– Aaaaaaaaaah!
– Sì, sì… Sì!
– Ancora, ancora, ancora!
– Iiiiiiiiiih!
Stimolato dalle immagini di sesso orale provenienti dallo schermo televisivo, Matteo sentì l’erezione svilupparsi gradualmente nel basso ventre. Cominciò a praticare la forma di autoerotismo più nota al genere maschile.
– Aaaaaaah!
– Ancora!
– Sì, sì, ti prego!
Lo sentiva. Dopo già un paio di minuti stava per raggiungere la gioia, quel che ci voleva dopo una giornata di lavoro grigia e uguale a tutte le altre.
– Sì, sì, sì!
– Succhiamelo ancora, ti preg…
L’esibizione pornografica fu interrotta dall’improvvisa apparizione, sullo schermo, di una giovane e piacente annunciatrice che riferiva un messaggio perentorio :
– Abbiamo trasmesso l’ora di pornografia quotidiana obbligatoria a cura di Rai Radiotelevisione italiana S.p.a., in base alle disposizioni dell’art. 4, comma 1, lettera a) del D.P.C.M. 16 giugno 2021 n. 23. Siete pregati di attenervi alle istruzioni impartite dal Servizio Sanitario Nazionale per la raccolta e consegna del liquido seminale. Ricordate che se volete bene all’Italia, dovete rimanere distanti. Distanza è unità.
La voce dell’annunciatrice, che indossava un dispositivo simile ad una maschera da sub, proseguì, ripetendo una serie di istruzioni già note alla generalità della popolazione. Matteo soffocò un’imprecazione. Erano arrivate le 19.00 del 24 marzo 2031 e l’ora di pornografia televisiva obbligatoria era finita. La solita abitudine della televisione italiana di interrompere le trasmissioni sul più bello, mentre stava raggiungendo la massima gioia. Sentì comunque del liquido caldo scorrere nel basso ventre.
L’eiaculazione era avvenuta con successo. Alla veneranda età di 45 anni era ancora in grado di produrre del buon sperma. Se ne rallegrò. Sì alzò dal divano e si affrettò a raggiungere il bagno, sotto l’occhio vigile della telecamera installate nel suo appartamento. Aprì l’armadietto dei medicinali, prese il bicchiere graduato di plastica fornito dall’Azienda Sanitaria Locale e vi fece scorrere lo sperma. Di lì a poco, verso le 19.15, sarebbe passato un corriere governativo a ritirare il bicchiere. Il suo seme sarebbe stato portato e conservato in spermoteche dell’Istituto Superiore di Sanità: lì sarebbe stato utilizzato per fecondare ovuli femminili e dare vita a nuovi embrioni. Figli che non avrebbe mai conosciuto, in quanto educati e istruiti da tutori governativi designati dal Ministero dell’Istruzione e dalle Prefetture. In particolare, il tutore AB – 42 si sarebbe occupato dell’istruzione elementare, il tutore DF – 54 dell’istruzione superiore, e il tutore A – XC di quella universitaria.
Matteo rifletté con una punta di ironia. La pornografia e la masturbazione, un tempo così riprovate sul piano morale, ora erano imposte per legge. Ogni giorno le reti televisive italiane, dalle 18.00 alle 19.00, trasmettevano filmati pornografici che i cittadini maschi tra i 18 e i 48 anni erano obbligati a guardare, per stimolare la produzione di liquido seminale. Nessuno sfuggiva a questa strana routine. Facevano eccezione solo coloro che erano stati dichiarati impotenti dalle commissioni mediche delle ASL locali e coloro che avevano riportato condanne penali in base a sentenze passate in giudicato (solo il liquido seminale di cittadini incensurati poteva essere utilizzato per fecondare nuovi italiani).
Sopra lo schermo televisivo di ogni casa era installata una telecamera governativa dotata di un sensore. Se quest’ultimo rilevava l’assenza di esseri umani dalla stanza per più di tre minuti, faceva scattare un allarme. Il soggetto di cui era stata registrata l’assenza dalla stanza della televisione veniva immediatamente prelevato da ufficiali della Guardia dei Carabinieri, per essere interrogato. Il rischio era un’imputazione per inadempimento a obblighi della pubblica autorità, con pene edittali tutt’altro che trascurabili. Le sanzioni erano comprensibili. La pornografia e l’autoerotismo erano diventati l’unico modo per garantire la perpetuazione della specie, da quando la socialità, l’affettività e i rapporti sessuali erano stati banditi da leggi interne e convenzioni internazionali.
Il corriere ritirò puntualmente il bicchiere graduato che Matteo aveva depositato sull’uscio del proprio appartamento, in cui viveva in solitudine da una decina d’anni. Vide il corriere attraverso le tende della finestra. L’uomo indossava la divisa che tutti erano obbligati a vestire per uscire dal proprio domicilio: guanti, mascherina e un cascovisore che copriva gli occhi con un display dal colore verde acido. Dopo avere osservato quel rituale, Matteo andò in cucina a controllare i display dei due telefoni fissi installati vicino al frigorifero. Quello nero serviva per le emergenze mediche e per segnalare eventuali sintomi da contagio, quello bianco per le comunicazioni lavorative. Quelle due linee telefoniche erano le uniche a funzionare ancora con regolarità: la linea telefonica generale era stata smantellata.
