Il cretino di destra

Il cretino di destra (cdd), che esiste né più né meno del cretino di sinistra, è di prevalenza un piccolo borghese dal punto di vista sociale. L’economista Paolo Sylos-Labini in un suo vecchio libro (Saggio sulle classi sociali, Laterza, 1974) definiva la piccola borghesia una “quasi classe” ossia un ibrido.  È una classe affetta da bovarismo: è una cosa e vorrebbe esserne un’altra, hegelianamente è una cosa “in sé” e un’altra “per sé”: la testa borghese, lo stomaco proletario. E adesso che non arriva a fine mese, parteggia ancora per le ragioni delle classi a essa superiori. Scriveva Sylos-Labini che la piccola-borghesia dal punto di vista politico è soggetta a una specie di “tiro alla fune”: se viene attratta dal proletariato abbiamo il riformismo, se invece dalla borghesia, il fascismo. Oggi, questo schema è decisamente obsoleto, però ci fa capire come oscilla l’ago della bussola. La piccola borghesia nel suo realismo e cinismo ha sposato per intero la destra di oggi chiedendo nei fatti dogmatismo e autorità ma coprendo la sua richiesta con la cosmesi linguistica dell’ipocrisia chiamando tutto ciò “rivoluzione liberale”.

Da un punto di vista morale e intellettuale il borghese piccolo piccolo è un filisteo. Roland Barthes   descrisse mirabilmente il filisteo in “Miti d’oggi” come il portatore di una “ideologia anonima”. Di cosa si tratta? Di grettezza e crudeltà mentale, di incapacità di pensare l’altro. Quando Barthes scrive quei mirabili saggi siamo nella Francia degli anni ’50, gli anni in cui trionfa Poujade e il poujadismo, ossia il movimento dei bottegai, dei borghesi piccoli piccoli, che odiano con la stessa virulenza sia il fisco che gli intellettuali. Sono un po’ come i nostri qualunquisti di Guglielmo Giannini del dopoguerra o qualche altro movimento politico dei giorni nostri. Indovinate quale. Verso di loro Barthes lancia le sue frecce più velenose e acuminate: in fondo quando dice “piccolo borghese” è a Poujade che si rivolge, è lui l’interlocutore esplicito, e la sua “ideologia anonima” – bella espressione in cui viene racchiuso tutto il sentimento e il risentimento della piccola borghesia – è il bersaglio della prosa di Barthes.

Una componente di questa ideologia anonima è l’odio per il mondo delle parole degli intellettuali, della loro ricchezza semantica: da qui il ricorso alla tautologia che denuncia l’insofferenza per le spiegazioni ritenute troppo articolate. Ma insomma: che sarà mai il teatro: “Il teatro è il teatro” dice il piccolo borghese, e Barthes chiosa acidamente: «La pigrizia promossa al rango del rigore. “Racine è Racine”: sicurezza ammirabile del niente». E Barthes precisa: «C’è nella tautologia un doppio omicidio: si uccide la razionalità perché vi resiste; e si uccide il linguaggio perché vi tradisce». In questo mondo morale accade che ogni parola avversa è ridotta a un rumore e in cui l’abilità polemica del borghese piccolo piccolo consiste nel «caricare l’avversario degli effetti delle proprie mancanze, a chiamare oscurità la propria cecità e inconsistenza verbale la propria sordità». «Ogni antintellettualismo finisce nella morte del linguaggio, ossia nella distruzione della socialità» poiché «il piccolo borghese è un uomo incapace di immaginare l’Altro».

Il piccolo borghese è cinico ossia non ha principi ma convenienze e si nutre solo di valori acquisitivi. È “realista” ossia glorifica il fatto compiuto: pensa come un hegeliano di destra: “Il reale è sempre razionale” per lui, e non si stupisce né tanto meno si indigna per cause che vadano al di là del suo particulare.  Odia l’intellettuale che cerca di spiegare perché le cose sono così e soprattutto come avrebbero potuto essere se avessero preso un altro corso.

