Il Colle preoccupato dall’escalation La Lega: spingono il M5S a rompere il contratto.

Il leader: io attento, se poi un Fico di turno impazzisce…

Francesco Verderami

lo scontro tra politica e magistratura all’epoca della Terza Repubblica ricalca il canovaccio che ha segnato la storia della Prima e della Seconda. Nessuno immaginava che il vaso di Pandora si sarebbe riaperto, ma tutti sapevano che — una volta successo — il vecchio copione si sarebbe riproposto. E infatti anche stavolta le vicende giudiziarie sono accompagnate da accuse manifeste contro «fattori esterni» che mirano a cambiare il corso degli eventi nel Palazzo. Così quando Salvini dice apertamente di sospettare che «qualcuno» voglia fermarlo, un autorevole esponente del Carroccio si affretta a puntare l’indice contro «un pezzo di magistratura che si adopera per spingere i Cinque Stelle a rompere l’accordo di governo con la Lega. Magari per puntare a un nuovo gabinetto tra M5S e Pd, d’intesa con l’ala movimentista del grillismo. Sarebbe un golpe».

Sono congetture che stanno riempiendo i ragionamenti tra i massimi dirigenti di via Bellerio, a cui Salvini ha offerto ieri sera la sua visione delle cose: «Io sto attento a non sollecitare gli alleati. Poi, ragazzi, se qualche Fico di turno impazzisce, sarà un problema loro. Vorrà dire che alle prossime elezioni prenderemo il 50%». L’accortezza nel tutelare il rapporto con Di Maio è pari alla determinazione con la quale il leader della Lega intende difendersi. E dopo che i carabinieri gli hanno consegnato l’avviso di garanzia per il «caso Diciotti», il titolare degli Interni, dalla poltrona del Viminale, ha attaccato la procura di Palermo che lo indaga per «sequestro di persona».

Salvini era consapevole di stare alzando il livello della tensione a un punto tale che inevitabilmente avrebbe finito per investire il governo e soprattutto il Quirinale. E non c’è dubbio che la «forte preoccupazione» per le dichiarazioni di Salvini, espressa dal vicepresidente del Csm Legnini, fosse condivisa dal presidente dell’organo di autogoverno delle toghe: Mattarella. Lo scontro finisce così per dipanarsi su un doppio binario e alle tensioni politiche si aggiungono quelle istituzionali. Ma nemmeno questo altolà ferma il capo del Carroccio, che — conversando con i suoi ministri — ha ribadito di non volersi appellare «a nessuno»: «Mi chiedo però se il capo dello Stato ritenga normale quanto ci sta capitando. Prima ci hanno sequestrato i beni, poi mi è arrivato questo avviso di garanzia. Sono curioso di vedere dove arriveranno per farci fuori».

Salvini è curioso di capire anche quanto a lungo potrà durare il silenzio del Colle, davanti agli «interventi scomposti» di un pezzo della giustizia, «non di tutta, perché non generalizzo». Il sospetto che «qualcuno» voglia fermarlo si è rafforzato dopo aver sentito «un noto magistrato». «Non vi dico chi è», ha risposto ai dirigenti leghisti più curiosi: «Vi dico però che mi ha chiamato perché voleva confidarmi di trovare surreale quanto mi sta succedendo. E dovrei star zitto? Ma lo sapete che qui al Viminale a momenti mi ridevano in faccia quando hanno sommato gli anni di galera che dovrei fare per il capo di accusa più le aggravanti?».

Non lo ammetterà mai, ma in queste ore c’è il Quirinale in cima ai suoi pensieri, anche quando mette in ordine con lo staff l’agenda degli appuntamenti. «Ministro, la prossima settimana c’è il vertice con i suoi colleghi europei». Risposta d’istinto: «Vorrà dire che dovranno sedersi al tavolo con un indagato». Nello scontro ultraventennale tra politica e magistratura c’è però un elemento di novità che acuisce la tensione, ed è l’idea di Salvini di rispondere alle contestazioni di legge usando la legittimazione del voto popolare in opposizione alle toghe. È un atteggiamento che l’opposizione contesta con durezza, riflettendo i timori provenienti dal Colle.

Il vero nodo è dunque istituzionale, perché nel governo Conte e soprattutto Di Maio, fanno capire l’intenzione di tenere saldo il rapporto con l’alleato. Semmai un accento diverso è quello usato dal Guardasigilli Bonafede: «Salvini non ci faccia tornare alla Seconda Repubblica». Sono solo i cascami dello scontro sul decreto giustizia o c’è dell’altro? «La politica non ha strumenti di tutela davanti allo strapotere della magistratura», dice il ministro leghista Fontana: «Questa è l’eredità che ci ha lasciato la Prima Repubblica». Forse c’è dell’altro…

 

Fonte: La Repubblica, https://www.corriere.it/