Elezioni catalane, dove tutti hanno già perso.

di Michele Chiaruzzi

Prim’ancora della chiusura delle urne catalane esiste già una possibile risposta alla domanda su chi sarà il vincitore: nessuno dei principali contendenti, «unionisti» o «indipendentisti». A ben vedere tutti hanno già perso, ammesso che la vittoria non significhi solo sopravvivere politicamente. Il fatto è che la Spagna non ha guadagnato nulla dalla vicenda catalana e idem la Catalogna; l’Unione Europea, anche. Notevoli risorse politiche sono state impegnate, consumate e infine disperse in un conflitto che non troverà alcuna nuova composizione nell’imminente esito elettorale. Ciò è del tutto logico, se è vero che le risposte logiche dipendono dalle domande. La domanda d’indipendenza catalana e la risposta che ha ricevuto sono entrambe logore, generatrici solo del conflitto sfociante in queste elezioni ma che con esse non cesserà. Sono domande e risposte che si reggono su categorie fruste, quelle del nazionalismo europeo, utili ormai ad alimentare solo spirali di conflitto sterile nel quale le logiche di contrapposizione non creano terreni fertili e tantomeno producono sbocchi fruttuosi. A ben vedere la sfida indipendentista catalana non ha avuto alcuna capacità creativa e, di conseguenza, non ha generato alcuna risposta creativa. Invece di ipotizzare uno sbocco alternativo a quello tipico della sovranità nazionale – ad esempio la creazione di un distretto europeo nello Stato spagnolo – la rivendicazione catalana si è data uno scopo irraggiungibile pacificamente e collocato integralmente nel vecchio schema antagonistico per cui a uno Stato nazionale s’intende sostituirne un altro, differente nell’aspetto ma identico nella logica, la logica della sovranità.

Cessata l’ebbrezza dello scontro, a nulla è valsa la vicenda degli ultimi mesi. La sua logica è tuttora immutata e, da entrambe le parti, definisce le elezioni che si stanno celebrando in queste ore attorno alla divisione tra «indipendentisti» e «unionisti». Questa vicenda locale traduce così un aspetto generale. La realizzazione d’istanze politiche in Stati territoriali particolari è ancora un fatto talmente familiare nell’ambiente politico europeo da essere comunemente assunto come inevitabile e ineludibile. Ciò accade proprio in Europa, laddove esiste, da più di mezzo secolo, il tentativo di ridefinire questo fatto favorendo l’espressione delle istanze politiche attraverso dispositivi di mediazione e decisione più ampi e innovativi; alcuni dei quali passano attraverso il concetto dell’Unione Europea ma non, necessariamente, attraverso la costituzione di nuovi Stati nazionali.

D’altronde anche il passato meno recente tramanda altri concetti: se a un europeo istruito del medioevo fosse stato chiesto quale fosse la prima associazione di idee che la parola «nazione» richiamasse alla sua mente, avrebbe risposto senza dubbio la costituzione di un’università, non quella di uno Stato. Vero è che, da allora, l’espressione giuridica della credenza nello Stato sovrano come compimento finale dell’esperienza politica delle persone non ha subito conclusivi arretramenti. Perlomeno non nella vicenda catalana, dove l’istanza dello Stato sovrano e indipendente ha assorbito quasi tutta l’energia intellettuale consacrata all’azione politica, cristallizzata sulla rivendicazione di un nuovo Stato e sull’opposizione uguale e contraria a questa rivendicazione. Nella contrapposizione fra interpreti dello Stato spagnolo e dello Stato catalano è già chiaro chi ha vinto le elezioni catalane del dicembre 2017: il concetto dello Stato sovrano.

Il suo pregiudizio intellettuale non è decantato e non ha perso il proprio, formidabile, sapore politico considerato ineguagliabile – si direbbe per antonomasia. Riproduce intatte le stesse emozioni anche in chi, nel XXI secolo, in una delle terre d’Europa più avanzate e prospere, potrebbe coltivare altre forme d’organizzazione politica per sostenere e alimentare le proprie rivendicazioni sociali. Cosicché la lotta politica degli indipendentisti e degli unionisti non segnala la presunta crisi dello Stato ma il suo rinnovato trionfo. Per cosa hanno lottato, e continuano a lottare, gli indipendentisti, se non per la realizzazione di uno Stato sovrano come quello dal quale s’intendono separare? E costoro cosa hanno cercato e continuano a cercare, se non la realizzazione e il riconoscimento di un’unità politica con inno, bandiera e prerogative sovrane riconosciute dagli altri Stati sovrani? È soprattutto a questo che s’oppongono coloro che hanno scelto d’ostacolarne il progetto, fronteggiandolo in strada, nei palazzi e oggi nelle urne. Ancora una volta unionisti e indipendentisti si sfidano per il trionfo dello Stato sovrano nell’Europa del XXI secolo. Appongono così, forse senza saperlo, il sigillo dell’eternità alla filosofia della storia del XXI secolo europeo. È questa la vecchia novità delle elezioni catalane, dove anche i vincitori hanno già perso la sfida del futuro.

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