La via spagnola per Mps spacca la politica italiana

Grazie al matrimonio tra le spagnole CaixaBank e Bankia, “pilotato” dal governo di Madrid, il ruolo dello Stato nel credito torna al centro del dibattito politico anche in Italia. CaixaBank è una grande banca catalana controllata al 40% dalla Fondazione La Caixa. Bankia invece è nata nel 2010 dalla disastrosa fusione di sette casse di risparmio regionali: appena due anni dopo ha dovuto chiedere il salvataggio pubblico. La messa in sicurezza da 22,4 miliardi, realizzata grazie ai fondi europei intermediati dalla Troika è stata gestita dall’esecutivo spagnolo attraverso il Fondo per la ristrutturazione ordinata delle banche (Frob) che ha il 62% di Bankia.

Le concentrazioni bancarie sono spinte dall’impatto negativo sui margini causato della politica espansiva della Bce e dalle attese di nuove ricadute sui prestiti per la crisi innescata dalla pandemia. L’acquisizione carta contro carta di Bankia da parte di CaixaBank consentirà di ridurre i costi (770 milioni) e aumentare i ricavi (290 milioni) ma provocherà 8mila esuberi su 51mila dipendenti e la chiusura di un quarto delle filiali. Sorgerà il nuovo campione nazionale spagnolo, con una capitalizzazione di 16 miliardi e attivi per 664 miliardi a fronte dei 419 della concorrente Bbva e dei 335 di Santander, che gestirà con il 31% del credito nazionale, il 28,4% dei depositi, il 33% del mercato pensionistico e assicurativo e il 25% di quello dei fondi di investimento. La Fondazione La Caixa controllerà il 30% di CaixaBank mentre il Governo spagnolo scenderà dal 62 al 16% ma resterà azionista e avrà un consigliere.

L’operazione ha un riflesso anche in Italia, dove lo Stato è della partita. Dopo il salvataggio del 2017, il Tesoro è alle prese con i rebus di Mps (ne possiede il 68%) e della Popolare di Bari, che dopo il commissariamento è ora al 97% del Mediocredito Centrale del gruppo pubblico Invitalia. In base all’accordo con la Ue, lo Stato dovrà uscire dal Monte entro il 2021. Il ministro dell’Economia ha firmato il decreto che ne predispone la privatizzazione e continua inesorabile l’opera di moral suasion del Tesoro su Banco Bpm – che però seguita a smentirla – perché convoli a nozze con Siena, evitandone lo spezzatino.

Mentre si avvicina l’assemblea di Mps del 4 ottobre che approverà la cessione di 8 miliardi di crediti deteriorati ad Amco, la bad bank del Tesoro, M5S rilancia però l’idea di una banca pubblica. Nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, ha inserito tra i progetti candidati alle risorse del Recovery Fund europeo anche 2 miliardi necessari in tre anni a creare attraverso Mediocredito una banca per gli investimenti, ruolo attualmente svolto da Cassa Depositi e Prestiti. Per Carla Ruocco, presidente della Commissione parlamentare sul sistema bancario, “non è il momento di svendere Mps”. Se lo Stato uscisse dal Monte, ai corsi di Borsa oggi ricaverebbe (forse) solo un miliardo sugli 8,5 investiti, perdendo il 90% dei fondi iniettati. Secondo la Ruocco occorre invece “rafforzare il sistema bancario stimolando la nascita della terza-quarta banca nazionale”.

A una nuova banca pubblica si oppone il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: “L’esperienza delle gestioni pubbliche si è non di rado caratterizzata per gravi inefficienze”. Senza nominarlo, Visco ha anche attaccato l’ad di Mediobanca Alberto Nagel che ha lanciato l’allarme sulle nuove norme della Bce sui crediti deteriorati, definiti una “bomba atomica” per i bilanci delle banche, specie ora che la marea delle sofferenze sta per montare di nuovo per la crisi innescata dalla pandemia. La cris bancaria non è finita. A Madrid lo Stato banchiere gioca un ruolo. In italia, per ora, divide soprattutto la politica.

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