Le incertezze sul negoziato con Unicredit fanno cadere il prezzo dei titoli subordinati e il rendimento ai massimi da 9 mesi
gianluca paolucci
francesco spini
L’incertezza sulle trattative tra Unicredit e il Tesoro sul destino del Monte dei Paschi, riportata ieri da La Stampa, comincia ad essere guardata dal mercato con sospetto. I titoli subordinati emessi da Siena, così scivolano: si tratta di bond per complessivi 1,75 miliardi di euro. In una sola seduta cedono tra il 2,7% e il 6%, arrivando a inanellare in 5 giorni cali fino al 17%. La domanda resta la stessa: cosa succede a Siena? Al tavolo delle discussioni tra il governo e la banca guidata da Andrea Orcel le cose vanno a rilento in vista delle elezioni suppletive del il 3 e 4 ottobre che vedono candidato anche il segretario del Pd, Enrico Letta.
Ma mentre parte della maggioranza punta su strade alternative non meglio definite, ciò che emerge dalle discussioni fin qui portate avanti sulla linea Roma-Milano è una debolezza di Mps che, in tema di efficienza, lascia poche carte negoziali in mano al Tesoro. Uno dei temi che scalda la politica sono i 6-7 mila esuberi previsti, peraltro tutti prepensionamenti finanziati col Fondo di Solidarietà (e circa un miliardo di contributo pubblico). In queste settimane è stato evidenziato che, anche in ottica solitaria, Mps avrebbe 7 mila dipendenti in eccesso. 3.200 sono già stati riconosciuti dalla banca senese. Il resto deriva dalla comparazione dell’efficienza del Monte rispetto ai suoi concorrenti in una situazione che, a quanto emerso, è peggiorata negli ultimi anni di controllo statale. Il calcolo è presto fatto. A Siena, mediamente, lavorano 15 dipendenti per sportello, 5 in più che in Bper e Credem, 2 in più che al Banco Bpm. Quello che conta però è la redditività per dipendente. Intesa Sanpaolo ne impiega 18 per filiale. Tantissimi, si dirà: ma, anche in virtù delle sue fabbriche prodotto, ciascuno porta a casa margini medi, nei primi sei mesi 2021, per 141 mila euro. Banco Bpm arriva a 114 mila, Credem a 103 mila, Bper a 88 mila. Mps è fanalino di coda con 73 mila euro per dipendente. Primato negativo che difficilmente soddisferebbe qualunque azionista privato. Da questi 4-5 dipendenti in eccesso per sportello (su 1400 filiali) derivano i 6-7 mila esuberi. Una combinazione con Unicredit, per come se ne è parlato ai tavoli, porterebbe a un numero limitato di ulteriori esuberi, visto che la maggior parte delle sovrapposizioni tra sportelli sarebbero assorbite da altre banche (si è parlato di Mcc-Popolare di Bari, ma anche Bper, secondi indiscrezioni, potrebbe prendere parte agli acquisti, se li ritenesse strategici). Praticare l’opzione «stand alone»
è complicato perché, come è emerso nelle trattative, comporta tre rischi.
Il primo è che l’Ue non lo permetta e ciò comporti la liquidazione della banca col licenziamento di tutti i dipendenti. Secondo scenario: la Ue dice di sì, ma pretende un ridimensionamento della banca con l’uscita di ben oltre 7 mila dipendenti. In ogni caso, terza eventualità, la banca rimane a rischio per via dei recenti stress test negativi. Unicredit, chiamata in causa dal governo, non ha nulla da perdere. Per Mps, invece, una strada alternativa è tutta da inventare.
In questo scenario, proprio le subordinate rappresentano il termometro migliore della trattativa e lo strumento privilegiato delle scommesse del mercato: se entreranno le perimetro di Unicredit, il rischio si riduce sensibilmente. Se L’Ue decidesse per il burden sharing, proprio questi titoli saranno i primi a pagare.