Dopo aver verificato l’assenza di telefonate mediche o lavorative, Matteo si recò nuovamente presso il bagno, si spogliò e si fece una doccia calda.
La televisione, rimasta accesa, aveva ripreso nel frattempo la normale programmazione, trasmettendo la pubblicità. Immagini di città italiane vuote all’alba e al tramonto. Immagini di italiani felici che facevano il pane nelle proprie case. In sottofondo, musica new age. Una calda e rassicurante voce maschile stava pronunciando il seguente messaggio:
– Vedete tutti queste immagini di città vuote, vero? Infondono tristezza, ma al tempo stesso speranza. Perché, si sa, noi italiani siamo fatti così. Siamo un popolo spesso ribelle e litigioso, ma che nei momenti peggiori ha dimostrato di ritrovare unità e fratellanza. Oggi, purtroppo, dobbiamo tutti stare un po’ distanti. Non è facile, lo sappiamo. E non sarà per sempre. Ma se stiamo tutti distanti oggi, un domani potremo tornare finalmente ad abbracciarci. E la vita tornerà ad essere meravigliosa. Oggi, se vogliamo bene all’Italia, dobbiamo stare distanti. Distanza è unità.
Matteo sorrise, sentendo dal bagno quelle parole. Suonavano beffarde, anche per il solo fatto che venivano ripetute costantemente negli spot televisivi da almeno dieci anni. Dopo essersi fatto la doccia si vestì, tornò in cucina e preparò la cena. Per la sera del 24 marzo 2031 la tabella annonaria, predisposta dal Ministero della Salute, prevedeva che i cittadini italiani avrebbero consumato due bistecche di maiale, insalata, due cracker e 50 ml di acqua frizzante. Vi erano apposite eccezioni per coloro che soffrivano di disfunzioni alimentari o seguivano particolari ideologie. Il cibo veniva recapitato direttamente presso le case da un corriere annonario: i supermercati e negozi di generi alimentari non esistevano più.
Mentre Matteo consumava la cena – trovò che le bistecche erano molto più buone di quelle della settimana scorsa e se ne rallegrò – irruppe la sigla del telegiornale, che annunciava le notizie del giorno. Il Presidente del Consiglio, ormai sessantasettenne e in carica da circa 13 anni, riferì che la curva dei contagi da Coronavirus si manteneva stabile. 400 – 500 contagi al giorno, né più né meno. Seguirono le solite interviste ad esponenti della maggioranza di governo. Questi si dicevano certi che la Socialità sarebbe presto rientrata in vigore, e che i cittadini avrebbero dismesso la divisa che erano obbligati ad indossare per uscire dalla propria residenza. Il notiziario si concluse con un altro messaggio del Presidente del Consiglio, che invitava i cittadini a rimanere distanti tra loro soltanto ancora un po’, al fine di preservare la Salute pubblica. Chi voleva davvero bene all’Italia, chiosava l’anziano statista, sceglieva la distanza. Fine.
Da circa una decina di anni i notiziari trasmettevano quotidianamente la stessa litania. Matteo pensò che avrebbe potuto guardarsi un’edizione di sette – otto anni prima, tanto nulla sarebbe cambiato. Il pensiero lo fece ridere amaramente, tra sé e sé. Finì di mangiare e sistemò piatti, posate e bicchieri dentro la lavastoviglie. Indossò guanti, mascherina e cascovisore e uscì sulla terrazza del proprio appartamento, per la consueta ora d’aria prima del film serale. Si sedette su una delle sedie e cominciò a riflettere. Utilizzava spesso quel momento della giornata, in cui gli ultimi lembi della luce del sole cedono il passo all’imbrunire, per pensare.
La sua mente andò a tutti gli i cambiamenti sociali e politici che avevano interessato l’Italia e il mondo negli ultimi 15 anni. Si poteva quasi che fosse iniziata una nuova era dopo quella cosiddetta “contemporanea”. Come era possibile infatti che l’asocialità, in origine derisa e sbeffeggiata in quanto sinonimo di “stranezza”, fosse ora diventata lo stile di vita del ventunesimo secolo? Matteo ricordò che, verso la fine di febbraio del 2020, il mondo era stato colpito da una epidemia provocata da un virus influenzale di cui nessuno aveva conoscenza, denominato “Coronavirus” o “Covid 19”, proveniente dalla Cina. Il virus era considerato pericolosissimo. Non perché fosse particolarmente letale (la Peste nera del 1348 e la febbre Spagnola del 1918 avevano fatto di peggio, da questo punto di vista), ma perché era altamente contagioso. Il numero dei contagi superava di gran lunga il numero dei decessi effettivi. Scienziati e virologi avevano constatato che la trasmissione avveniva attraverso il contatto umano. Qualsiasi forma di contatto. Era anche sufficiente che un essere umano toccasse la spalla di un altro essere umano.
