di Stefano Folli
Se la Consulta oggi desse il via al referendum Calderoli sul sistema elettorale maggioritario, la sorpresa sarebbe enorme e ne deriverebbero conseguenze di forte impatto sulla politica e le istituzioni. Anche per questo quasi nessuno crede a un colpo di scena, a una Corte che apre le porte alla consultazione destinata a trasformare l’Italia, dall’oggi al domani, in una Gran Bretagna del Mediterraneo: due schieramenti, o meglio due cartelli elettorali, forse domani due partiti, uno contro l’altro; in ogni collegio chi vince prende tutto e chi perde si prepara per la prossima volta.
Irrealistico? Senza dubbio. Nella vaga ipotesi che il quesito sia ammesso, i fautori della soluzione Calderoli si aspettano che il Parlamento si metta al lavoro di buona lena – come gli accade talvolta quando non può farne a meno – e approvi una legge contenente alcuni elementi di maggioritario, così da schivare il referendum senza tradirne lo spirito. Ad esempio, il cosiddetto Mattarellum, già sperimentato.
Contano a tale fine sull’interesse di un Pd che per la verità ha abbandonato da tempo la sua preferenza per modelli maggioritari (chi ricorda la stagione del doppio turno alla francese?). Quel che è certo, la decisione della Corte cade in un’ora di massima tensione tra le forze in campo. Una bocciatura del quesito segnerebbe la fine sostanziale del ricorso a questo strumento per misurare la volontà popolare e tentare di fare pressione sul Parlamento.
Ecco perché tanti che non amano il modello proporzionale (ricordiamo che l’Ulivo prodiano era nato per semplificare in senso bipolare il quadro del Paese) in queste ore sperano in cuor loro nella scorciatoia Calderoli come mezzo per buttare un sasso nello stagno (è il caso di dirlo) e rivitalizzare il Parlamento. Si vedrà. Di sicuro la Consulta pro-referendum rappresenta sotto questo profilo il più improbabile dei “cigni neri” (gli eventi imprevisti che sconvolgono una situazione in apparenza ben definita). L’altro cigno che non si vede ancora, ma che ha già preso forma nelle voci dietro le quinte, riguarda la possibilità di un macigno giudiziario fatto rotolare sulla strada della Lega, prima o subito dopo il voto in Emilia Romagna. Sono solo voci, ma gli indizi non mancano. Si parla dell’inchiesta sui traffici petroliferi in Russia e anche di novità relative ai famosi 49 milioni. Uno scenario in cui la vicenda della Gregoretti finirebbe per impallidire.
Se fosse vera anche solo la metà di questi sussurri, Salvini rischierebbe realmente di essere allontanato dalla scena politica per via giudiziaria e non politica. Si creerebbe un’altra ferita nel tessuto del Paese, a seguito della clamorosa delegittimazione della figura più rappresentativa dell’opposizione. Un rischio per tutti.
Ce n’è abbastanza per augurarsi che in questa fase lo scontro politico si svolga sul piano delle idee, il miglior terreno per contrastare l’opzione leghista. Del resto, i sondaggi dell’Emilia Romagna continuano a dare un lieve vantaggio a Bonaccini. Per come si sono messe le cose, una vittoria del candidato del Pd e anzi del centrosinistra sembra possibile, se non probabile. Il che frenerebbe per un po’ la corsa di Salvini senza bisogno del braccio giudiziario. E forse riporterebbe anche l’ennesima discussione intorno alla legge elettorale sul terreno del buonsenso.