Fotografie come relique. L’estetica della morte nella “Morgue” di Andres Serrano

Andres Serrano, Infectious Pneumonia

Malgrado l’istintiva reazione di repulsione suscitata, la morte è sempre stata un tema frequentato dall’arte occidentale, sia come figura allegorica (rappresentata dall’essere scheletrico dotato o meno di lunga falce o dal teschio come simbolo di memento mori) sia come evento del corpo, mostrato nel suo stato di cadavere (A questo link è possibile un excursus molto veloce sulla rappresentazione della morte nell’arte, intesa nella seconda accezione: https://www.spettakolo.it/2016/03/28/la-morte-nellarte-astenersi-impressionabili/). Dopotutto l’arte sacra cristiana trova gran parte della sua espressione nella raffigurazione del corpo di Cristo, morto sulla croce o deposto sulle ginocchia della madre, e di quello dei santi martiri, sottoposti a orribili supplizi.
Con il tema della morte, d’altra parte, prende familiarità fin dalla sua nascita anche la fotografia, sia come messa in scena (un esempio è l’immagine del finto annegamento di Bayard), sia come cattura dell’estrema sembianza prima della perdita definitiva, nelle fotografie post mortem.
Nelle fotografie di morte, il corpo si mostra come tale, non più come apparenza, come involucro e maschera esteriore di un’interiorità celata. Di fronte al cadavere, la fotografia mette alla prova la sua funzione. Non si tratta di congelare un istante decisivo, perché qui la fotografia ferma ciò che è già fermo, anche se il cadavere resta un’entità ancora sottoposta al tempo, che continua ad agire sulla carne, trasformandola radicalmente.

Andres Serrano, Death Unknown

Serrano non è dunque il primo a porci davanti volti e corpi di cadaveri. Nella sua serie The Morgue (1992), vengono mostrati primi piani di persone morte, giacenti in un obitorio, con il volto totalmente o parzialmente coperto per nasconderne l’identità. Si tratta di corpi feriti, tumefatti, aperti, squarciati, che emergono con grande eleganza da un fondo scuro, ravvivati da colori intensi e da una luce quasi caravaggesca.
Nel suo saggio per il catalogo della mostra di Parigi, Daniel Arasse sottolinea come la Morgue di Serrano sia un importante antidoto alla diffusa negazione della morte che caratterizza la cultura della fine del XX secolo, una cultura mediatica e glamour, sopraffatta da immagini del corpo appiattite su modelli di giovinezza immutabile e sontuosa e asettica bellezza, una cultura in cui la morte è allo stesso tempo onnipresente in forme diverse come i media, i videogiochi e i film, ma nello stesso tempo non rappresentabile.

Andres Serrano, Knifed to death

La serie è composta da fotografie in Cibachrome in grande scala, che forniscono rappresentazioni potenti della bellezza del corpo nella morte. Sono immagini esteticamente avvincenti pur mostrando situazioni orribili, che comprendono omicidi, suicidi, morti accidentali o per AIDS. Il permesso di introdursi in un obitorio e di fotografare i cadaveri lì ospitati fu dato a Serrano da un patologo forense, a condizione che le persone fossero mascherate e non identificate. Per proteggere l’identità dei cadaveri, Serrano non ha mai rivelato l’ubicazione dell’obitorio. Molti dei corpi erano lì per esseri sottoposti ad autopsia o in attesa di essere inviati alla sepoltura. Durante un periodo di tre mesi, Serrano fotografa quasi tutti i cadaveri che arrivano all’obitorio. Dapprima riprende i corpi nella loro interezza, ma in questo modo le fotografie risultano troppo simili: tutte le figure sono distese sulla schiena. A quel punto, decide di concentrarsi sui dettagli e di realizzare scatti ravvicinati: parti del volto, piedi, mani, braccia, sezioni del tronco, mostrati nei loro coloriti lividi e spenti o violacei per le contusioni e le ferite o bruciati dal fuoco.
L’attenzione dell’obiettivo si concentra, in particolar modo, sugli orifizi che mettono in comunicazione il corpo con l’esterno: orecchie, occhi, bocche, ferite, aperture da cui durante la morte fuoriescono i fluidi interni, portandosi dietro la vita. L’integrità della forma corporea è una garanzia di vita. Serrano inquadra, dunque, i punti di maggiore vulnerabilità del corpo, quei confini che non dovrebbero essere attraversati da ciò che è all’interno del nostro involucro materiale.

