L’immagine
Non sono bastate le promesse “solenni” del governo, le rassicurazioni della maggioranza, i digiuni a staffetta e tantomeno la spinta degli ottocentomila potenziali nuovi italiani che sono già qui, in mezzo a noi, ma per la legge restano invisibili, cittadini di serie B. Lo Ius soli è saltato, come ormai era chiaro da settimane e la sua mancata approvazione rimarrà una macchia in una legislatura che pure ha segnato dei passi avanti sul fronte dei diritti. pagina 26 LAURIA, PASOLINI e TORRESIN pagine 6 e 7 Non sono bastate le promesse “solenni” del governo, le rassicurazioni della maggioranza, i digiuni a staffetta di politici e esponenti della società civile e tantomeno la spinta degli ottocentomila potenziali nuovi italiani che sono già qui, in mezzo a noi, ma per la legge restano invisibili, cittadini di serie B. Lo Ius soli è saltato, come ormai era chiaro da settimane, e nel modo peggiore: un’aula semideserta, un finale sciatto e oltraggioso per una legge di grande portata la cui mancata approvazione rimarrà una macchia in una legislatura che pure ha segnato passi avanti sul fronte dei diritti.
Di cosa è morto lo Ius soli? Di prudenze, di tatticismi e di meschinerie di fine stagione che i più realisti amano sintetizzare dietro formule autoassolutorie: «non c’era il tempo», «non c’erano i numeri». Quegli ostacoli sempre superati per volontà politica nel recente passato sono diventati, sulla legge per la nuova cittadinanza, muri invalicabili come i confini nazionali sognati dalle destre. Quelle destre che, per volontaria impostura, di questa legge hanno fatto il bau bau nazionale, la madre di tutte le battaglie regressive, mistificandone senso e scopo, parodiandola come grimaldello del complotto mondialista o accusandola di genocidio dell’italica etnia (è il caso, tra gli altri, dei fascisti venuti a rigurgitare le loro minacce sotto la redazione di questo giornale). Ma, in questa storia, la destra ha solo espresso il peggio del proprio repertorio. Al resto ha pensato il trasformismo di quei parlamentari – li chiamano centristi – che hanno votato il provvedimento alla Camera e se ne sono dissociati al Senato, perché la sua approvazione avrebbe pregiudicato le chance di riciclarsi nel prossimo Parlamento tornando sotto le insegne berlusconiane. Al resto ha pensato l’ignavia del Movimento 5Stelle, assente ieri in blocco dai banchi del Senato, che ha scelto di non votare la legge – diversamente dal biotestamento – per un calcolo elettorale mascherato da visione allargata: «Sul tema serve una legislazione continentale», ha spiegato Luigi Di Maio, certificando dunque che il M5S avverte l’urgenza di muoversi in sintonia con la Ue sulla cittadinanza, ma in compenso evoca uscite unilaterali dall’euro. Al resto ha pensato la timidezza del Pd che si è trincerato dietro la diserzione degli alfaniani (e siamo curiosi di verificare se qualcuno di loro sarà recuperato nella coalizione tramite la ridotta centrista affidata alle cure di Pierferdinando Casini) ma, forse spaventato dai sondaggi, ha accompagnato la legge su un binario morto e anche un po’ deserto, dato che un terzo dei senatori dem ha ritenuto ieri di non presentarsi nemmeno in aula. Non sarebbe comunque servito essere al completo, è la giustificazione ufficiale. Ma sarebbe stato doveroso. Infine, il governo. Si era impegnato a varare la legge, perché – era stato detto a ragione – sarebbe stato un punto qualificante. Un fiore all’occhiello. Ma alla fine l’input decisivo, porre il voto di fiducia, non è arrivato. Non si poteva mettere a rischio il governo con la legge di bilancio ancora aperta, ci è stato spiegato.
E nemmeno dopo la manovra, perché anche a Camere sciolte serve un esecutivo non sfiduciato per non rischiare di lasciare il Paese acefalo in caso di stallo elettorale.
Tutte questioni reali, che però non spiegano come mai non fosse possibile una coda di lavori parlamentari per arrivare quantomeno al voto dell’aula.
