Gli attacchi a Boeri e Franco smascherano il governo gialloverde.

 

Gli della maggioranza di governo al presidente dell’Inps Tito Boeri e al Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco evoca quanto avvenne nel 1994 subito dopo l’insediamento del primo governo Berlusconi, quando si assistette ad attacchi al di là di ogni giustificazione contro istituzioni, in particolare la Banca d’Italia, ad opera di esponenti dell’allora Alleanza Nazionale. Stavolta il «casus belli» è dato dalla tabella contenuta nella relazione al decreto Dignità che stima una perdita di 8 mila posti di lavoro conseguenti al divieto di rinnovare contratti a termine oltre i 24 mesi. Nelle voci che si sono intrecciate la responsabilità di avere aggiunto questo dato è stata fatta risalire prima alla Ragioneria e poi all’Inps. A Luigi Di Maio sono state attribuite espressioni circa progettate reazioni contro gli autori dell’inserimento, poi in qualche modo smentite, e nei confronti di Boeri, la cui conferma, quando scadrà il mandato, è stata esclusa perché le sue posizioni non sarebbero conformi con quelle dell’esecutivo. Un comunicato successivo di Di Maio e Tria ha tra l’altro escluso che la quantificazione, operata dall’Inps, della suddetta perdita di posti di lavoro abbia fondamento scientifico. Una babele di accuse e controaccuse che, riguardando almeno inizialmente anche un organo, qual è la Ragioneria dello Stato, fondamentale nel contesto dei contrappesi per la funzione di controllo sui conti pubblici la dice lunga sul fastidio che l’esecutivo dimostra di nutrire nei confronti di questi cruciali bilanciamenti imposti da un assetto democratico e pluralista. Il volere preventivamente adesioni, da parte di enti e organi pubblici, alla linea del governo dimostra una visione preoccupante e illiberale del sistema pubblico, oltre che foriera di misure, nel decidere gli incarichi di questo tipo, che privilegeranno soggetti i quali appariranno dei «missi dominici» dei danti causa, anziché premiare competenza, esperienza, moralità e autonomia di giudizio. Più in particolare, a volte su questo giornale abbiamo mosso delle critiche nei confronti di dichiarazioni di Boeri che chiaramente invadevano il campo della politica. Ma una cosa è richiamare i confini del dichiarare, altra cosa è volere un piatto allineamento alle posizioni dell’esecutivo, dunque spingendo il vertice a un preventivo atto di fede chiaramente «contra legem». Quanto, poi, alla presunta inclusione furtiva del dato degli 8 mila rinnovi che non sarebbero più possibili, prima di muovere accuse occorrerebbe un oggettivo accertamento dei fatti, cominciando col dimostrare che non sussiste alcuna responsabilità del ministero titolare della proposta del decreto. Ma, come si è accennato, questo comportamento spadroneggiante da parte di uomini dell’esecutivo domani, quando si dovrebbe finalmente procedere alla nomina del vertice di Cdp, sarà sottoposto a una nuova verifica: si dovrà vedere se prevarrà il metodo spartitorio tra le due forze della maggioranza, messo al primo posto rispetto alle qualità dei designandi, oppure se ci si orienterà per l’attribuzione degli incarichi, in particolare quello di amministratore delegato, a un personaggio con riconosciuta professionalità ed esperienza, coerente con la designazione del presidente Massimo Tononi fatta dalle fondazioni di origine bancaria. Sarà un passaggio fondamentale per capire se inizierà una fase di lottizzazioni simile a quella della Prima Repubblica o se sopravverranno dei freni inibitori. Contemporaneamente vi sarà da nominare il nuovo direttore generale del Tesoro: inferendosi dall’avviso di Di Maio versus Boeri, potrebbe esservi il rischio, privilegiandosi la mera fedeltà, che ritornino in auge nomi diffusamente ritenuti inadeguati a fronte di quello, molto apprezzato, di Alessandro Rivera, titolare di una direzione generale nello stesso ministero, che Giovanni Tria avrebbe sottoposto già a un precedente Consiglio dei ministri. Quest’ultimo però avrebbe soprasseduto alla decisione nell’attesa di valutare le nomine per altre cariche pubbliche (secondo il criterio del «do ut des», verosimilmente, in applicazione del classico manuale Cencelli). Ancora una volta è da sperare che il ministro dell’Economia, che all’indubbia preparazione unisce una sicura autonomia di giudizio, faccia sentire la propria voce sull’intera partita delle nomine, a cominciare da quelle nelle quali ha diretta competenza (Cdp, direzione del Tesoro).
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