I due volti del governo gialloverde.

Di Maio e Salvini cercano di creare un nuovo bipolarismo: destra populista e sinistra qualunquista. Del resto, il concordato alla base dell’alleanza prevede la spartizione dell’elettorato in vista della “Terza Repubblica”
 
La sostanza non conta. Solo i messaggi che si trasmettono all’opinione pubblica e quindi agli elettori hanno valore. Il cosiddetto “contratto” di governo è una maschera che i due contraenti possono indossare alternativamente. A seconda delle rispettive esigenze. E nella speranza di poter essere gli unici nel prossimo futuro a rappresentare il nuovo bipolarismo: destra populista e sinistra qualunquista. Nel gioco delle parti che ha preso vita l’altro ieri con l’approvazione del primo decreto del governo gialloverde, la pantomima si è allora consumata nella sua basilare rappresentazione. Pur trattandosi del passo iniziale di questo esecutivo, ad approvarlo e a mostrarlo c’era solo il grillino Luigi Di Maio. Mentre il presidente del Consiglio Conte confermava la sua presenza-assenza, l’altro “socio”, il leghista Salvini, era proprio assente. In modo plateale si trovava ad assistere al Palio di Siena.

È esattamente la regola della convenienza che disciplina questa coalizione.

L’intervento sui contratti a tempo determinato non piaceva alla Lega. L’elettorato del Nord, composto in larga parte da piccoli e medi imprenditori, non apprezzano quella misura. Il segretario leghista allora che fa? Diserta il Consiglio dei ministri. Non contesta il decreto, non mette in crisi il patto di potere stretto con il Movimento 5 Stelle. Semplicemente non ci mette la faccia. Evita che la sua immagine sia legata a quel testo. E gli basta. Perché la sostanza non conta. Almeno per ora. E almeno per lui. Non importa cosa prevede quel decreto, importa solo il messaggio da inviare ai suoi sostenitori. Al suo servizio c’è solo la capacità di interpretare i sentimenti della base, anche quelli più viscerali. Serve di più, allora – come in alcune delle più nefande tradizioni – buttarsi e nuotare nella piscina sequestrata alla mafia che partecipare alla riunione pomposamente finalizzata a ridefinire il diritto del lavoro. Salvini costruisce così il suo consenso. I sondaggi per ora lo premiano. Non c’è bisogno di governare il Paese. Basta comunicarlo. Se Beppe Grillo può andare in giro per Roma a urlare al megafono che non vede le buche, il leader lumbard può sostenere di aver fermato gli extracomunitari.

Del resto, il concordato alla base dell’alleanza gialloverde prevede la spartizione dell’elettorato in vista di un nuovo assetto politico che già viene denominato Terza Repubblica. L’M5S ha bisogno di occupare la sinistra. Il palco per le leggi sul precariato spetta dunque a Di Maio (anche se poi dimentica di dire che il suo testo non ripristina le garanzie sui licenziamenti fissate dall’articolo 18).

La destra invece è appaltata alla Lega. La questione migranti, ad esempio, è gestita mediaticamente solo da Salvini, gli altri devono starne alla larga. Conte è silenziosamente pronto a fare tutte le figuracce possibili a Bruxelles, e i grillini sono piegati dalla necessità di non infrangere il patto e dalla incapacità di formulare un pensiero alternativo.

La distanza che sta separando Pentastellati e Carroccio nei consensi sta tutta qui. Perché il capo leghista si è impossessato davvero del campo della destra. Ha di fatto conquistato quello che un tempo era l’elettorato di Alleanza nazionale, sta sostanzialmente fagocitando il gracile partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. E sta preparando l’annessione della moribonda Forza Italia. Non a caso il progetto salviniano è quello di proporre in primavera un listone unico del centrodestra per le elezioni europee. La chiamano merger & acquisition, una fusione per incorporazione. Che, nelle sue ambizioni, dovrebbe scomporre gli schemi del Parlamento di Strasburgo. Perché quel listone non aderirà al Ppe, ma sarebbe il nocciolo del PPd’E: il Partito Populista d’Europa.

Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/