L’Italia fu uno dei paesi più colpiti. Il Governo Italiano – nella persona dello stesso Presidente del consiglio che aveva parlato al notiziario – data la gravità della situazione impose alla popolazione italiana una quarantena generale per due mesi. Nessuno poteva uscire di casa, salvo che per motivi di salute o lavorativi, e tutti si trovarono a lavorare da casa con il proprio PC. Tutte le attività di svago e intrattenimento furono chiuse, mentre proseguirono quelle industriali, commerciali e produttive attraverso la tecnologia da remoto. Con la successiva diminuzione dei contagi, Il governo consentì alla popolazione di uscire. Furono piano piano riaperte le attività di svago e intrattenimento, mentre la tecnologia da remoto cadde in disuso per quanto riguardava le attività industriali, commerciali e produttive, che ripresero ai ritmi di prima.
Ad aprile 2021, quando sembrava che la situazione si fosse risolta, i contagi tornarono però a crescere in modo preoccupante, giungendo ai livelli di febbraio 2020. Il governo impose di nuovo una quarantena generale. Ben presto ci si rese conto però che la quarantena avrebbe rischiato di innescare una crisi economica senza precedenti, peggiore rispetto a quelle che si erano viste negli anni precedenti. Il Presidente del Consiglio istituì quindi una commissione composta di scienziati, virologi ed esperti di programmazione sanitaria, che avrebbe dovuto proporre una soluzione finale al problema. La commissione, dopo una settimana di lavoro, concluse che l’unica soluzione era bandire definitivamente interazioni sociali, affetti e sentimenti, in quanto causa primaria di trasmissione del virus. Ma come si poteva fare? Difficilmente un provvedimento legislativo avrebbe cancellato un istinto vecchio di milioni di anni. Non erano stati ancora inventati dispositivi in grado di aprire le porte della mente e sorvegliare l’interno dell’animo umano.
L’escamotage fu ben presto trovato. Si trattava di impedire che un cittadino, uscendo di casa, potesse identificare il prossimo sulla base dei suoi connotati fisici e della sua voce. Se tale possibilità veniva meno, sostenevano gli esperti della commissione, non c’era più bisogno di socialità: il cittadino, trovatosi di fronte ad una massa informe di esseri umani senza caratteristiche riconoscibili, non avrebbe più sentito la necessità di instaurare relazioni sociali. La tecnologia allora disponibile avrebbe consentito un simile traguardo. La Technocorp S.p.a. vinse la gara d’appalto per realizzare un’invenzione che traducesse in realtà quelle aspirazioni. Il 27 maggio 2021 presentò al governo il brevetto del Cascovisore, un dispositivo che copriva gli occhi con un display a forma di maschera da sub. Esso filtrava la realtà che l’occhio umano era abituato a vedere in linee gialle stilizzate su schermo di colore verde acido. Se si usciva di casa indossando il cascovisore, l’occhio vedeva tutti gli edifici della via stilizzati, come nella scena iniziale del film 1997: fuga da New York.
Il display trasformava inoltre le persone che camminavano in sagome indistinte, di cui l’occhio percepiva solo i lineamenti esterni. Sagome prive di occhi, naso, bocca vestiti e capelli, come quelle che si vedevano a terra nella scena di un delitto. Uscendo di casa e indossando il cascovisore, non si sarebbe potuto distinguere il sesso dei passanti. L’armatura era completata da un microfono collegato al display, che distorceva la voce in modo tale da non riconoscere il proprio interlocutore, e da un sensore: qualora quest’ultimo avesse rilevato un tentativo di avvicinarsi ad una persona infrangendo la distanza di un metro, avrebbe fatto scattare un allarme. Sarebbero stati sprovvisti di tale sensore i soli cascovisori in dotazione alla Polizia.
Il governo, soddisfatto del lavoro della Technocorp S.p.a., adottò quindi ufficialmente l’invenzione. Il 5 giugno 2021, con decreto del Presidente del consiglio n. 12, furono vietati sentimenti, interazioni sociali e rapporti affettivi e sessuali, e l’uso del cascovisore fu imposto a tutti i cittadini che intendevano uscire dal proprio domicilio. La socialità fu mantenuta, in modalità strettissime, soltanto per settori essenziali alla vita dello Stato (attività medica, politica, amministrazione della giustizia e ordine pubblico). Seguì poi l’adozione di misure particolarmente restrittive. Fu smantellata la linea telefonica generale: cellulari e smartphones di qualunque tipo divennero completamente inutilizzabili, fatta eccezione per le comunicazioni mediche e lavorative. Furono mantenuti i social network, anche se i gestori dovettero eliminare le funzioni che implicavano socialità attiva, come la possibilità di chattare tra profili e aggiungere “mi piace” e commenti sui post pubblicati. Seguì l’introduzione della pornografia obbligatoria e il divieto per le Poste Italiane di dare corso alla corrispondenza epistolare. Furono aboliti supermercati e negozi di qualunque tipo. Per i cibi da consumare a colazione, pranzo e cena furono istituite le tabelle annonarie, mentre il resto dei prodotti si sarebbe potuto ordinare solo attraverso internet, con recapito al proprio domicilio da parte di corrieri.
