I partiti vogliono fregare Draghi ma chissà che alla fine non restino fregati loro

L’editoriale del direttore Nico Perrone

ROMA – Ancora una giornata a vuoto. Alla quarta votazione, quando basta la maggioranza assoluta di 505 voti, 441 grandi elettori del centrodestra non hanno partecipato al voto, mentre dall’altra parte si sono suddivisi tra 261 schede bianche, 166 voti al presidente uscente, Sergio Mattarella, che cresce rispetto ai 125 di ieri, 56 a Nino Di Matteo e gli altri sparsi su questo o quello. Le parti continuano a tirar fuori nomi a tutto spiano, ora ci si confronta su Elisabetta Belloni, supercapa dei nostri 007, e anche su Paola Severino.

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Il ragionamento, poveri loro e noi, che si coglie sottotraccia è che la sorpresa di una donna al Quirinale possa stemperare lo smacco per Mario Draghi, che se ne resterebbe zitto e buono a fare il premier. A meno che, anche questo si è sentito dietro le quinte, alla fine nei partiti a livello trasversale non ci sia proprio l’intenzione di ‘rimuovere’ Draghi anche da Palazzo Chigi, costringendolo a salutare l’allegra combriccola. Alla fine il nodo è sempre lo stesso: come potrebbe il premier far finta di niente di fronte alla decisione dei partiti della sua maggioranza di non considerarlo ‘degno’ per il Colle? Hanno fatto prevalere il personale tornaconto: visto che dovrà formarsi un nuovo Governo, c’è il rischio di perdere la poltrona a favore dei nuovi aspiranti.

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Per questo, di fronte allo stallo a cui stiamo assistendo, logica vorrebbe che alla fine ci si fermi sul pari e patta cristallizzando la situazione attuale, con il Parlamento che a maggioranza ampia chiede a Mattarella il bis. Vero, verissimo che Mattarella ha già portato via gli scatoloni, che ha cento e cento volte detto di no. Ma il presidente uscente è uomo delle istituzioni e se il Parlamento chiama non sarà certamente lui a fare spallucce. Draghi evidentemente non potrà sottrarsi a una nuova chiamata, per continuare a guidare il Governo.

 

C’è un altro scenario che va tenuto sempre presente, anche se nessuno sembra farci caso. Appena eletto il nuovo Capo dello Stato si apriranno le danze elettorali, a partire dalla significativa tornata delle amministrative a maggio e delle politiche nel 2023. I partiti, meglio se al Governo, potranno girare in lungo e largo per il Paese per parlare delle grandi risorse messe in campo, i progettoni che daranno lavoro e ricchezza, insomma tutti gli argomenti per acchiappare più voti possibili. Di qui il doppio scenario: siccome i partiti non sono in mano a degli stupidi, come può esserci qualcuno che pensa di poter mettere in mezzo a questa competizione il premier Draghi? Certamente dall’alto del Colle potrebbe consigliare e frenare qualche appetito esagerato, ma da presidente del Consiglio non potrebbe sicuramente mettere da parte la sua natura di garante dei conti responsabili, creando così non pochi problemi.

 

Ecco perché qualcuno, che tirerebbe un sospiro di sollievo, non esclude che Draghi possa anche dire di no e salutare tutti, scongiurando così l’altro grande rischio: la naturale voglia di rifarsi, trasformandosi nel duro ‘signor no’, con il consenso di quella stragrande maggioranza dei cittadini italiani stanca di tornare ai vecchi giochetti e che vuole per davvero un nuovo rilancio e rinnovamento, non solo economico ma anche politico.

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