Don Pierluigi Di Piazza: “Le vittime delle mafie e i mercati del dolore”

Don Pierluigi Di Piazza * il 16 Maggio 2022. Chiesa, Cultura, Diritti, Friuli Venezia Giulia, Giustizia, Mafie, Memoria, Migranti, Politica, Società* Testo dell’intervento intitolato “Le vittime delle mafie e i mercati del dolore” e reso nell’ambito del convegno “Le mafie in Friuli Venezia Giulia. Dal passaggio a nord-est verso l’insediamento”, organizzato a Udine il 2 febbraio 2013 da Libera Informazione, in collaborazione con Libera Friuli Venezia Giulia, SIULP Friuli Venezia Giulia e con il patrocinio del Comune di Udine.

Grazie, da parte mia il saluto più cordiale a ciascuno di voi. La gratitudine, inoltre, agli organizzatori di questo incontro così importante, ricco di informazioni, di coinvolgimenti, di rilancio dell’impegno.

E ancora una costanza e una perseveranza nel proseguire questo impegno.

Mi sento come commosso, e non lo dico con falsa umiltà, e non so se sarà adeguato questo mio intervento rispetto a questioni che sento di importanza decisiva per la vita del Paese.

Si tratta soltanto di alcune riflessioni che vengono dall’esperienza, da tanti incontri umani. C’è la convinzione, la passione culturale, etica, politica, spirituale. Non mi sento estraneo, tutt’altro, anzi mi sento profondissimamente coinvolto, da sempre, in queste questioni.

Sono convinto che la questione della giustizia è decisiva per la vita del Paese. Non a caso un uomo, un vescovo, come il Cardinal Martini diceva che se si dovesse accostare un nome a Dio, il nome più adeguato – anche se sempre nel margine dell’inadeguatezza umana – sarebbe Giustizia.

Il Centro di accoglienza di immigrati e rifugiati politici, e insieme centro culturale “Ernesto Balducci”, ha iniziato questa esperienza nel febbraio di venticinque anni fa, ha da sempre, negli anni, posto attenzione prioritaria alla questione decisiva della giustizia, e della legalità. Questioni inscindibilmente connesse, mai scindibili.

Tanti sono stati i magistrati presenti tra noi, da Caselli a Borrelli, da Ingroia a Pace, da Spataro a Colombo, Davigo e Scarpinato. Periodicamente ritorna tra noi il carissimo amico don Luigi Ciotti, è venuto anche a concludere il ventesimo convegno, il 30 settembre scorso, insieme alle 600 persone presenti quella domenica mattina.

Del resto nel Centro ha iniziato il suo cammino Libera in provincia di Udine, e spesso si incontra in quel luogo perché avvertito come casa accogliente. E dal rapporto del Centro con la scuola media Biagio Siciliano di Capaci, le relazioni si sono allargate a comprendere i familiari di Biagio Siciliano e Giuditta Milella, fino a intitolare il un presidio di Libera di Udine proprio ai due ragazzi di Palermo morti nel 1985, dopo essere stati travolti per fatale disgrazia dall’auto di scorta dei magistrati Borsellino e Guarnotta.

E naturalmente c’è un rapporto di amicizia e di collaborazione con gli amici di Libera Friuli Venezia Giulia.

Dunque sensibilità, impegno sul territorio, con le scuole. Coinvolgimento in appuntamenti significativi, come la Giornata per la Memoria e per l’Impegno in ricordo delle Vittime delle mafie.

Sono andato, in preparazione di questi spunti di riflessione, alla ricerca di un intervento di anni fa, del magistrato Federico Frezza, in un convegno del 2001, dal titolo: “Percorsi di non violenza e di pace, dentro le ingiustizie del mondo”. Nello stesso convegno era presente anche Giuseppe Cipriani, sindaco di Corleone, per relazionare su mafie ed esperienze di liberazione.