Misure al cui confronto ciò che avevano fatto i grandi dittatori del passato appariva roba di poco conto. Ma ciò che stupiva maggiormente Matteo era stato l’atteggiamento della popolazione italiana. Sin dall’istituzione della prima e della seconda quarantena, infatti, quest’ultima manifestò un’adesione quasi incondizionata alle misure assunte dal governo. A ciò contribuì un’efficace campagna governativa che faceva leva sullo spirito “guerriero” del popolo italiano, a colpi di slogan preconfezionati e ripetuti a tutte le ore dalla pubblicità commerciale e dai programmi radiofonici e televisivi (“iorestoacasa”, “andràtuttobene”, “insiemecelafaremo”, “uniticelafaremo”, “torneremoinsieme”, “megliodistantieannoiaticheintubati”, “torneremoadabbracciarci”). Ma al di là dei condizionamenti, quasi la totalità della popolazione – Matteo ne era certo – finì per convincersi spontaneamente che le misure assunte fossero le uniche possibili, e che il governo e gli scienziati stessero agendo per il bene superiore di tutti.
Di fronte alla tutela della salute tutto doveva cedere, anche principi giuridici e sociali che sembravano irrinunciabili. Nulla poteva porsi al di sopra della Salute. Non mancarono voci di dissenso o critica rispetto all’operato dei governanti, soprattutto attraverso i social network. Chi osava proporre tali punti di vista tuttavia, anche prima dell’abolizione della Socialità, incorreva in una squalifica sociale e finiva per essere emarginato. “Ignorante”, “Analfabeta funzionale”, “oscurantista”, “nemico della salute”, “nemico della scienza”, “odiatore”, “razzista”, “egoista”, erano gli epiteti indirizzati contro quelli che mettevano in discussione l’operato delle istituzioni, colpevoli di sostituire il proprio punto di vista a coloro che avevano la competenza per gestire la situazione di emergenza. A nulla importava che la loro opinione fosse inconsistente, bizzarra o ben argomentata. Gli “ignoranti” furono ben presto considerati soggetti indegni di vivere nella società. Nessuno più rivolse loro la parola o li degnò di uno sguardo. Si consumò la rottura di rapporti di lavoro, amicizia, fidanzamento e matrimonio a causa della divergenza di opinioni sull’operato del governo. Prima dell’abolizione della socialità, si registrò un impressionante numero di suicidi tra gli “ignoranti”, a causa dell’incapacità di togliersi lo stigma sociale derivante dalla propria opinione.
Il governo italiano realizzò dunque un capolavoro politico. Strumenti come la repressione del dissenso e degli oppositori, i Tribunali speciali per la difesa dello Stato e la Polizia segreta non sarebbero più serviti. Era sufficiente avere polarizzato il 90 % della popolazione italiana: questa avrebbe poi provveduto a emarginare da sé i dissenzienti. Tutto questo preparò il terreno all’adozione dei famigerati provvedimenti di giugno 2021, che furono salutati con approvazione quasi unanime. Anche dopo l’abolizione della socialità, il (poco) dissenso fu infatti tollerato. Il governo si rese conto che mantenere il pluralismo era fondamentale, se non si voleva vanificare il lavoro svolto per contenere la situazione di emergenza. La storia aveva dato torto ai regimi che avevano preteso di imporre con la forza un’ideologia unica: nella migliore delle ipotesi, il leader era stato costretto alle dimissioni (Cile e Germania Est), nella peggiore era finito fucilato e appeso per i piedi (Romania, Italia). Così, nonostante lo scioglimento di partiti, associazioni e formazioni sociali – dovuto non a motivi politici, ma all’esigenza di rispettare il divieto di socialità – la stampa non subì mai censure, i giornalisti e gli scrittori poterono continuare ad esprimere nei propri articoli e libri opinioni dissenzienti. L’attività letteraria fu sostenuta perché non violava il divieto di interazioni sociali e, attraverso la narrazione di mondi fittizi, poteva fornire un simulacro della socialità vietata. I corrieri recapitavano ogni mattina ai cittadini almeno un giornale per ogni diversa posizione politica. Semplicemente venivano letti e considerati solo giornali, articoli, libri e post sui social network che appoggiavano il lavoro del governo: tutti gli altri venivano ignorati.
Questa strana commistione di coercizione e pluralismo consentì al governo di mantenersi stabile, una condizione necessaria per affrontare un momento così delicato. Il modello italiano venne ben presto adottato dagli altri Stati e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella storica seduta del 26 agosto 2021, proclamò all’unanimità che la socialità doveva essere bandita dalla faccia della Terra. Tutti gli Stati della terra si adeguarono a tale precetto con le proprie legislazioni interne. Le misure adottate dal governo italiano non eliminarono in realtà i contagi – si scoprì ben presto che il virus si spostava anche attraverso l’aria – ma li stabilizzarono nel numero di 400 – 500 persone al giorno. “Stabilità” sarebbe stata la parola d’ordine della politica italiana negli anni a venire. Non si doveva fare nulla per turbare il delicato equilibrio stabile di contagi garantito dall’abolizione della socialità.
