Nell’ordinamento scolastico dei collegi gesuiti, secondo quanto stabilito nel 1616 nella celebre Ratio atque institutio studiorum Societatis Jesu, tra gli esercizi da assegnare dal professore di retorica agli studenti si suggerisce, oltre ad altre prove più consuete, di parafrasi o di imitazione di passi diversi di poeti e oratori; o di trasposizione da uno ad altro metro di uno scelto componimento, eccetera; si suggerisce, dicevo, il compito di «elaborare una descrizione, ad esempio, di giardini, templi, di una tempesta e simili» e, ancora, «di una città, di un porto, di un esercito».
Descrivere è riportare con aderenza i tratti di un ‘modello’ di fronte al quale ci si pone, è l’atto del rappresentare fedelmente ciò che si abbia innanzi. Nessun particolare va trascurato, sì che opportunamente le regole antiche prevedevano il ricorso al coordinamento o anche il mero susseguirsi di varie notazioni parziali, ovvero consentivano l’impiego della enumerazione di parole singole o di frasi sintatticamente libere. Ne consegue che la descrizione ha maggior pregio quanto più è minuziosa, precisa, completa. Esatta tanto, ci si augura, da risultare a chi legge pressoché la diretta percezione di un luogo o di una azione, quasi si aprisse, quel sito, o si svolgesse, quell’accadimento, dinanzi ai suoi occhi. L’intento dell’educatore è, dunque, di avviare l’alunno ad acquisire la capacità di formulare, in virtù d’una opportuna cernita dei vocaboli e grazie ad una sapiente articolazione dei costrutti, quella che, da ottenersi per via di scrittura, bene potremmo definire una evidenza. Ciò che è evidente si mostra di per sé, ha una sua chiarezza che non consente revoca in dubbio o possibilità di negazione. È lampante, ovvero senz’ombra e in piena luce. Una scrittura che intende descrivere dettagliatamente un oggetto, la descriptio della retorica antica appunto, ha da esser tale da condursi in visione, tale cioè che, mentre dice o pronunzia, nel dire faccia, insieme, vedere. Si legge negli Elementi di retorica di Heinrich Lausberg: «La vivace esposizione dei dettagli presuppone una simultanea testimonianza visiva», ed è, «prodotta per gli oggetti assenti (passati, presenti, e futuri) da un’azione visionaria della fantasia (visione)».
I padri gesuiti, forti degli insegnamenti di Ignazio, conoscono bene i precetti che riguardano l’educazione dei sensi per la formazione del giovane allievo, o sia l’importanza cruciale che riveste la coltivazione ordinata, o cura consapevole, delle sensazioni e d’una loro preziosa calibratura secondo una regola, capace, una volta fatta propria, di coniugare, duttilmente si dica, passioni e intelletto. Esercizio di umana consapevolezza e di maturazione rigorosamente perseguita. Nella Ratio studiorum si apprende che il professore di retorica «potrà talvolta assegnare agli studenti come argomento una breve azione drammatica, come una ecloga, una scena o un dialogo, perché venga rappresentata in scuola. Le parti devono essere distribuite fra gli studenti, ma non vi deve essere allestimento scenografico.
E la condizione è che sia un lavoro di altissimo livello». L’azione drammatica, senza scenografia esclude ogni espediente di resa posticcia o trucco, e va condotta dallo studente non come una prova attoriale, ma come esercizio che reca vigore alle sue doti immaginative e corrobora ed esalta, liberandole, le energie conoscitive racchiuse nella sua fantasia. Si tratta del medesimo processo di concentrazione in sé stessi che è preparatorio e indispensabile alla pratica degli Exercicios spirituales. Quell’examinar la consciencia «e disporre l’anima a toglier via da sé tutte le affectiones desordenadas». Del resto, compenetrarsi in una ‘azione drammatica’ vale dire ‘entrare in scena’, darsi un luogo, collocarsi. Ignazio negli Exercicios continuamente prescrive il figurarsi con il «ver con la vista ymaginativa» d’essere fisicamente in un luogo: collocarmi così io in un determinato spazio intorno a me con la mia forza di fantasia. Ad esempio: «Vedere il tempio o il monte dove si trova Gesù Cristo o la Madonna» e «udire, odorare, gustare, provare col tatto».