Questo filisteo è scortese, inacidito, cattivo. In Italia si è autonominato “moderato”. Ma in fondo è un violento. Violenza repressa, non attiva, la sua, ma desiderata, ottativa ed esercitata per delega come il sesso, vedremo. Il piccolo borghese è forse nell’animo più violento del picchiatore fascista, ma non ne ha la forza fisica, fantastica perciò sfracelli; in un film lo raffigurerei come colui che dà il colpo di ombrello (incartato in una copia di “Libero”) alla vittima, stesa a terra dal violento primario: il picchiatore fascista.

Pensa male, parla male e vive male. Se sta bene economicamente odia ancora di più il mondo. Di norma non legge perché ha paura di essere scosso nelle sue certezze. Si sostenta con una ignoranza cattiva che alimenta il più possibile astenendosi rigorosamente dalla lettura. Ma quando legge predilige i suoi quotidiani velenosi che non mancano mai di indicargli ogni giorno un nemico, un cattivone, come bersaglio per i suoi fiotti di bile.  Esteticamente oltre ai cinepanettoni è attratto dal palinsesto delle quattro “C”, calcio, cosce, canzoni e cazzate e quando si annoda una conversazione con lui ci si pente subito di aver lasciato i terreni delle ricette di cucina o delle previsioni atmosferiche. È sessualmente un “moderato”-  pensa che il sesso che fa lui è erotismo, quello che fanno gli altri pornografia – ma se il suo leader di riferimento è affetto da satiriasi è disposto, il nostro filisteo, a rivoltare la storia e a chiamare a testimoni   Sardanapali e Semiramidi e tutte le orge del potere per affermare che il potere è così ed è stato sempre così, un’orgia perpetua, e dare del filisteo, proprio lui, all’avversario.

Non si può chiudere il ritratto del nostro filisteo senza rammemorare la canzone di Claudio Lolli “Piccola borghesia” che fotografa il nostro tipo per l’eternità.

*

Il cretino di sinistra
(in estetica e non solo)

A volte il cretino di sinistra (cds) è più devastante di quello di destra, perché mentre quest’ultimo, spesso privo di argomenti, si affida in fondo alla ragione della forza, quello di sinistra, che crede di avere  argomenti più alti, punta alla supposta forza della ragione (alle idee, ai libri), con il risultato che la stupidità di destra si risolve con l’esaurirsi dell’azione mentre quella di sinistra agisce nei tempi lunghi, si infiltra nei pensieri e riemerge sotto forma di arcigne e inderogabili idee ricevute e luoghi comuni. Il cds fu per primo individuato da Leonardo Sciascia, che così lo battezzò, in uno scritto del 1963, formula che secondo le mie letture riprendeva alcune suggestioni sul “profondismo” di Vitaliano Brancati vergate ne I piaceri. In Sciascia   si poteva leggere questo passo: «Il cretino di sinistra ha una spiccata tendenza verso tutto ciò che è difficile. Crede che la difficoltà sia profondità».

Soffriamo intellettualmente di categorie dello spirito metastoriche che in Italia si sono insediate come dei cookies nella nostra memoria collettiva a partire dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, quando la Sinistra ebbe il suo momento di grande slancio e di parossismo, ma sono ancora libere e circolanti in mezzo a noi, e ci fanno ragionare per stimolo-risposta irriflessivo, per partito preso. (Ricordate? Il caffè, la doccia… di sinistra, il tè, la vasca da bagno… di destra, ecc). A volte ho delle litigate furiose con il cds basico, quello che giudica tutti i fatti estetici in ragione di schieramenti ideologici: un poeta ha criticato intelligentemente il comunismo, perché tra l’altro l’ha patito sulla propria pelle? È un poeta che non vale niente. Vargas Llosa è un liberale? non meritava il Nobel. Brecht e Márquez? Ah quelli sì che sono dei nostri. Bertolucci, Fo, De Gregori, Erri De Luca, Vecchioni? Compagni! E tutto ciò a dispetto del fatto che fra costoro si annidano degli opportunisti, quando non degli stolti o dei cripto-destri della più bell’acqua.