Gli scienziati della commissione governativa erano stati chiari, nella relazione presentata al Presidente del Consiglio il 22 settembre 2021: persino una riduzione del numero di persone positive avrebbe generato una catena infinita di reazioni, in grado di turbare la stabilità e generare, secondo il noto principio di azione – reazione, una nuova risalita dei contagi. Non ci si doveva assolutamente allontanare dai 400 – 500 contagi giornalieri. In questo stato di cose quasi nessuno protestò quando, nel marzo 2023 e nel marzo 2028, il governo si attribuì con proprio decreto altri 5 anni di permanenza in carica, senza passare attraverso elezioni politiche e fiducia parlamentare. A dire il vero da giugno 2021 il Parlamento aveva deciso spontaneamente di non riunirsi in futuro. Malgrado l’attività del collegio legislativo non fosse stata formalmente vietata – era pur sempre il simbolo della democrazia – le sue riunioni implicavano socialità, quindi erano da ritenersi pericolose per la salute pubblica. L’attività legislativa ed esecutiva finì per accentrarsi in capo al Governo, che agiva attraverso decreti del Presidente del Consiglio (D.P.C.M.)
Alcuni giornalisti e intellettuali osarono sostenere che un simile accentramento fosse contrario alle norme della Costituzione repubblicana. Stolti! Non si ricordavano – o fingevano di non ricordare – che la necessità è fonte di diritto esattamente quanto le norme costituzionali e che, in situazioni di emergenza estrema, può prevalere su queste ultime. Preservare la salute umana era necessario: non ci si poteva permettere di sacrificare sull’altare dell’instabilità politica il lavoro svolto per contenere l’epidemia a livelli stabili. Le elezioni, il cambio della compagine governativa e la presenza di un Parlamento potenzialmente ostile al Governo implicavano instabilità per definizione. Questa avrebbe rischiato di influenzare negativamente la curva dei contagi.
Un orologio a pendolo batté le 20.45 dall’interno dell’appartamento. Il piacevole imbrunire della serata di marzo aveva ceduto il posto alla notte. Matteo si rese conto di essersi perduto nel labirinto dei propri pensieri: rientrò in casa, chiuse la porta scorrevole e si sedette sul divano. Chissà se prima o poi tutto questo sarebbe finito, si disse tra sé e sé. Alcuni opinionisti affermavano che il governo sfruttasse l’emergenza come pretesto per mantenere una posizione di potere, soggiogando i cittadini. Altri invece sostenevano addirittura che non esistesse alcuna pandemia. Erano ovviamente degli ignoranti. Le loro opinioni non erano degne di essere ascoltate perché svilivano il duro lavoro fatto per contenere l’emergenza, e infatti nessuno dava loro ascolto. Matteo accese la televisione. Da quando la socialità era stata abolita, i programmi televisivi e radiofonici si erano ridotti a notiziari, audiolibri trasmessi in diretta, rubriche di commento ai fatti di politica interna e internazionale del giorno, concerti in diretta di cantautori, rubriche musicali. Programmi ovviamente condotti in solitaria. I Talk Show, i quiz televisivi e i programmi con il pubblico non esistevano più.
Gran parte della programmazione quotidiana era poi occupata da repliche di film e serie televisive. Questi ultimi venivano trasmessi di continuo perché servivano a mantenere vivo il ricordo della socialità, evitando le conseguenze psico fisiche negative derivanti dalla sua abolizione. Non si potevano più produrre e girare nuovi film da almeno dieci anni – implicavano un lavoro collettivo e quindi socialità – ma nulla impediva di trasmettere quelli vecchi. Venivano replicate inoltre olimpiadi, partite di calcio nazionali, europee e mondiali ed eventi sportivi di qualsiasi genere. Registravano ascolti altissimi, in particolare, le repliche delle finali dei mondiali Italia – Germania del 1982 e Italia – Francia del 2006, tanto da essere mandate in onda almeno una volta alla settimana. Gli sport di qualsiasi genere, infatti, erano stati aboliti. Per mantenersi in forma, ogni sabato e domenica mattina i cittadini dovevano eseguire esercizi fisici sotto l’occhio vigile della telecamera governativa, seguendo una trasmissione condotta da un istruttore.
Matteo fece zapping con il telecomando e si imbattè in Le vite degli altri, un bel dramma storico di 25 anni prima, ambientato nella Germania divisa dal Muro di Berlino. La messa in onda di quel film era un fatto curioso: effettivamente, il Muro di Berlino non aveva costituito un primo tentativo di bandire la socialità tra parti diverse di uno stesso paese, seppur per motivi politici? In quell’occasione si era fatto ricorso ad un muro fisico, anziché ad un muro virtuale. Molti cittadini della Germania Est, ricordava Matteo, erano morti nel tentativo di oltrepassare il muro, e infrangere il divieto di socialità con i cittadini della Germania Ovest. Mentre l’ufficiale della Stasi Gerd Wiesler era indaffarato a spiare e captare i discorsi del drammaturgo Georg Dreyman, per scoprire se pensasse in modo “deviato”, comparve sullo schermo una scritta in sovrimpressione:
Distanza è unità. Se vuoi bene all’Italia rimani distante.