Andres Serrano, Blood Transfusion Resulting In AIDS , 1992.

Il primo elemento che salta agli occhi dello spettatore è la grande intensità e armonia compositiva delle immagini, che mettono a distanza l’evento traumatico della morte, trasformando il cadavere in oggetto estetico. Nonostante la precisione dei dettagli che rivelano tagli, peli impastati nel sangue rappreso, pelle bruciata, carne arrossata, le composizioni e i colori dei panneggi evidenziano una raffinatezza di tipo pittorico, la quale isola il corpo facendolo emergere dallo sfondo nero. L’obitorio, in realtà, è presente solo nel titolo della serie, mentre è totalmente assente come contesto spaziale. Nel titolo di ogni fotografia, invece, viene precisata unicamente la causa della morte, senza indicazioni sull’identità dei soggetti o su significati nascosti o simboli da cercare. Il collegamento immediato è a quelle fotografie del XIX secolo, nate in contesti ospedalieri o carcerari, le cui didascalie omettevano ogni riferimento all’identità dell’individuo ripreso, in quanto asservite a finalità puramente classificatorie e tassonomiche di patologie cliniche o comportamenti devianti e criminali. In quel caso, però, le immagini, seppure anche esse composte in ossequio a certi canoni estetici, ricercavano un’oggettività documentale, che richiedeva una ripresa eseguita a distanza tale da mostrare la totalità del corpo. Nel caso di The Morgue, invece, la vicinanza dei dettagli e l’esposizione in grande formato contrastano con il neutro distacco dei titoli. L’inquadratura ravvicinata frammenta i corpi, frustrando i tentativi dello spettatore di costruire una narrazione completa e leggibile. I primi piani di Serrano, piuttosto che rivelare informazioni attraverso i dettagli, forniscono immagini di grande suggestione, estetica ed emotiva.

Andres Serrano, Rat Poison Suicide.
Andres Serrano, Child Abuse I

L’autore costruisce le sue fotografie come tele pittoriche, attingendo all’iconologia cristiana di rappresentazione del tema della morte. Ce lo dimostrano i primi piani sulle ferite aperte nei piedi e nelle mani dei suoi inconsapevoli modelli, segni che ricordano le stigmate di Gesù e dei santi. Alcune fotografie ricordano la rappresentazione del Cristo deposto; due mani sembrano cercarsi come quelle della Creazione di Adamo di Michelangelo. Particolari che provengono da un repertorio rappresentativo sedimentato. Non rimane assolutamente nulla delle tradizionali fotografie post mortem, finalizzate a realizzare ritratti veri e propri per conservare l’immagine ultima dei defunti, ritoccata e rinfrancata dalla fatica e dallo scempio dell’agonia. Nelle immagini di Serrano non c’è posto per la dimensione della memoria e della conservazione della sembianza della persona, perché il suo volto è celato e la sua identità anonima.

Andres Serrano, Killed by Four Great Danes.

