Conte amico di Trump e di Putin?

La politica si interroga sui rapporti passati del leader dei 5 Stelle con Washington e Mosca, ma pare avere la memoria corta

“‘Come mai erano più i militari che i medici inviati dalla Russia a Bergamo nell’inverno 2020?’, chiedeva ieri sera il direttore della ‘Stampa’ Giannini al presidente Conte. Chi glielo spiega a Giannini che la bonifica ambientale da agenti biologici in emergenza non la fanno i medici ma i militari?”: questo commento di un dirigente medico molto impegnato, nel biennio che abbiamo alle spalle, sul fronte dell’organizzazione della lotta al Covid-19 e delle vaccinazioni in una grande regione italiana, coglie un aspetto non secondario della rinnovata offensiva mediatica e politica contro l’attuale leader del Movimento 5 Stelle.

Impossibile qui entrare negli intrecci ultracontorti dei vari dossier, che alcuni importanti quotidiani hanno analizzato con il risultato (o l’obiettivo?) apparente di insinuare nella mente dei loro lettori il dubbio che l’ex presidente del Consiglio sia una figura ambigua, legata a oscure trame spionistiche russe e statunitensi: sia per quanto riguarda il cosiddetto “Russiagate” – che per l’ex capo della Casa Bianca, Donald Trump, era un complotto messo su dai democratici, con complicità in Italia, per azzopparlo –, sia nel caso della missione russa di soccorso in Lombardia nel momento più buio, quello iniziale, della pandemia.

Da semplici lettori e cronisti della politica più alla luce del sole (che offre, volendo, non pochi spunti per analisi e giudizi), ci limitiamo ad annotare un paio di bizzarrie contenute negli ultimi scoop: ha fatto molto parlare il fatto che l’allora procuratore generale statunitense, William Barr, e l’allora responsabile del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza), il generale Vecchione, dopo la riunione formale nella sede dei servizi segreti italiani siano andati a cena. Conte sarebbe responsabile di aver taciuto su questo secondo meeting. Avvenuto, tuttavia, in un locale in pieno centro di Roma, a metà strada fra la Camera e il Senato: pur tenendo presente l’affascinante racconto di Edgar Allan Poe sulla lettera rubata (e “nascosta” in piena vista), è lecito dubitare che chi volesse tenere segreto un incontro fra personalità così importanti potesse scegliere un luogo così poco riservato.

La seconda stranezza è quella che riguarda la missione medico-militare russa. Secondo il “Corriere della sera”, le carte rivelano che il governo russo non solo aveva preteso che la missione di soccorso fosse spesata dall’Italia, ma aveva consegnato per le vie diplomatiche una sorta di ultimatum: se Roma non avesse risposto positivamente alla richiesta di Mosca, l’intera operazione non avrebbe avuto luogo. Sul perché ci fossero molti militari, la spiegazione l’abbiamo affidata qui sopra alla citazione del dirigente medico, che certamente ha competenze che a noi mancano, rodate sul campo anche nel recente e tragico passato della pandemia.

Ma una domanda rimane: se la Russia intendeva spiare l’Italia, e non aiutarla in un momento tragico, perché mai avrebbe preteso – con un ultimatum che pretendeva l’accettazione delle condizioni entro poche ore da parte italiana – il sostegno logistico e finanziario di Roma alla missione? Lo spionaggio di una nazione del G7 e della Nato non valeva la spesa di qualche milione di euro? Se Roma avesse detto no, i servizi russi, per avere le informazioni che cercavano sulla povera Italietta, avrebbero optato per un abbonamento a SkyTg24?

Conte ha replicato punto per punto, per iscritto e in tv, alla ricostruzione di “Repubblica” sul viaggio a Roma di William Barr e sulla vicenda della missione russa. Chi vuole può agevolmente verificare alla fonte le sue tesi, e valutare la credibilità delle sue precisazioni. Il tema politico però resta: Conte amico di Donald Trump e Vladimir Putin? Nel primo, nella fase del governo con la Lega, l’ex presidente del Consiglio sbucato all’epoca quasi dal nulla, certamente cercò una sponda per accreditarsi. Quanto al secondo, in realtà, chi non ha bruciato i propri banchi memoria ricorda manifestazioni di stima, ammirazione, cordialità e perfino amicizia personale, al limite dell’intimità, fra il presidente russo e diversi leader politici italiani – in particolare ma non esclusivamente della destra, sia di quella attualmente al governo sia di quella in qualche modo collocata all’opposizione. Le foto sono ancora tutte facilmente rintracciabili in rete.

Allora, forse, il tema è che il tempo cambia le prospettive: le bare di Bergamo sono dimenticate, e la guerra rende difficile ricordare che l’Italia ha avuto a lungo rapporti di cooperazione e scambio commerciale con la Russia; mentre, con l’amministrazione Biden in carica, il fatto che un governo italiano collaborasse con quella del suo lunatico predecessore può sembrare una stranezza. Ma non è facile ricordare, nella storia repubblicana, occasioni in cui Roma abbia chiuso la porta in faccia a Washington, i cui agenti (senza andare troppo in là con gli anni) hanno per esempio potuto impunemente rapire un predicatore musulmano sul nostro territorio, sotto lo sguardo amichevole di funzionari italiani, per consegnarlo a una dittatura mediorientale incaricata di incarcerarlo e torturarlo.

Il punto allora è forse un altro: perfino Angela Merkel – che, nell’equilibrio fra commercio e sanzioni, ha mantenuto ottimi rapporti con Mosca finché è stata al potere, accompagnando una crescita enorme dell’interscambio commerciale con la Cina – ora si trova sotto accusa per la politica che ha condotto guardando a Oriente. Quell’equilibrio, quella fedeltà atlantica temperata dall’interesse europeo (in realtà prevalentemente franco-tedesco, ma questo sarebbe un altro discorso), sono devastati dalla guerra in Ucraina e dalla rottura, ormai quasi totale, delle relazioni fra Unione europea e Russia. Oggi in pochi ricordano che la Nato era data per morta dal presidente francese Macron. E Conte, che certamente non è stato con i suoi governi un interprete fedele dell’oltranzismo atlantista, resta un leader sgradito non solo negli ambienti un po’ provinciali dell’imprenditoria italiana, ma anche in qualche capitale occidentale.

 

 

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