Un raggio di sole penetrò attraverso le tende della finestra dell’appartamento e colpì le palpebre di Matteo, svegliandolo dolcemente. L’orologio a pendolo batté le 06.45: stava per iniziare una nuova giornata di lavoro. Si rese conto di essersi addormentato durante il film. Si alzò dal divano, si vestì e si recò in bagno per le abluzioni quotidiane. La televisione, che aveva lavorato instancabilmente tutta la notte, stava ora trasmettendo la rassegna stampa quotidiana. Annuncio del Capo della Protezione civile che il numero di contagi si manteneva stabile, sulle 400 – 500 persone al giorno. Un ritornello già sentito. Interviste al Presidente del consiglio e a esponenti della maggioranza di governo su una possibile attenuazione, se non addirittura abolizione, del divieto di socialità. Se ne parlava da almeno 5 o 6 anni. Interviste ad illustri sociologi e psicologi, che spiegavano come la solitudine fosse profondamente connaturata all’animo umano. Era strano. A Matteo sembrava di ricordare che Aristotele descrivesse l’uomo come animale sociale. Intervista all’ultimo Presidente della Repubblica italiana, ormai novantenne, sul futuro dell’Italia in occasione del decennale dell’abolizione della socialità. Ultimo perché dopo la fine del suo mandato, avvenuta nel gennaio 2022, il Parlamento non ne aveva eletti altri.
Matteo aprì la porta del proprio appartamento e ritirò i giornali e la colazione depositati dai corrieri sul proprio uscio. La colazione del 25 marzo 2031, stando alla tabella annonaria, prevedeva una brioche alla marmellata di albicocca, una cialda per il caffè e una cialda per il tè. Infilò le cialde nella macchinetta del caffè e addentò la brioche. Mentre faceva ciò, sfogliò i giornali recapitati quella mattina dal corriere governativo. Le notizie sulla carta stampata non erano molto diverse da quelle che aveva già sentito al telegiornale. Il titolo di un occhiello in fondo alla quarta pagina del giornale filogovernativo, però, attirò la sua attenzione.
Arrestati in flagranza dai Carabinieri il dott. Francesco Roversi, 43 anni, impiegato presso l’ufficio Riqualificazioni della Prefettura e il dott. Ambrogio Fiumani, 41 anni, corriere governativo.
Il sig. Roversi, mentre si recava all’ufficio, sarebbe stato colto nell’atto di togliersi il proprio cascovisore, avvicinarsi al sig. Fiumani sull’angolo della strada e salutarlo. I cascovisori hanno fatto quindi scattare l’allarme, provocando l’intervento delle forze dell’ordine.
Stando a quanto il sig. Roversi ha raccontato ai PM nel corso dell’interrogatorio, la persona salutata sarebbe un amico di vecchia data, che non vedeva da almeno dieci anni.
I P.M. hanno contestato ai due indagati i reati di inadempimento ad obblighi della pubblica autorità e procurata epidemia in concorso tra loro. L’udienza del processo per direttissima si terrà oggi presso la XII aula del Tribunale penale alle ore 14.30 e…
Brutto affare, pensò Matteo. La contestazione dei due reati avrebbe condotto i malcapitati nelle patrie galere per almeno 40 anni, senza attenuanti, benefici, scriminanti o scusanti. Così prevedeva il D.P.C.M. n. 33 del 20 giugno 2021. Una giurista poco informato aveva sostenuto che una risposta sanzionatoria così rigida violasse una serie di norme costituzionali e principi della tradizione penalistica liberale, quali la personalizzazione del trattamento sanzionatorio, la finalità rieducativa e la proporzionalità della pena. Stolto! Non sapeva – o fingeva di non sapere – che la tutela della salute umana deve prevalere su tutto. Sarebbe stato fin troppo facile ribattere che di carcere a vita non si muore, ma di Coronavirus sì. Quei due signori, comportandosi in modo scriteriato, avrebbero vanificato dieci anni di durissimo lavoro delle istituzioni per la protezione della salute pubblica, turbando la Stabilità dei contagi. Un altro aspetto della vicenda colpì Matteo. Il sig. Roversi, nell’interrogatorio davanti ai PM, ammise di essere stato in grado di riconoscere il sig. Fiumani anche prima di togliersi il Cascovisore. Come era possibile? Il Cascovisore non consentiva di riconoscere il proprio interlocutore.
