“Fit for 55” per il clima, la più grande riforma dell’economia europea dopo il mercato unico

Un piano ambizioso, che riempie di contenuti il “green deal” impostato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Ma il rischio è quello di uno stop da parte degli Stati

Il complesso pacchetto di misure legislative “Fit for 55” che la Commissione europea ha presentato il 14 luglio scorso ha ricevuto in Italia scarsa attenzione, concentrata soprattutto sull’obiettivo obbligatorio delle emissioni zero per gli autoveicoli nel 2035: ovvero la messa al bando, per quella data, dei motori a combustione interna per le nuove vetture immesse in circolazione. In realtà, il pacchetto prefigura una radicale riforma complessiva dell’economia europea. È una roadmap che indica tutte le proposte legislative necessarie per conseguire gli obiettivi della Legge climatica, già approvata dall’Unione europea: la riduzione del 55% delle emissioni a effetto serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, in vista della neutralità climatica (zero emissioni nette) nel 2050.

Per trovare un’altra iniziativa di ambizione, portata e complessità comparabili, bisogna risalire al progetto per il mercato unico europeo che Jacques Delors presentò all’inizio del suo mandato come presidente della Commissione, nel 1985. Il Libro bianco per il completamento del mercato interno individuava circa duecento decisioni necessarie per rimuovere gli ostacoli tecnici alla libera circolazione di merci, servizi e capitali. Il Consiglio europeo di Milano (giugno 1985) lo approvò, fissando come obiettivo la sua realizzazione entro il 1992. La Commissione propose in seguito circa trecento atti legislativi, che portarono il progetto a un sostanziale successo (soprattutto per le merci) con l’entrata in vigore del mercato unico all’inizio del 1993, come previsto. Elemento chiave di questo successo fu l’Atto Unico del 1986: superando la regola dell’unanimità, tutte le decisioni del Consiglio relative al completamento del mercato unico furono sottoposte alla maggioranza qualificata, e a una nuova “procedura di cooperazione”, anche se non ancora di co-decisione, con il parlamento europeo.

Mutatis mutandis, il “Fit for 55” è una sorta di nuovo Libro bianco che predispone un cambiamento di paradigma per tutti i settori dell’economia europea: dall’energia ai trasporti, dall’edilizia a tutti i comparti industriali e alle infrastrutture (con qualche problema ancora da risolvere per il settore agricolo). In questo caso, però, lo strumento necessario per conseguire l’obiettivo non sarà una riforma dei meccanismi decisionali, ma il grande piano di rilancio economico post-pandemico Next Generation Eu, con i programmi nazionali di ripresa che dovranno dedicare almeno il 37% della spesa a investimenti in progetti ambientali e climatici.

Probabilmente, senza questi investimenti il green deal, su cui la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva impostato il suo mandato prima del Covid-19, sarebbe stato destinato a fallire. La scelta della Commissione di raddoppiare la posta sulla rivoluzione verde, con un Recovery Plan che punta alla ripresa, ma soprattutto a una trasformazione radicale dell’economia, fornisce ora proprio quei mezzi finanziari che occorrono, accanto agli strumenti normativi del “Fit for 55”, per raggiungere gli obiettivi del green deal.

Il pacchetto “Fit for 55” contiene una dozzina di proposte di direttive, regolamenti e altre iniziative, spesso interconnessi e complementari fra loro, ed è incentrato innanzitutto su un rafforzamento del sistema europeo di scambio dei permessi di emissione (“Emission trade system” – Ets), e sull’estensione della sua applicazione a nuovi settori.

Laddove è stato applicato negli ultimi sedici anni, ovvero alla produzione di energia elettrica e alla grande industria (circa diecimila impianti, che emettono il 40% dei gas serra della Ue), il sistema Ets ha funzionato bene, dopo una prima fase più incerta, consentendo una riduzione delle emissioni del 42,8%. Il sistema Ets attribuisce un prezzo (determinato dal mercato) ai permessi di emissione di CO2, e riduce ogni anno il limite massimo dei gas serra emessi dalle industrie a cui si applica. La Commissione propone ora di aumentare ulteriormente questo tasso annuo di riduzione, e di allargare il sistema ad altri settori, includendo anche le emissioni generate dal trasporto marittimo ed eliminando gradualmente l’attuale allocazione gratuita di quote di emissioni per l’aviazione civile. Inoltre, verrà istituito un nuovo sistema Ets parallelo e separato per il trasporto stradale (applicato alla distribuzione di carburante) e per gli edifici (applicato al combustibile per i sistemi di riscaldamento).

La Commissione propone anche che gli Stati membri spendano la totalità delle loro entrate derivanti dall’Ets per progetti connessi al clima e all’energia, e che una parte specifica dei proventi del nuovo sistema parallelo per trasporto stradale ed edifici sia destinata a un Fondo sociale per il clima, volto a compensare almeno in parte l’impatto negativo (rincaro dei prezzi dei carburanti per i veicoli e dei combustibili per il riscaldamento) prevedibile per le famiglie, gli utenti dei trasporti e le microimprese vulnerabili. Il Fondo disporrà di 72,2 miliardi di euro per il periodo 2025-2032, ma potrà aumentare fino a raddoppiare se si aggiungeranno i contributi nazionali degli Stati membri.

