Draghi: stop alle autocrazie «Via della Seta? Valuteremo»

 

Il premier chiede di agire sul clima: è anche una lotta alle diseguaglianze

Marco Galluzzo

 

FALMOUTH (Cornovaglia) Primo punto: abbiamo voltato pagina, dice Draghi. Il presidente Biden «in qualche modo ha ricostruito delle relazioni, in primo luogo con l’Unione europea, che da parte di Trump erano state seriamente incrinate». Corollario: il tema politicamente dominante «è stata la Cina, ma la discussione ha riguardato in generale tutte le autocrazie, quelle che inquinano l’informazione, interferiscono nei processi elettorali, dirottano gli aerei, usano la disinformazione come tecnica aggressiva, usano i social media per lo stesso motivo, rapiscono, uccidono, usano i lavori forzati, non rispettano i diritti umani». E quindi tutti i punti di risentimento nei confronti della autocrazie «sono stati condivisi».

Il G7 è appena finito, Mario Draghi in conferenza stampa smentisce che sulla Cina i sette leader si siano divisi. Anche perché verso Pechino alcuni punti in comune non possono essere elusi: nonostante tutto, nonostante le condanne contenute nelle conclusioni del summit, con il colosso economico che sfida le economie occidentali bisogna comunque «cooperare», a cominciare dai progressi possibili sul clima, poi bisogna «competere, finanziariamente e industrialmente».

Quindi nessuno contesta che Pechino non possa «essere una grande economia», quello che «è stato messo in discussione sono i modi, è un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali, non condivide la stessa visione del mondo che hanno le democrazie». Per questo «occorre essere franchi», e come ha detto Joe Biden «il silenzio è complice». E che ne sarà dell’accordo stipulato fra il governo Conte e quello cinese sulla Via della Seta? Risposta secca: «Non è stato menzionato da nessuno, ma lo valuteremo con attenzione».

La Turchia

«Le voci che vogliono la Turchia fuori dalla Nato sono senza fondamento»

Il capo del governo italiano parla a lungo di clima, del fatto che «l’Italia ha speso moltissimo negli ultimi 10 anni per migliorare le emissioni, ma se non possiamo fidarci delle politiche interne degli altri Paesi si comincerà ad applicare una tassa che aggiusti la differenza dei costi di produzione, e questo è il primo passo verso il protezionismo».

E questo in quadro in cui «c’è la conferenza di Glasgow Cop26 che comincia a sigillare degli impegni. Le cifre sono molto grandi: le spese per il cambiamento climatico ammontano a 390 mld di dollari l’anno e il contributo alla disuguaglianza è incredibile. Nove tra i 10 Paesi più colpiti dal cambiamento climatico sono a basso o medio reddito, cioè poveri o molto poveri. Quindi la lotta al cambiamento climatico è anche una questione di uguaglianza. In giro, non tra i G7, le posizioni non sono perfettamente allineate: c’è chi dice “sono d’accordo, sono pronto a finanziare la lotta al cambiamento climatico, ma continuo a emettere fino a che non si trova una alternativa commercialmente sostenibile”». E la Cina torna a far capolino, perché fra gli altri «dovremo lavorare insieme per il G20, proprio sui dossier che riguardano il clima».

Poi il premier ritorna sul colloquio con Biden, «con il quale ci conosciamo da tanto tempo e abbiamo richiamato un rapporto antico fra due Paesi», oltre a discutere della cooperazione fra Washington e Roma nel Nord Africa, sulla Libia in primo luogo. E oggi si apre anche il vertice della Nato a Bruxelles. Erdogan e Draghi si troveranno faccia a faccia dopo lo scontro diplomatico del mese scorso, quando il presidente del Consiglio definì il presidente turco «un dittatore». Eppure c’è da ribadire che il ruolo della Turchia «nella Nato è importantissimo, le voci che la vogliono fuori dalla Nato sono senza fondamento». Ma abbiamo delle chance di guidare l’Alleanza Atlantica come Italia? «In questo momento abbiamo altro su cui concentrarci, a partire dai risultati che possiamo ottenere con il G20, ma per quanto riguarda le nomine sulla Nato non saprei che dire, non abbiamo candidati».

 

 

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