Durante l’interrogatorio il sig. Roversi si rifiutò di dire ai P.M. come aveva fatto a identificare il suo amico, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Non si era ancora stati in grado di rinunciare al principio penalistico per cui la persona indagata, in sede di interrogatorio, non è tenuta ad autoincriminarsi o aggravare la propria posizione processuale con dichiarazioni a sé sfavorevoli. Non si era riusciti almeno sino a quel momento. Alcune indiscrezioni di Palazzo Chigi lasciavano intendere che un nuovo decreto del Presidente del consiglio avrebbe presto agito su quel fronte. Non si trattava di abolire il principio, quanto piuttosto di rivederlo nell’ipotesi in cui fossero state in gioco informazioni essenziali per la tutela della salute pubblica.
Il dubbio su come avesse fatto il sig. Roversi a eludere i meccanismi del cascovisore accompagnò Matteo sino alla fine della colazione. Arrivarono le 07.30. Sistemò le tazze della colazione nella lavastoviglie e indossò giacca e cravatta nera da lavoro. Dopodiché infilò il cascovisore con mascherina, prese la bicicletta e uscì dal proprio appartamento, pronto per un’altra giornata di lavoro in ufficio. La strada e il parco davanti a casa sua, filtrati attraverso il display del proprio cascovisore, brulicavano di figure stilizzate deambulanti, di cui non riusciva a distinguere il sesso né i volti. Sui tetti degli edifici davanti alla propria casa, campeggiavano vari cartelli. Alcuni dicevano “Distanza è unità. Se vuoi veramente bene all’Italia, rimani distante”. Altri riportavano il disegno di un arcobaleno con la scritta “Andrà tutto bene”. Il creatore di quest’ultimo logo probabilmente si trovava ora in una villa con vasca idromassaggio a godersi i miliardi di diritti d’autore.
Matteo si mise in sella e partì. Il posto di lavoro distava 5 km dal luogo in cui abitava. L’uso del cascovisore rendeva impossibile guidare un’automobile, per cui gli unici mezzi di trasporto utilizzabili in città erano la bicicletta o l’Optibus. Quest’ultimo era un autobus, lungo e dotato al suo interno di gabbiotti distanziati per ogni singolo passeggero, che era in grado di percorrere lunghissime distanze raggiungendo una velocità massima di 300 km/h. Poiché nessuno più guidava automobili, smog, inquinamento e riscaldamento globale si erano quasi azzerati: la pandemia, dopotutto, non aveva prodotto solo conseguenze negative. L’orologio del municipio cittadino batté le 08.00. Matteo era arrivato con la bicicletta davanti al cancello che portava al bianco e austero edificio in cui lavorava: una costruzione imponente e severa di stile razionalista, a forma di cubo e priva di tetti spioventi, edificata cent’anni prima. Sopra il portale d’ingresso era scolpita nella pietra la scritta “Prefettura – Ufficio territoriale del governo”. Sotto la scritta, la dicitura “Distanza è unità”.
Appoggiò il polpastrello del pollice su una superficie a cristalli liquidi collocata sul muro. Lo scanner epidermico riconobbe la sua impronta, unica e insostituibile. “Controllo temperatura corporea” declamò una fredda voce femminile da uno degli altoparlanti sopra il cancello. Matteo assunse una postura perfettamente dritta. Dalla superficie a cristalli liquidi uscì un caldo raggio a infrarossi che scandagliò il suo corpo. Dopo un minuto la voce femminile parlò di nuovo.
“Temperatura corporea pari a 36.5 °. Ottime condizioni di salute. Nessun segno sintomatico. Ingresso consentito”.
La cancellata si aprì. Entrò nel cortile interno dell’edificio. Era pieno di figure stilizzate e irriconoscibili che camminavano. Di lì a breve ciascuna di esse avrebbe preso posto in un ufficio. Matteo varcò una delle porte che davano sul cortile interno e salì le scale sino al secondo piano. Si trovò in un pianerottolo con molte porte. Si avvicinò a quella su cui campeggiava un cartello con la scritta “dipartimento riqualificazioni”. Altoparlanti collocati in tutti i corridoi declamavano la stessa frase: “se volete bene all’Italia, state distanti. Distanza è unità”. Ripetè il rito del riconoscimento attraverso lo scanner epidermico ed entrò in un angusto corridoio. Riconobbe sulla destra la porta del proprio ufficio, su cui era impressa la targhetta “Ufficio riqualificazioni n° XX – 54 D”. La aprì.
Il suo ufficio, come tutti quelli della Prefettura, era un ambiente piccolo, spartano e disadorno, dotato di un’unica porta – finestra che dava su un terrazzino. Al centro della piccola stanza si trovava una scrivania, circondata da una montagna di fascicoli che attendevano di essere controllati. Era giunta l’ora di togliersi finalmente il cascovisore e i guanti, non essendoci altre presenze umane oltre la sua. Matteo si sfilò l’apparecchiatura e si sedette sulla sedia a rotelle. La sua attenzione cadde sopra uno dei fascicoli che recava un post it giallo con la scritta “URGENTE”.
