Filosofia: i nuovi orizzonti della tecnica.

Un altro futuro: ma sfidare i limiti della nostra specie comporta rischi

 

Si potrebbe parlare di un’ideologia dell’anti-destino. A promuoverla è lo sviluppo della tecnica con i suoi effetti travolgenti. Per la prima volta vengono messi in discussione idee, criteri, norme ritenuti a lungo incrollabili. Cadono barriere millenarie. Anzitutto quelle della vita nella sua genesi, qualità, durata, esito. Ciò che era considerato risultato di necessità naturale, o di volontà divina, appare oggetto di scelta. Non più dono, la vita è rimessa alle esperte mani umane, diventando via via sempre più manipolabile. Oltre a mutare il rapporto con la vita, cambia la comprensione di sé, il concetto di persona. Più che essere un corpo, si ha un corpo, scomponibile in singoli organi, modificabili, sostituibili. È qui che i confini saltano. Perché nel trapianto di organi si può passare non solo da un morto a un vivo, da un animale a un essere umano, ma anche dall’inorganico all’organico, come quando si inseriscono metallo, silicio, plastica intervenendo sull’equilibrio bioriproduttivo.

Per il transumanismo, corrente di pensiero sorta negli anni Novanta, la specie umana, non più solo soggetto, ma anche oggetto di un progresso glorioso e inarrestabile, è sul punto di superarsi in un’altra forma di vita. Questo mutamento epocale, pari a quello dai primati agli umani, è il passaggio al post-human, al «post-umano». Il trans- indica, dunque, quella fase transitoria in vista del post- che, invece, designa l’esito ultimo, il congedo dall’umano, la realizzazione dell’antico sogno di oltrepassarsi, di diventare altro da sé, sogno che, in forme diverse, da Icaro a Nietzsche, è abitato pur sempre dall’incubo di non sognare più. L’autodistruzione è un rischio reale, come riconosce Nick Bostrom, filosofo svedese cofondatore della World Transhumanist Association (Wta) e direttore, all’Università di Oxford, del Future of Humanity Institute.

«Un giorno, in un futuro non troppo lontano, i nostri discendenti penseranno con orrore ai tempi in cui l’invecchiamento e la morte erano accettati come parte normale della condizione umana». Così scrive Max More, deciso fautore del salto nel futuro tecnoscientifico. Nella visione transumanista è necessario liberare la condizione umana da tutti quei vincoli che l’hanno afflitta e limitata nei secoli. Vecchiaia e morte — suggeriva già Robert Ettinger — non possono più essere assunte come dati eterni e intangibili. Al contrario, sono patologie che la medicina sa già come trattare.

Ma è la medicina stessa a dover cambiare, accogliendo le nuove sfide e accantonando il vecchio modello terapeutico, che mirava a ripristinare l’equilibrio. Non si tratta di riparare, piuttosto di migliorare e potenziare l’organismo umano. A consentirlo sono le tecnologie indicate con l’acronimo Nbic: nanotecnologie, biotecnologie, informatica (big data, internet degli oggetti), cognitivismo (intelligenza artificiale e robotica). Le novità radicali introdotte in questi ambiti segneranno uno scarto rispetto ai quattromila anni precedenti. Il punto di svolta è il concetto di improvement, «miglioramento», su cui ha insistito il filosofo americano Allen Buchanan nel suo libro Better than Human del 2011.

Fino a che punto, però, è lecito giungere nell’autotrasformazione razionale dell’umano? Come la tecnologia non ha limiti, così non è giusto sopportare alcun fardello del passato, non solo malattie, ma anche sofferenza, angoscia, tristezza, paura, tutte spoglie inutili che solo un conservatorismo dannoso imporrebbe di accettare. Da tempo è stato cancellato il confine della «condizione originale». Che dire di tutta la chirurgia estetica? La bruttezza non è una malattia. I transumanisti sostengono perciò il ricorso alle nuove tecnologie, la clonazione riproduttiva, l’ingegneria genetica, l’uso di cellule staminali, l’ibridazione uomo/macchina, e tutte le manipolazioni che possono migliorare la condizione umana, anche al prezzo di modificare definitivamente la specie. Rivendicano la «libertà morfologica», il diritto di modificare e migliorare corpo e mente. Per quelli più radicali, come Ray Kurzweil, presidente della University of Singularity, si è già entrati nell’epoca in cui la singola coscienza è superata da una intelligenza come quella prefigurata da Google.

Le conseguenze etiche e politiche sono imponderabili. L’abbandono della specie umana sancisce la fine dell’antropocentrismo e prefigura una inquietante cosmopoli dove, nella convergenza evolutiva tra naturale e artificiale, possono coesistere «infomorfi», nuove creature, ibridi cyborg, intelligenze disperse, legati in una comunità edonistico-cognitiva che, nel nome del benessere, non cesserà di metamorfizzarsi.

 

Fonte: La Lettura, https://www.corriere.it/la-lettura/