I Downtown e l’internazionalismo punk di «Miss Marx»

Uno dei grandi pregi di Miss Marx, il film basato sulla vita di Eleanor Marx, la figlia più giovane dell’autore del Capitale, è la colonna sonora. Susanna Nicchiarelli, fin dall’esordio con Il Cosmonauta, ha sempre prestato un’attenzione particolare alla scelta delle musiche. Ad accompagnare la regista romana in quasi tutti i suoi lavori c’è la band dei Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo, ensemble che da molto tempo si dedica a comporre musica per il cinema.

NEL FILM presentato a Venezia 77, il post rock strumentale del gruppo torinese si scontra con le incursioni kombat punk dei Downtown Boys. Il sound esplosivo della band di Providence, grezzo e diretto, si inserisce perfettamente nella sceneggiatura, soluzione inaspettata eppure efficace per un film che parla di socialismo, lotte operaie, diritti delle donne. La scelta musicale è stata apprezzata, visto che Miss Marx ha vinto il Soundtrack Stars Award, premio collaterale al festival per la migliore colonna sonora.
L’idea di coinvolgere i Downtown Boys nell’avventura di Miss Marx pare guidata da speciali affinità elettive. Il gruppo fondato dal tubaista Joey La Neve DeFrancesco e dalla cantante Victoria Ruiz da sempre unisce musica e attivismo, si dichiara contro il razzismo, l’omofobia e il capitalismo, e del resto ha dato all’album d’esordio il titolo più che esplicito Full Communism. «Conoscevo qualcosa dei film di Susanna Nicchiarelli, in particolare Nico, 1988, in cui la regista ha fatto un lavoro eccezionale con le musiche», spiega DeFrancesco. «Ci ha stimolato l’idea di lavorare con qualcuno che prende davvero sul serio il ruolo della musica nella società e nei propri lavori». I Downtown Boys per il film hanno interpretato a modo loro anche L’Internazionale, l’inno del movimento dei lavoratori, che in questa nuova veste urlata e distorta esprime forse ancora di più l’energia rivoluzionaria del brano originale (uscito come singolo in questi giorni per la Sub Pop).

«LA GRANDE SFIDA per noi è stata trovare una forma che fosse coerente con la nostra musica ma che mantenesse il più possibile della versione originale», racconta Joey. «Il testo è davvero straordinario. E poi c’è questo sentimento di internazionalismo: credo sia più importante ora di quanto lo sia mai stato. È una cosa che si è vista in modo molto chiaro durante la pandemia. I grandi capitali internazionali, aziende come Amazon e Facebook, guadagnano miliardi di dollari mentre migliaia di persone continuano a morire, si trovano disoccupate o a dover fronteggiare enormi difficoltà economiche. È fondamentale pensare in un’ottica internazionale, per cercare di contrastare queste grandi corporation». La coerenza su questi temi non è mai mancata alla band: nel 2011 DeFrancesco è diventato un idolo del web grazie al video in cui si licenzia da un lavoro sfruttato e malpagato accompagnato dalla banda dei What Cheer? Brigade, nel pieno delle proteste di Occupy Wall Street. Oggi insegna storia all’università del Rhode Island e oltre alla band principale ha da poco esordito con il suo progetto di elettronica queer La Neve, che mette insieme «l’idea di fare uno spettacolo drag con la mia musica originale».

VICTORIA RUIZ, attivista che da sempre si batte per i diritti delle minoranze, ora si occupa di fornire aiuto legale ai manifestanti di Black Lives Matter. I due per qualche tempo hanno portato avanti «Spark», un magazine indipendente che dava spazio ad artisti impegnati e radicali. Ora, molte di queste idee stanno dando forma alla Union of Musicians and Allied Workers, sindacato di musicisti fondato dai Downtown Boys durante la pandemia. «Chi lavora nell’ambito della musica ha visto sparire tutti i suoi introiti», osserva DeFrancesco. «Penso che come musicisti dobbiamo agire collettivamente, uniti come lavoratori. Come singola band non abbiamo tanto potere, solo mettendoci insieme possiamo davvero ottenere degli effetti». Tra le prime iniziative, oltre alla richiesta di aiuti economici, la nuova union si sta concentrando sulle condizioni di lavoro durante i concerti, su campagne per ottenere contratti equi con le etichette discografiche e con servizi digitali di streaming, nella battaglia più ampia contro il platform capitalism. «Abbiamo tanti musicisti che si uniscono a noi ogni giorno, ora siamo circa in 1500 che partecipano e seguono le iniziative. Ci siamo concentrati molto sugli Stati uniti, ma stiamo cercando di costruire un sindacato che sia globale. Contro aziende così potenti serve avere un coordinamento davvero internazionale. È un momento difficile, ma è una cosa molto eccitante tentare di uscire da questa crisi uniti come musicisti, anche questo significa essere organizzati».

 

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