Federico Frezza, magistrato alla Direzione distrettuale antimafia di Trieste, espose la sua relazione sulle forme di contrasto alla criminalità organizzata transfrontaliera, le investigazioni sul traffico di esseri umani e l’immigrazione. Nella sua relazione diceva che fino al 1997 non c’erano state indagini condotte con i mezzi necessari, adeguati, anche perché il fenomeno per quantità, e qualità, era davvero sorprendente per come poi è stato scoperto. Allora, era il 2001, indicava in trenta/quarantamila all’anno gli irregolari in entrata. Tanti di loro in transito. Negli ultimi anni indicava in settecento le persone arrestate per traffico di esseri umani.

Il riferimento non riguardava tanto le persone dei paesi dell’est, ma soprattutto quelle provenienti da viaggi incredibili, con modalità impressionanti, e ricatti da vera schiavitù, da Cina, Filippine, Bangladesh. Da allora è stato possibile fare intercettazioni, capire i percorsi, la rete, i costi, i capi, i debiti contratti e pagati con lo sfruttamento fino alla schiavitù.

Riflettendo sul titolo del tema che mi è stato assegnato, dopo avere ascoltato con grande attenzione chi mi ha preceduto, mi pare di poter indicare le vittime su un piano generale, non certo generico.

Nell’ambito, cioè, della cultura, della mentalità, degli atteggiamenti, dei comportamenti, come concrete realtà costruite ed organizzate come sistema criminale, insieme alle vittime dirette, le persone in carne ed ossa.

Vittime della presenza dell’organizzazione mafiosa sono la giustizia, la libertà, la democrazia. Vittima è la Costituzione. Vittima è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Vittima, per chi vive in questa dimensione, sono le alte ispirazioni delle diverse fedi religiose. Vittima è la fede stessa, che trova la forza della resurrezione, della ripresa e del rilancio.

La Costituzione negli articoli 1, 2, 3, 4 parla di lavoro, di pari dignità, di rimuovere gli ostacoli alla dignità e al processo integrale della formazione della persona umana, del cittadino.

Viviamo in un Paese che si vanta di essere cristiano, cattolico. Ebbene, sentivamo le cifre, che è il più corrotto d’Europa. È un Paese cattolico e corrotto, c’è qualcosa che non funziona tra le dichiarazioni e la coerenza. Con i 60 miliardi di euro l’anno di corruzione e i 120 miliardi di euro annui di evasione fiscale, si commette un colossale furto al bene comune, alle esigenze dei cittadini, ad iniziare da quelli fondamentali del lavoro, della salute, dell’istruzione, della scuola.

Intrecciato con questo furto è il fatturato impressionante delle mafie, che si inseriscono, si ramificano, si installano in nuovi territori.

Non ci sono isole felici. Questa è un’illusione.

Questo sistema di mafie, ingiustizie, illegalità e corruzione, ruba il futuro di giustizia, di legalità ed uguaglianza, tiene in ostaggio la democrazia, ricatta le persone, pretende compiacenza ed omertà, il coinvolgimento diretto della politica, diffonde la pratica attiva dell’illegalità come una normalità vantaggiosa per vivere. Così si installa un sistema mafioso, criminale.

E se una parte si avvantaggia, i più poveri, i più deboli, coloro che fanno più fatica, che sono ai margini, sono svantaggiati.

L’aspetto che maggiormente induce a riflessione è l’accettazione di questa mentalità. Certo, le organizzazioni mafiose si affermano con le loro strategie specifiche. Però, per poterle realizzare hanno sempre bisogno di quella che ormai si definisce la zona grigia, formata da tante persone insospettabili, stimate, del tutto normali all’apparenza. Nelle diverse situazioni “uomini-cerniera”, come venivano definiti anche stamane.

Questo mercato della giustizia, della democrazia, dovrebbe creare un dolore dell’animo, della coscienza, in tutti noi. Tutti i cittadini e le cittadine oneste dovrebbero vivere questo dolore per il tradimento della giustizia e della legalità del diritto, della libertà e della democrazia. E questo dolore dovrebbe diventare denuncia, partecipazione, proposta e costruzione.