La delusione in chi aspettava questa legge è enorme, come l’occasione sciupata. E difficilmente si ripresenterà nella prossima legislatura, che si annuncia per il centrosinistra, dal punto di vista dei numeri, ben più complicata di quella agli sgoccioli. Ma nel calo dei “numeri” peserà anche l’esultanza scomposta regalata a quei tribuni che, dopo aver cercato di far credere agli italiani che lo Ius soli avrebbe consegnato un passaporto a ogni nuovo sbarcato, si sono goduti il funerale della legge nell’aula di Palazzo Madama semideserta.
Di cosa è morto lo Ius soli? Di prudenze, di tatticismi e di meschinerie di fine stagione che i più realisti amano sintetizzare dietro formule autoassolutorie: «non c’era il tempo», «non c’erano i numeri». Quegli ostacoli sempre superati per volontà politica nel recente passato sono diventati, sulla legge per la nuova cittadinanza, muri invalicabili come i confini nazionali sognati dalle destre. Quelle destre che, per volontaria impostura, di questa legge hanno fatto il bau bau nazionale, la madre di tutte le battaglie regressive, mistificandone senso e scopo, parodiandola come grimaldello del complotto mondialista o accusandola di genocidio dell’italica etnia (è il caso, tra gli altri, dei fascisti venuti a rigurgitare le loro minacce sotto la redazione di questo giornale). Ma, in questa storia, la destra ha solo espresso il peggio del proprio repertorio. Al resto ha pensato il trasformismo di quei parlamentari – li chiamano centristi – che hanno votato il provvedimento alla Camera e se ne sono dissociati al Senato, perché la sua approvazione avrebbe pregiudicato le chance di riciclarsi nel prossimo Parlamento tornando sotto le insegne berlusconiane. Al resto ha pensato l’ignavia del Movimento 5Stelle, assente ieri in blocco dai banchi del Senato, che ha scelto di non votare la legge – diversamente dal biotestamento – per un calcolo elettorale mascherato da visione allargata: «Sul tema serve una legislazione continentale», ha spiegato Luigi Di Maio, certificando dunque che il M5S avverte l’urgenza di muoversi in sintonia con la Ue sulla cittadinanza, ma in compenso evoca uscite unilaterali dall’euro. Al resto ha pensato la timidezza del Pd che si è trincerato dietro la diserzione degli alfaniani (e siamo curiosi di verificare se qualcuno di loro sarà recuperato nella coalizione tramite la ridotta centrista affidata alle cure di Pierferdinando Casini) ma, forse spaventato dai sondaggi, ha accompagnato la legge su un binario morto e anche un po’ deserto, dato che un terzo dei senatori dem ha ritenuto ieri di non presentarsi nemmeno in aula. Non sarebbe comunque servito essere al completo, è la giustificazione ufficiale. Ma sarebbe stato doveroso. Infine, il governo. Si era impegnato a varare la legge, perché – era stato detto a ragione – sarebbe stato un punto qualificante. Un fiore all’occhiello. Ma alla fine l’input decisivo, porre il voto di fiducia, non è arrivato. Non si poteva mettere a rischio il governo con la legge di bilancio ancora aperta, ci è stato spiegato.
E nemmeno dopo la manovra, perché anche a Camere sciolte serve un esecutivo non sfiduciato per non rischiare di lasciare il Paese acefalo in caso di stallo elettorale.
Tutte questioni reali, che però non spiegano come mai non fosse possibile una coda di lavori parlamentari per arrivare quantomeno al voto dell’aula.
La delusione in chi aspettava questa legge è enorme, come l’occasione sciupata. E difficilmente si ripresenterà nella prossima legislatura, che si annuncia per il centrosinistra, dal punto di vista dei numeri, ben più complicata di quella agli sgoccioli. Ma nel calo dei “numeri” peserà anche l’esultanza scomposta regalata a quei tribuni che, dopo aver cercato di far credere agli italiani che lo Ius soli avrebbe consegnato un passaporto a ogni nuovo sbarcato, si sono goduti il funerale della legge nell’aula di Palazzo Madama semideserta.
La Repubblica – Stefano Cappellini – 24/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.