Il 2022 rischia di passare alla storia come l’anno del crollo dei mercati obbligazionari, col rialzo violento dei rendimenti e banche centrali a cui viene presentato il conto di anni di politica monetaria straordinariamente espansiva, per scongiurare il costante rischio di soccombere sotto il peso di un debito che tassi bassi hanno contribuito a gonfiare.

L’invasione russa dell’Ucraina, col suo devastante shock di offerta sulle materie prime, si è abbattuto su un quadro di domanda resa vigorosa dalle riaperture post pandemiche e dalle riserve di liquidità accumulate coi sussidi.

Uno scenario che ha in sé i semi di forti tensioni sociali a livello planetario e rischia di sconvolgere soprattutto il panorama politico europeo, anche se la maggioranza che sostiene Joe Biden al Congresso statunitense, già percorsa da linee di faglia interne al partito Democratico, potrebbe svanire alle elezioni di midterm del prossimo novembre, pagando dazio all’inflazione.

Prezzi delle materie prime agricole persistentemente elevati innescheranno nuovi flussi migratori, soprattutto verso il Vecchio continente, destinati a scontrarsi con tensioni domestiche prodotte dall’inflazione e dalla contrazione economica che rischia di materializzarsi tra qualche settimana o mese.

In un simile scenario, dove le banche centrali sono non solo disarmate ma anzi costrette a contrastare il rialzo dei prezzi aumentando i rischi recessivi, crescerà la domanda di risorse fiscali a tutela illusoria ed effimera degli strati sociali più colpiti dalla crisi, perché tentare di restituire potere d’acquisto in presenza di problemi di offerta rischia di alimentare il fuoco inflazionistico.

Va da sé che, in una tale situazione, ad avere la mano forte di carte sarebbe Vladimir Putin. In Europa crescerebbero, sino a condizionare in modo decisivo le opzioni dei governi, le voci di quanti invocano un accomodamento con Mosca.

L’IMPATTO SULLE ELEZIONI ITALIANE

In Italia, che andrà alle urne la prossima primavera e la cui economia è già resa vulnerabile dalla conclusione del sostegno della Bce, l’offerta politica potrebbe essere spinta verso nuove “soluzioni” estreme.

Dopo due anni di supporto estremo della Bce, che ha acquistato il nostro debito in misura superiore al deficit, in un contesto di rendimenti prossimi allo zero quando non negativi, la nostra politica ha ulteriormente sviluppato la propria già robusta inclinazione a vedere nel deficit la soluzione a ogni problema e la moneta di acquisto di consenso elettorale.

Il rovesciamento di scenario causato dalla forte risalita dei rendimenti di mercato non sembra essere ancora stato percepito dalla retorica della comunicazione partitica, che preferisce invocare interventi di mutualizzazione di debito europeo altamente improbabili, in ciò confermando di aver capito poco e nulla non solo della logica economica dell’attuale shock ma anche e soprattutto della logica politica che ha portato alla nascita del Recovery Fund.

Quando ciò avverrà, anche l’offerta politica ne sarà pesantemente condizionata. Da un lato, potrebbe prendere vigore la richiesta di politiche fortemente redistributive, con forti inasprimenti fiscali, soprattutto di tipo patrimoniale, per rispondere al crescente disagio economico, rimasta finora confinata a frange della sinistra.

Dall’altro, potremmo assistere al risveglio di pulsioni contro la moneta unica e la “dittatura” europea basate sull’illusione, che si rivelerebbe tragica, che sia sufficiente disporre di una propria moneta per stampare quanto serve.