Vittima delle organizzazioni mafiose è l’ambiente. Sempre più spesso, infatti, le attività illegali riguardano il traffico illecito di rifiuti, l’abusivismo edilizio, magari rivestito con rilascio di concessioni legittime, con il sistematico ricorso alla corruzione di amministratori pubblici, di rappresentanti politici, di funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni, o di effettuare controlli. Lo stesso discorso vale per la gestione di discariche autorizzate, o la realizzazione di opere pubbliche,. Quindi, anche l’ambiente e gli esseri viventi sono vittime delle mafie.

Vittime sono le persone in carne ed ossa, con i loro sudori, i loro volti, i loro nomi, con il carico di dolore che si portano dentro.

Diversi ne abbiamo incontrati, un vero e proprio mercato del dolore sono le vittime della tratta di esseri umani, donne soprattutto.

È drammatico, sconvolgente, per il nostro popolo che si vanta di essere libero, che ci siano persone che sono schiave. Una specie di mondo sotterraneo, che vive accanto a noi e di cui non ci si accorge, che ci passa accanto e che se anche superficialmente lo vediamo, non ci dice niente. Viviamo, dobbiamo ammetterlo, questo deficit culturale di sensibilità umana nel non voler sapere le condizioni di schiavitù, di violenza, di ricatto, in cui queste persone vivono e che sono per noi inimmaginabili. Nella prostituzione, ma anche nei lavori senza guadagno, quindi schiavitù.

E ancora, nella condizione di schiavitù delle persone, in particolare le donne vendute. Ci sono storie che ci raccontano di persone vendute, anche a loro insaputa, e poi devono pagare questa condizione, in modo inenarrabile, per anni. Tante schiavitù nascoste che le persone vivono in drammatico isolamento, ricattate da vincoli rituali, da ritorsioni nei luoghi di provenienza nei confronti dei loro familiari. Quindi, al dolore si aggiunge dolore.

Il mercato del dolore riguarda il lavoro nero. Lo sfruttamento di chi ha bisogno per vivere, e quindi è ricattabile, disponibile a qualsiasi lavoro, in qualsiasi condizione di sfruttamento e di pericolo.

Il mercato del dolore che provoca gli altri introiti per le mafie è il mercato delle sostanze, delle droghe. I dolore dei giovani, dei familiari, degli amici, dentro questa ricerca di evasione, di felicità, che diventa un tunnel di dipendenza, di dolore appunto, non di rado anche di morte.

Il mercato del dolore di chi resta vittima delle armi, perché anche qui nella nostra regione, più di una volta, è stato scoperto il traffico delle armi. Chi resta ucciso dalle armi che vengono transitate. E le mafie trafficano e comprano armi che sono strumento di dolore, di morte, non certo di vita e di speranza.

Il mercato del dolore delle vite personali, delle famiglie, anche dentro la dipendenza che si sta diffondendo. La dipendenza del denaro, giocato, esigito come usura, come tangente, come silenzio, come prezzo dell’omertà.

Siamo qui, anche, per rilanciare, uniti nell’impegno, ognuno nel suo ambito di competenza, ma in modo unitario, questa sfida culturale, etica e politica, investigativa, giudiziaria, contro le mafie, la corruzione, l’evasione fiscale.

Ci impegniamo a promuovere, sostenere e diffondere la cultura della giustizia e delle legalità, della libertà e della partecipazione, della democrazia, dei diritti umani uguali per tutti, della responsabilità personale, di quella istituzionale, di quella politica.

A questo proposito, siamo dentro a una profonda crisi della politica, per contenuti, metodi, rappresentatività. Però, proprio in questa crisi, avvertiamo in modo quasi più evidente, la indispensabilità della politica, per la conduzione della polis, che sia accettata.

Amiamo ancora riferirci, anche se questo drammaticamente stride in mezzo a tante realtà attuali, a quello che un grande maestro di tanti di noi, don Lorenzo Milani, insegnava ai suoi ragazzi ed è di una attualità straordinaria: “la politica è l’arte di uscire insieme dai problemi, tutto il resto è egoismo”.