Il “Fit for 55” prospetta anche una revisione del regolamento sul cosiddetto “Effort sharing” (“condivisione dello sforzo”) per l’abbattimento delle emissioni nei settori non coperti dall’Ets (in particolare agricoltura, rifiuti e piccola industria), con un obiettivo complessivo per la Ue e dei sotto-obiettivi nazionali di riduzione per ciascuno Stato membro. Rispetto alla riduzione media nella Ue, che era stata finora prevista al 29%, il nuovo obiettivo dell’Effort Sharing per il 2030 è stato rafforzato di undici punti percentuali, ed è ora fissato al 40%. Per l’Italia, l’obiettivo nazionale dovrebbe passare dal 33% al 43,7%.

La revisione della direttiva sulle rinnovabili porterà al 40% l’obiettivo dell’energia consumata nell’Unione, che sarà prodotta da queste fonti entro il 2030. La nuova direttiva sull’efficienza energetica fisserà, a livello Ue, un obiettivo annuale vincolante per la riduzione del consumo di energia, in modo da arrivare al 9% nel 2030. Il settore pubblico sarà tenuto a ristrutturare ogni anno il 3% dei suoi edifici (in termini di superficie) per renderli energeticamente più efficienti.

Le emissioni di nuove auto e furgoni dovranno diminuire del 55% a partire dal 2030, rispetto ai livelli del 2021, e del 100% (zero emissioni) a partire dal 2035. Gli Stati membri dovranno sviluppare le infrastrutture per i veicoli a zero emissioni (a batteria o a idrogeno), mettendo a disposizione stazioni di servizio almeno ogni 60 km per la ricarica elettrica e almeno ogni 150 km per il rifornimento di idrogeno. Oltre a entrare nel sistema Ets, i settori dell’aviazione e del trasporto marittimo dovranno ridurre le emissioni anche utilizzando miscele con carburanti alternativi. Queste miscele saranno obbligatorie per gli aerei nei rifornimenti nella Ue, mentre per le navi sarà fissato un limite massimo ai gas serra che potranno emettere se faranno scalo nei porti europei. La revisione della direttiva sulla fiscalità dell’energia eliminerà le esenzioni e le aliquote ridotte che incoraggiano e sovvenzionano l’uso di combustibili fossili.

La Commissione propone poi un nuovo sistema di “dazi climatici” da applicare all’importazione di alcuni prodotti (energia, alluminio, acciaio, cemento e fertilizzanti) da paesi terzi in cui non c’è nulla di equivalente all’Ets europeo. Il sistema, denominato Meccanismo di compensazione alle frontiere delle emissioni di carbonio, verrà introdotto a partire dal 2026, e prevede dieci anni di attuazione graduale prima di entrare a pieno regime. L’obiettivo è incoraggiare l’industria extra-europea e i partner internazionali della Ue ad allinearsi alle politiche climatiche dell’Unione. Ma nel frattempo bisogna garantire che le riduzioni delle emissioni europee contribuiscano davvero a un calo a livello mondiale, e non siano vanificate dal “carbon leakage”, ovvero un aumento dei gas serra nei paesi terzi, accompagnato da una delocalizzazione della produzione ad alta intensità di carbonio fuori dall’Europa. Altre misure, infine, riguarderanno la silvicoltura e l’agricoltura.

Le misure del pacchetto dovranno ora essere approvate in co-decisione dal parlamento europeo e dal Consiglio Ue, che in genere, sulle questioni ambientali, tirano in direzioni opposte: la maggioranza degli eurodeputati verso obiettivi più ambiziosi, mentre fra i governi spesso prevale l’esigenza di tener conto anche delle posizioni dei paesi meno “verdi” (in particolare quelli dell’Est). Diverse associazioni industriali sono già sul piede di guerra, e anche l’Italia potrebbe chiedere più gradualità su certi punti (in particolare la messa al bando del motore a combustione interna nel 2035, come sembra indicare in un suo recente intervento il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani).

Ma le frenate non sono solo all’interno della Ue: a livello globale, non è affatto scontato che il meccanismo dei dazi climatici sia accettato nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, in cui Russia e Cina potrebbero essere tra i più forti oppositori; la Russia non ha alcun appetito per l’abbandono delle fonti fossili, da cui la sua economia dipende fortemente e su cui continua a investire (vedi il gasdotto Nord Stream 2); e al G20 sull’ambiente di Napoli, la settimana scorsa, la Cina e l’India hanno rifiutato di sostenere la messa al bando del carbone entro il 2035 e di sottoscrivere un’accelerazione dell’attuazione degli impegni della Conferenza di Parigi sul clima. Ci riproverà il vertice G20 di ottobre, sempre sotto presidenza italiana. Resta il dato positivo dell’inversione di tendenza negli Stati Uniti, con la nuova amministrazione Biden schierata ora al fianco dell’Europa nella battaglia per il clima.

 

 

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