L’appunto indicava che la pratica doveva essere evasa entro le 12.30 di quella mattina. Matteo lavorava lì da otto anni e sapeva ormai interpretare perfettamente il linguaggio criptico dei propri superiori. Il voluminoso fascicolo era dotato di una copertina rigida giallo ocra, sulla cui intestazione vi erano le seguenti indicazioni:
PREFETTURA- UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO
Dipartimento riqualificazioni
Ufficio XX-54 D
Interessato: sig. Francesco Antonioli
Occupazione svolta sino al 22 giugno 2021: titolare di esercizio commerciale di ristorazione al grande pubblico (Trattoria e Pizzeria “La Romana”)
Stato attuale: in Cassa Integrazione Straordinaria dal 23 giugno 2021
Destinazione occupazionale: Corriere Annonario di fascia stipendiale F4, come da determinazione dirigenziale Prot. 9876/D
Oggetto: verifica regolarità della documentazione allegata
Il sig. Francesco Antonioli era uno dei tanti caduti sotto la Riqualificazione governativa. Con il D.P.C.M. n. 38 del 22 giugno 2021, tutte le professioni che implicavano socialità – ad esempio gestioni di palestre, ristoranti, esercizi commerciali e negozi, sport professionali di squadra – furono abolite. L’abolizione fu necessaria per preservare la Salute pubblica. Il governo tuttavia si rese conto che la disoccupazione dovuta alla scomparsa di queste professioni – all’epoca impiegavano almeno 45 milioni di cittadini italiani – avrebbe prodotto tensioni sociali. Le tensioni sociali, a lungo andare, si sarebbero trasformate in proteste contro il governo. Vero che i cittadini erano sempre stati obbedienti alla necessità di proteggere la salute pubblica, accettando spontaneamente misure che chiunque avrebbe considerato in tempi normali un obbrobrio. In questa situazione però era meglio non rischiare.
Gli scienziati della commissione governativa, infatti, avevano scoperto che la curva dei contagi può essere influenzata dall’instabilità politica del paese, esattamente come accadeva un tempo per i mercati finanziari. Con regolamento di esecuzione al D.P.C.M. 38/2021, quindi, tutti i titolari di professioni che comportavano socialità furono riqualificati in occupazioni utili ai fini della gestione dell’emergenza sanitaria: si trattava di corrieri postali, corrieri annonari per il cibo, impiegati pubblici in posti strategici, forze dell’ordine. In attesa del provvedimento di riqualificazione, che veniva adottato dalla Prefettura competente per territorio, si veniva collocati in Cassa integrazione straordinaria. La manovra non aveva precedenti. A più di quarant’anni dalla fine dei regimi comunisti nel continente europeo, lo Stato tornava ad essere creatore materiale di posti di lavoro, sulla base di una pianificazione biennale predisposta dai Ministri dell’economia e del lavoro.
Alcuni economisti poco avveduti avevano sostenuto che un simile modus operandi contrastasse con la scelta del libero mercato che il continente europeo aveva assunto dopo la fine dell’ultima guerra. Ovviamente ragionavano in modo approssimativo. La tutela della salute può e deve far venir meno ideologie economiche che si credono incrollabili. Sarebbe stato fin troppo facile obiettare che, senza persone in salute in grado di eseguire scambi, il libero mercato costituirebbe una mera illusione. Anche Matteo era stato colpito dalla riqualificazione. Sino al 22 giugno 2021 era stato titolare di una delle più rinomate librerie della città, che aveva aperto nel settembre 2016 dopo essersi laureato brillantemente in Lettere e filosofia. Di quel lavoro adorava soprattutto l’odore della carta stampata proveniente dagli scatoloni pieni di libri nuovi e la possibilità di contatto con le persone. La sua libreria era considerata uno dei posti più famosi in cui abbandonarsi ad interessanti discussioni su temi letterari, politici e filosofici.
Tutte cose di cui nessuno ora aveva più memoria. Da una decina d’anni, al posto della sua coloratissima libreria, c’erano due vetrine polverose coperte da giornali attaccati con nastro adesivo da pacchi. La riqualificazione aveva trasformato Matteo in un grigio burocrate dell’ufficio riqualificazioni, impegnato tutti i giorni a verificare la regolarità formale dei documenti fiscali e amministrativi concernenti i riqualificandi. La “promozione” non era avvenuta subito dopo la soppressione del proprio mestiere: aveva dovuto attendere un anno e mezzo in Cassa Integrazione Straordinaria, sino alla determinazione Prefettizia n. 1575/K del 22 dicembre 2022. I tempi della Pubblica amministrazione italiana erano quelli, e tutti lo sapevano.
Tutto sommato non si poteva lamentare. Alcuni, come il sig. Antonioli, avrebbero atteso 10 anni, e lo stavano facendo tuttora. Riqualificare 45 milioni di cittadini non era impresa semplice. Se c’era stata qualche voce di disappunto sui tempi tecnici necessari per la Riqualificazione, questa non aveva poi avuto seguito. Appariva infatti immorale e poco educato criticare le istituzioni che si prodigavano per salvaguardare la salute dei cittadini in un momento così delicato. Gli articoli o i saggi che rispondevano alle posizioni di critica all’esecutivo, solitamente finivano tutti con la stessa frase: