alla luce del sole, formando una maggioranza e una minoranza, e a questo punto incoronare una leadership coerente e legittimata. Ma tutti e due i partiti hanno un evidente problema di democrazia interna e da una parte come dall’altra il meccanismo decisionale non opera in trasparenza, con i vertici abituati piuttosto a confiscare le scelte decisive in riunioni ristrette, per poi chiedere alla base voti e approvazioni che sono in realtà plebisciti di conferma, elettronici o plaudenti.
La conseguenza evidente di questa mutazione imperfetta è un indebolimento parallelo di identità, che produce un inedito populismo intermittente. Dei Cinque Stelle non si sa ancora se sono di destra o di sinistra, visto il loro tentativo di restare una forza trasversale, acchiappatutto, almeno nelle intenzioni. Di Forza Italia non si capisce se è rimasta un partito di destra o se è diventata centrista. Tutto questo comporta inevitabilmente incertezze nella tattica di ogni giorno e soprattutto nell’indirizzo strategico delle due formazioni. Manca per gli uni e per gli altri un’interpretazione di sé, una coscienza della propria storia e del proprio ruolo, una dimensione culturale, e queste carenze si traducono quotidianamente in un posizionamento incerto, in prese di posizione estemporanee, con un’attenzione sproporzionata ai problemi interni di partito rispetto ai problemi del Paese. Sono i valori, gli ideali, gli interessi legittimi — cioè il patrimonio identitario — che determinano le scelte delle forze politiche: quando il tabernacolo è vuoto non ci sono scelte, ma improvvisazioni. La questione non è facilmente risolvibile perché sia Forza Italia che il Movimento Cinque Stelle sono senza guida.
I grillini hanno un leader in pectore, l’ex presidente del Consiglio Conte, che però attende di capire come il Movimento risolverà il conflitto con Casaleggio e se sarà in grado di riprendere la sovranità sui suoi iscritti, a partire dall’elenco sequestrato da Rousseau: siamo davanti a un caso limite, con la piattaforma che diventa partito, da strumento si fa soggetto, da contenitore pretende di trasformarsi in contenuto, cioè in politica corrente. Forza Italia non si basa invece sugli iscritti, bensì su una platea di votanti uniti non al partito ma al leader, in un rapporto insieme mistico e pagano non riproducibile perché non ereditabile da un gruppo dirigente, ritagliato com’è in esclusiva sulla figura e sul carisma del fondatore. C’è dunque un problema doppio di piena agibilità democratica da ricostruire, o meglio da introdurre per la prima volta nei due movimenti, e da sperimentare, in colpevole ritardo.
Il fatto è che Forza Italia e il M5S non vivono solamente una vacanza di potere o un’intermittenza nel comando, ma qualcosa di più profondo, che segna l’intera fase per gli uni e per gli altri: l’assenza del Padre. Generati da due specie diverse ma concorrenti di populismo, quei movimenti non hanno infatti avuto in questi anni al vertice una leadership tradizionale, ma la raffigurazione particolare ed eroica di un fondatore-vendicatore che riassumeva in sé ogni potere, tutte le scelte e l’intero destino dei due partiti.
Un’auto-rappresentazione leggendaria che operava nella sfera della realtà decidendo ogni indirizzo e gestendo il comando, ma soprattutto nella sfera simbolica, come un totem che autorizza e indirizza l’identità collettiva, assorbendo le differenze individuali e distribuendo la fede nella causa. Oggi lo spazio totemico è vuoto e per i Cinque Stelle come per Forza Italia manca non soltanto un leader, ma quell’unica autorità originaria indiscussa che conosceva il mistero della fondazione, custodiva l’ imprinting della genesi e il codice segreto dell’avventura. Senza, l’anomalia di rottura che ha sospinto in alto i due movimenti rifluisce fino a prosciugarsi, facendoli precipitare nella normalità per cui non sono stati costruiti e programmati, come dimostra oggi la loro difficoltà, ma soprattutto la loro incongruità.
Ciò che manca oggi sia ai grillini che a Forza Italia, a ben vedere, è infatti una forma particolarissima della potestà di comando: il potere di ideologia, la capacità cioè di ideologizzare la propria realtà nel senso di interpretarla e rappresentarla, costruendo un mondo, evocando un nemico e portando la propria porzione di popolo dentro questa mitologia politica, dandole un ruolo. Grillo e Berlusconi lo avevano fatto. Oggi quei due mondi si stanno spopolando. Può darsi che quei due paesaggi politici in declino ritrovino un protagonista. O può darsi che infine svaniscano. Il populismo crea, e il populismo distrugge. Stiamo vivendo la seconda fase.
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