E un Papa, come Paolo VI, che diceva che “la politica è la più alta forma di carità”. Certamente, pensando alla politica del bene comune, misurata sempre a partire dai più deboli, dai più fragili, da coloro che fanno più fatica. Ci sono donne e uomini impegnati in politica esemplari, per dedizione, competenza e rischi. Ce ne sono tanti, troppi, lontano dalla vita delle persone e della comunità. Autoreferenziali, privilegiati, peggio ancora “uomini-cerniera” delle attività illegali e criminali o essi stessi soggetti attivi delle stesse.

La purificazione della politica avvertiamo che oggi sia il passaggio più decisivo, più indispensabile, perché dalla politica passano le decisioni, le leggi. Appunto: chi fa le leggi? Come si scrivono? Con chi si scrivono? Con quali collaborazioni? Con quali motivazioni? Con quali fini? Ed è grave, come veniva detto precedentemente, che sicurezza e lotta alla corruzione siano pressoché assenti dal dibattito politico di questa campagna elettorale.

È una mia intima convinzione, che ripeto da diverse parti, che Libera è uno dei segni più importanti del nostro Paese. Per l’opera di educazione alla giustizia e alla legalità nelle scuole, per la concretezza delle scelte, per l’impegno nella gestione per uso sociale dei beni confiscati alle mafie, anche con le molte difficoltà che conosciamo, con le continue minacce e distruzioni che queste esperienze subiscono, e per la memoria viva delle vittime. Quindi indispensabile sono l’educazione, la formazione, la coscienza, la disponibilità, la dedizione, il coraggio di tutti la perseveranza.

A questo riguardo – io sono un prete – continuo a sognare insieme a tanti una Chiesa, chiedendo per primo coerenza a me stesso, molto più profetica e coraggiosa. Pensiamo a quanto di più, e di meglio, si potrebbe operare nelle parrocchie, nell’incontro con i giovani, nell’educazione alla giustizia, alla legalità, alla coerenza dei comportamenti.

Un’attenzione si pone doverosa, a volte la carità può coprire l’ingiustizia e la solidarietà occasionale può colpire l’omertà e il conformismo dell’accettazione delle situazioni così come sono.

E poi, dolorosa e incoraggiante, pure nel dolore, è la memoria viva, insieme ai familiari, di chi ha dato la sua vita per la giustizia e la legalità. Anch’io mi unisco con commozione alla memoria di Eddie Walter Cosina e di Nicola Maria Pace.

Paolo Borsellino, nell’ultimo discorso pubblico dopo la strage di Capaci, poco prima di venire lui stesso ucciso con gli uomini della sua scorta, tra cui anche Walter, aveva detto – rispondendo alla domanda che si era posto in quel momento – “Perché Giovanni Falcone non se n’è andato via? Perché non è scappato via lontano? Perché è rimasto?”. La risposta è questa: “Per amore a questa terra, a questo Paese, per amore che dà senso ad una vita ed anche ad una morte drammatica”.

Roberto Scarpinato nel criticato da parte di qualcuno, ma bellissimo discorso in forma di lettera a Paolo Borsellino, in via D’Amelio lo scorso 19 luglio, aveva detto che loro – riferendosi a Falcone e Borsellino, e credo sia estendibile a tanti magistrati – diceva che: “Questi uomini non sono stati soltanto bravi magistrati, non hanno solo condotto in modo esemplare il loro compito di magistrati, ma sono stati per tutti noi indicatori, costruttori di senso della vita”. Questo è straordinario.

Mi permetto di dire che non è tanto fare la memoria, e questo mi sembra che possa essere anche pericoloso. Perché, nel fare memoria c’è il pericolo di avere solo una cronologia. A me viene sempre più di dire: “Viviamo la memoria, diventiamo memoria, siamo noi memoria”.

Questo comporta l’impegno di ogni giorno, con responsabilità e tenacia, non scoraggiandosi, guardando in modo realistico il male, ma insieme ai semi di speranza, che provengono dall’esperienza di situazioni positive.

Quindi avanti, insieme, con ragionevole speranza, perché questo non è un impegno tra gli altri, a è il senso stesso della nostra vita. Grazie.

Mafie in FVG_Libera Informazione 2014

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