La decontestualizzazione dei corpi, che cancella le identità, non fa altro che spingerli nella cornice del simbolo, un processo favorito dall’uso degli attributi pittorici della fotografia. La critica evidenzia come, ciò che prevale nell’opera di Serrano è l’idea della morte, la sua rappresentazione quasi ideale, e non la materialità del cadavere. Valorizzando le potenzialità simboliche della fotografia, accade qui ciò che avveniva con le opere del Rinascimento, votate a generare nello spettatore una meditazione sulla morte, sul carattere effimero della vita e sulla finitudine umana. Dalla pittura alla fotografia, la forma delle opere cambia, ma il soggetto, le intenzioni e gli effetti estetici rimangono in parte simili.
Per Arasse, più che forense e scientifico, lo scopo di Serrano è essenzialmente estetico, perché persegue costantemente la bellezza dei corpi, anche dove si riteneva non potesse essere presente.  L’autore ha cercato nei cadaveri di un obitorio un’armonia di forme e colori di tipo classico, raramente associata a tale contesto. Il chiaroscuro, l’uso attento della luce e l’attenzione ai dettagli e alla composizione in ogni fotografia ricordano il marcato contrasto della pittura barocca e sembrano metterci in contatto con il racconto di una storia particolare e individualizzata, in grado di nobilitare ogni individuo come persona e di favorire il coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Andres, Serrano, Pneumonia Death.

Ma la frammentazione e l’anonimato dei corpi, così come i titoli, freddi e didascalici, di ogni fotografia, fanno subentrare una sensazione di distanziamento, che disinnesca il meccanismo psichico di identificazione. Ciò che resta è solo la dimensione estetica. In questa luce, lo spettacolo di Serrano non riguarda affatto la morte. Riguarda essenzialmente l’arte e la sua capacità di sedurre lo sguardo trasfigurando la materia, persino quella più ripugnante, in forme e colori intensi e luminosi come il rosso, il blu cobalto o il bianco candido, in immagini la cui bellezza e ricchezza attraggono lo spettatore, intrappolando il suo sguardo e allontanandolo da ciò cui l’immagine dovrebbe rimandare, cioè la persona morta, ma un tempo viva, la cui presenza rimane sullo sfondo, come un dato accessorio. Il corpo è qui essenzialmente un oggetto di rappresentazione e l’impatto dell’immagine si stempera nel godimento estetico, messo appena a disagio dal titolo e dalla consapevolezza di trovarsi di fronte non a dipinti, ma a fotografie scattate in un obitorio.

Andres Serrano, Child Abuse.
Andres Serrano, Rat poison suicide II, 1992

Vi è certamente una dimensione oscena nelle immagini di Serrano, una visibilità eccessiva, ma non riguardo a ciò che viene mostrato, ma a come viene esibito, per la fascinazione esercitata dall’immagine sullo sguardo dello spettatore, attuando una chiusura autoreferenziale della fruizione visiva che preclude l’accesso al referente, cioè alle persone che un tempo hanno vissuto e di cui oggi vediamo le impronte delle loro spoglie mortali. E’ ciò che Mitchell definisce ‘l’effetto Medusa’, cioè il potere dell’immagine di attrarre lo spettatore, di arrestarne lo sguardo e di sedurlo, non permettendogli di uscire fuori.
La serie di The Morgue, in effetti, ricorda non solo il linguaggio pittorico; le fotografie in Cibachrome, a causa della loro qualità luminosa, riprendono altresì il linguaggio visivo della pubblicità, il che contribuisce ad aumentare il senso di distanza delle immagini.
Se l’intento di Serrano era quello di sacralizzare la morte, recuperando l’iconologia cristiana, è possibile concludere che le sue immagini, con le loro superfici lucide e luminose, ricordano maggiormente i reliquiari medievali, contenenti parti del corpo dei santi. Entrambi rimuovono i loro oggetti dal flusso del mondo, permettendo così a questi frammenti mortali di trascendere simultaneamente il mondo materiale attraverso la materia stessa.  Ma la trascendenza di queste immagini ha ormai perduto il legame con il sacro e si esaurisce in un’idea fuori tempo di bellezza. In entrambi i casi, i reliquiari e le fotografie sfidano l’annientamento finale rappresentato dalla morte, preservando frammenti di corpi incastonati in magnifiche quanto ingombranti cornici.

Andres Serrano, AIDS Related Death.
Andres Serrano, Knifed to death III.
Andres Serrano, Death by Drowning II.
Andres Serrano, Homicide.