Maledetti vi amerò, Marco Tullio Giordana, 1980

Vai a ricordare al nostro cds che Moravia era sicuramente un compagno, ma non per questa ragione fu quel grande scrittore che è stato. Era ossessionato dal sesso, è vero: riteneva che fosse quella – come per Balzac il denaro – la chiave per interpretare il mondo. Diceva anche, in un libercolo (Intervista sullo scrittore scomodo, a cura di Nello Ajello, Laterza, 1978) che uno scrittore deve esprimere se stesso e le proprie ossessioni nei romanzi, senza partiti presi, e riservare ad altre forme di espressione (convegni, saggi, interviste) il proprio impegno (v. anche Impegno controvoglia, 1980). Tendeva a distinguere la letteratura dalla vita. E poi: vai a ricordare ancora al nostro cds che tutta la letteratura francese prima di Zola è di “destra”: da Chateaubriand a Balzac, da Baudelaire a Flaubert fino al novecentesco Céline, e che pure è una letteratura superba. Vai a ricordargli ciò che Benedetto Croce aveva criticamente argomentato a proposito di “logica dei distinti”: ossia che le categorie di bello, di buono, di utile, di vero, si “processano” secondo i loro stessi principi, sono autonome nella vita dello spirito, e che pertanto ci può essere un buono non bello. Che ti puoi industriare sui buonissimi principi – il riscatto dei neri per esempio -, e scrivere un’operina esteticamente non memorabile come La capanna dello zio Tom. E che forse in fatto di arti e di estetica conta solamente il bello, che poi è anche il vero come attestava John Keats. E dunque? Il nostro cds è fisso e fesso nel suo ragionamento: l’unico discorso che ammette è quello politico.

In Italia in verità molti, che pure non vorrebbero condividere questo tipo di cretinismo, scelgono comunque la sinistra, ma lo fanno kantianamente in senso trascendentale puro (ossia non derivante dall’esperienza, la quale pullula di cds che li farebbero andare da tutt’altra parte). E infine perché, esclusi i cds, in quello schieramento trovano la loro compagnia ideale e le persone più affini, quelle che leggono e vanno al cinema quanto meno,  anche perché sull’altro versante, fra gente comune, sembra concentrarsi l’estetica del palinsesto summenzionato delle quattro “C” (calcio, cosce, canzoni e cazzate) e il semplice annodare conversazioni risulta impresa impossibile, specie in vacanza quando le grisaglie politiche vengono momentaneamente dismesse, ed emerge, inguardabile, l’homo aesteticus di destra in tutte le sue insopportabili nudità.

Un’ultima annotazione: la polarizzazione del nostro Paese, tra destra e sinistra, intese come categorie totalizzanti, ha portato un risultato distruttivo non previsto: la scomparsa dei “non allineati”; le terze forze, spesso liberali ma anche no. Flaiano, Germi, Montale, Brancati, Parise, Arbasino, cos’erano?

*

Lo dico adesso a conclusione, visto che per molti è fin troppo facile dare etichette in relazione alla situazione politica attuale. Ebbene sì, a volte chi scrive passa dal cretino di destra al cretino di sinistra. Come in un trapezio. Lungi dall’assumere coriacee certezze, che sono appannaggio del cretino integrale senza specificazioni, chi ha un minimo di frequentazione del mondo delle idee sa con certezza solo come esse si muovono dentro di noi. A volte, come nel personaggio di Sciatov dei Demoni di Dostoevskij, le idee ci sovrastano come dei macigni, sotto cui restiamo schiacciati; a volte, come dice Balzac, «le idee si trasformano in ghigliottina e baionette», e talaltra infine sono come dice Diderot “mes catins”, le mie puttane. Ne prendiamo alcune e ne lasciamo altre.

Vivere nel mondo delle idee significa sapere che esse sono ossessive, lascive, torbide, cupe, seducenti, amabili, confortanti, traditrici, esplicative o obnubilanti ecc, e spesso agiscono in noi come i sentimenti o gli stati d’animo. Sapere come agiscono in noi, come incrociano la nostra psiche e la nostra condizione sociale è il compito più arduo che la coscienza ci impone. Le idee infatti determinano, secondo la locuzione di Max Scheler, il maggior “consumo di coscienza”. È proprio con esse o senza di esse che navighiamo nel mondo. Fossero anche tutte sbagliate, come talora ci appaiono, senza di esse non potremmo stare in società, cioè nel mondo.

https://www.lintellettualedissidente.it/