«Meglio il burqa, oppure a casa». Con una cerimonia ufficiale tutta al maschile in quello che una volta era il ministero per gli Affari femminili, i Talebani ieri hanno ufficializzato un nuovo decreto.
Porta la firma dell’Amir ul-mumineen, la Guida dei fedeli Haibatullah Akhundzada, ma è reso pubblico nella sede del ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio.
RIGUARDA LE DONNE: «Tutte coloro che non sono né troppo anziane né troppo giovani dovranno coprire il viso in pubblico», meglio «con un chadori (burqa, ndr) che è parte della nostra tradizione ed è un abito che fa onore», ha dichiarato in una nota Shir Mohammad, funzionario del ministero.
L’ANNUNCIO, in una sala gremita di uomini, barbe lunghe bianche e brizzolate, ampi turbanti e sguardi soddisfatti, è stato dato dal ministro di fatto Mohammad Khalid Hanafi, che ha concluso tre ore di discussione sulle tante virtù degli abiti femminili che coprono le donne dalla testa ai piedi.
Per lui, si tratta di assicurare «alle nostre sorelle di vivere con dignità e in sicurezza», per evitare «che, quando le incontrano, gli uomini che non sono parte della famiglia vengano provocati». Unica soluzione? Che rimangano visibili «solo gli occhi».
L’abito si può scegliere, purché copra tutto il corpo, non sia stretto da far vedere le forme: meglio usare quello che noi siamo soliti definire burqa. Graduali e progressive le penali per chi non segue l’obbligo.
Colpiranno gli uomini della famiglia della donna, considerata loro proprietà: alla prima segnalazione, ci si assicura una visita dei Talebani a casa e una raccomandazione al marito, padre, fratello o figlio; alla seconda segnalazione, arriva una multa; alla terza, si finisce davanti al giudice e si rischia la galera per alcuni giorni.
CHI INSISTE, tornerà di fronte al giudice e subirà punizioni esemplari. Per gli uomini che lavorano nei luoghi pubblici e che abbiano in famiglia donne che non rispettano l’obbligo, scatta il licenziamento o la sospensione. D’altronde, fa sapere il ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio, se non si hanno impegni importanti, per le donne è meglio restare a casa.
IL DECRETO, simile a quello già adottato al tempo del primo Emirato, nella seconda metà degli anni Novanta, è solo l’ultima tappa del progressivo lavoro istituzionale svolto dai Talebani da quando sono tornati al potere per restringere le libertà delle donne.
Obiettivo è ricondurle nello spazio domestico, sottrarre loro ogni ambito di protagonismo e autonomia, dopo una parziale, graduale e faticosa conquista di diritti e ruoli negli spazi pubblici. Il decreto avrà l’effetto di inibire ulteriormente il protagonismo delle donne e sarà un pretesto per i militanti Talebani che controllano le strade delle città per redarguirle, infastidirle, molestarle.
Arriva un mese e mezzo dopo la clamorosa retromarcia dei Talebani: il 23 marzo scorso anche le scuole superiori femminili avrebbero dovuto riaprire, ma la leadership, dopo l’annuncio del ministero dell’Istruzione, ci ha ripensato e le ha fatte richiudere dopo poche ore.
Oggi, sono 233 giorni che le studentesse sopra gli 11 anni non possono andare a scuola e l’Afghanistan è l’unico Paese al mondo a impedire loro di istruirsi.
Il nuovo decreto renderà ancora più difficili i rapporti con la comunità internazionale, specie euro-atlantica, e mette un’ipoteca sulla richiesta principale dei Talebani: il riconoscimento dell’Emirato. Ma porterà a scontri e conflitti sociali anche internamente.
Il ministero per la Promozione della virtù è a Shar-e-now, pieno centro di Kabul, a due passi dall’ospedale di Emergency. Sulle mura esterne già da mesi campeggiano cartelli che suggeriscono alle donne di indossare il burqa, coprendo tutto il viso.
LE DONNE DIRETTE per svago a Shar-e-now, quartiere commerciale per chi è abbiente, quei cartelli neanche li guardano. Puntano ai caffè del centro, camminando in gruppeti con passo sicuro. La loro libertà non conta: per il ministro di fatto Hanafi, «i principi islamici e l’ideologia islamica sono più importanti di ogni altra cosa».