Diciamoci la verità: ridurre di 345 scranni il numero di parlamentari è una riformina cosmetica, manutentiva, da revisori contabili più che da ingegneri istituzionali. Si può capire che faccia presa sul cittadino medio che ha sempre in testa, non a torto, che battano la fiacca e comunque siano troppi, “quelli là” a Roma, gli eletti a libro paga del contribuente così poco rappresentativi degli elettori. Ma è il brutto della democrazia detta rappresentativa, il fatto di non corrispondere realmente al nome che porta: il meccanismo della delega in bianco, assegnata con il voto senza vincolo di mandato ai partiti che la gestiscono per i loro affari di potere, è esattamente la sua essenza geneticamente tarata. Peggiorata o migliorata a seconda dei casi dalla legge elettorale del momento, che può attenuare o rendere ancor più sconcio il difetto di nascita.

Perciò fanno entrambi scena, i corifei del Sì e del No: i primi perché promettono un pacchetto di ulteriori riforme, in primis quella elettorale, che come tutte quelle fatte dagli stessi interessati non farà che tutelare i propri interessi, personali e di bottega, il tornaconto di fazione e micro-fazione, i calcoli spartitori, le alchimie di coalizione, insomma la sistemazione dei deretani; i secondi perché sproloquiano di attentato alla Costituzione quando è evidente anche a un non vedente che nessuno, ma proprio nessuno dei sacri valori della Carta è scalfito da un taglio puramente numerico, prova ne sia che Stati “democratici” ben più popolosi del nostro mantengono parlamenti più magri e, ciò nonostante, non registrano per questo derive fasciste o cataclismi totalitari. Gli “all’armi, son fascisti”, così come dall’altra barricata gli “urrà a nuove magnifiche sorti progressive”, danno mostra soltanto di una grande bischerata strumentale, con il Movimento 5 Stelle che cavalca una battaglia di second’ordine, ma fortemente simbolica, pur di riprendersi dal mesto ingrigimento, e i contrari, sparpagliati a destra e a sinistra, a dar contro nella speranza di dare una legnata a una maggioranza vivacchiante e claudicante. Sincera pena fanno sia la Lega che il Pd, entrambi ufficialmente schierati a favore, ambedue zeppi di disallineati, in alto e in basso, franchi tiratori alla luce del sole.

L’unico dato positivo del referendum sul taglio di poltrone di Camera e Senato è il referendum stesso. La ragione è semplicissima e sfugge a tutti coloro che identificano la democrazia tout court con la democrazia parlamentare: è la decisione diretta del popolo a costituire la realizzazione piena e integrale del principio democratico. La democrazia pura è referendaria, non delegata. È naturale che ideologi e imprenditori della ditta liberale facciano di tutto per negarlo, rimuoverlo o camuffarlo, ma la sovranità popolare è massimamente sovrana quando si esprime senza mediazioni e mediatori, direttamente. Ovvio, mica è possibile procedere così su tutto, ci mancherebbe. E infatti un mix delle due forme, diretta e indiretta, è giocoforza una necessità. Ma il non prevedere praticamente mai, o in ogni caso mai sulle questioni fondamentali quella decisiva, quella che traccia di netto, per dirla aulicamente, la volontà della Nazione, è l’inequivocabile segno che la democrazia liberale è una democrazia sui generis, coartata all’origine, più liberale, cioè oligarchica, che democratica. Non è forse vero che la Costituzione, sempre lei, la più bella del mondo, proibisce al popolo bue di votare sui trattati internazionali, grimaldello con cui la classe dirigente venduta e anti-democratica – sissignori, anti-democratica – della Prima e della Seconda Repubblica ha imposto la martellante sequenza di “cessioni di sovranità” che ci hanno imprigionato nell’Euro-Reich, in coabitazione con le guarnigioni Nato?

Per carità, se avessimo potuto rimettere al popolo i vari Trattati come hanno fatto, fra gli altri, francesi, danesi e irlandesi, probabile che l’Italia avrebbe confermato il suo europeismo di italianuzzi inguaribilmente esterofili e provinciali con il complesso d’inferiorità per i falsissimi modelli nordeuropei e mitteleuropei, con cui ci rintronano le orecchie da decenni per farci ingurgitare il pillolone liberista (di fatto ultra-mercantilista, cioè paraculo, a uso e consumo di Berlino). Ma magari anche no. Perché, come la Svizzera e le altre democrazie a regime misto insegnano, quando manca il quorum, a contare sono i partecipanti effettivi e non gli aventi diritto, e allora la possibilità di farcela c’è anche per la minoranza, purchè organizzata e combattiva. Dice: ma non è la maggioranza, a dover scegliere? Ma ragazzi, andiamo: son sempre state e sempre saranno minoranze in lotta tra di loro a dare le carte e a risolvere le partite. Non c’è bisogno di aver letto Pareto per saperlo, è sufficiente conoscere come va il mondo, com’è la politica da quando l’uomo l’ha inventata. Cioè da quando rusca, briga ed esercita un qualsivoglia potere. Ovvero da quando cammina su due zampe. Da sempre.

Questo referendum smuove ben poco, un’inezia. Ma se al metodo referendario si facesse più ricorso, allora sì, che potremmo avvicinarci a qualcosa di più simile a quella che pensiamo essere una democrazia. Fino a non moltissimi anni fa c’era un movimento che professava tale credo: dicono si chiamasse Movimento 5 Stelle. Ora pare accontentarsi di dare una sforbiciatina alla “casta”. Sic transit gloria Beppae Grilli.

Ps: facendo sacrìleghi il verso a papa Montini con Prezzolini, ci vien da dire: “e aspettiamo sempre Alessandro Di Battista”.