Se il ceto politico ha bisogno di una numerosa équipe di tecnici ed esperti (mi auguro poco costosa) per farsi raccontare che l’Italia deve diventare più reattiva, competitiva e “resiliente” c’è davvero di che preoccuparsi in vista delle drammatiche prove che ci attendono per l’autunno, quando la fase di ricostruzione dovrà pure iniziare e nuovi strumenti economico-finanziari essere approntati, anche per poter usufruire del sostegno europeo. I tecnici non servono né a ribadire ciò che tutti sanno occorrerebbe fare da almeno trent’anni, né a consolarci con gli “I had a dream” o “I can” (che stanno bene soltanto sulla bocca di politici-profeti, genere che non mi sembra abbondare). I tecnici servono a definire con sobrietà e precisione i limiti dentro i quali qualsiasi progetto politico è costretto a muoversi nel nostro Paese, e attraverso quali manovre, chiaramente individuate anch’esse, sia possibile rimuovere gli ostacoli legislativi, amministrativi, burocratici che bloccano il suo sviluppo.
La mancanza assoluta di qualsiasi stima quantitativa e l’assenza di qualsiasi impegno concreto, temporalmente scandito, per il superamento di quegli ostacoli, rendono del tutto superflua anche la discussione intorno a Documento Colao e Stati Generali. Tutto è così rinviato all’autunno, quando l’emergenza sanitaria non “coprirà” più impotenze o vuoti politici, cesseranno gli ammortizzatori bene o male messi in atto e il blocco dei licenziamenti. Allora, certo, non ci si potrà limitare a ripetere i mantra vanamente ripetuti da ogni governo fin dagli Anni 90 (ma anche prima): sostenibilità, equità, digitalizzazione, green economy. All’ “occorrismo” dilagante “occorrerà” sostituire il linguaggio delle decisioni più difficili, quelle fascinose parole dovranno essere tradotte in priorità e in cifre, con l’indicazione precisa delle coperture necessarie.
Facciamo un piccolo esercizio per mostrare con qualche esempio che cosa si intenda per “decisione”, termine che almeno dagli Anni 70 tende a essere rimpiazzato dalle infinite varianti del “primum vivere”. E’ certo che il rilancio della domanda non potrà ottenersi in tempi stretti, come necessario, senza un grande piano di opere pubbliche. Una vale l’altra? Bene anche scavare fosse e riempirle di nuovo? Il Ponte di Messina, “lanciato” verso una Sicilia senza ferrovia, vale come una decente infrastruttura lungo il Tirreno o l’Adriatico? Un bidone tipo Mose può servire come un investimento finalmente adeguato per la difesa dell’ambiente? Quali saranno, insomma, le “grandi opere” del futuro governo? E si pensa che una qualsiasi di queste possa realizzarsi in tempi storici con le attuali normative? È troppo chiedere, allora, come il governo intenda modificarle, affinché le buone intenzioni non continuino a lastricare la via per l’inferno? Altro esempio-chiave: formazione, scuola, ricerca. Come si addice a ogni buon “modernizzatore”,anche Colao e i suoi insistono sul ruolo fondamentale che questo settore riveste per qualsiasi Paese che non voglia arrendersi alla decadenza. Il governo ha un’idea di come far seguire qualche fatto alla lodevole predica? E non si tratta soltanto del livello degli investimenti in ricerca, che sono bassi, ma non insignificanti. Si tratta dell’assetto complessivo della nostra scuola e delle nostre università, dove reale autonomia non esiste, soffocate come sono da burocrazie statalistico-centralistiche, da assurde procedure concorsuali e da ancora più assurdi organi di controllo. E’ lecito chiedere se il governo intenda metter mano a tutto ciò o se invece ci divertiremo con l’ennesima “riforma” degli esami di maturità?
Più in generale: è certo che agli Stati Generali dilagherà la retorica sulla “cultura d’impresa” e i “modernizzatori” ricorderanno come essa latiti storicamente nel nostro Paese. Tutto bello, ma che significherà in concreto per il piano di ricostruzione? “Cultura d’impresa” significa salvare anzitutto le imprese. Se le imprese chiudono e falliscono – e se non si favorisce con massicci interventi soprattutto di ordine fiscale la nascita di nuove – nessuna difesa dell’occupazione è concepibile. E tuttavia l’esigenza sociale di massicci interventi semplicemente assistenziali si farà nei prossimi mesi ancora più prepotente di quanto non lo sia oggi. Come combinare quella priorità a questa esigenza? Si potrà anche calcolare in base alle risorse disponibili, ma prima di tutto il governo dovrà decidere la scala di priorità. L’aspetto tecnico segue alla decisione politica. E così anche per il reperimento delle risorse necessarie. L’Europa farà la sua parte più che in passato, ma non ci pagherà lo stratosferico aumento del debito. I politici dovranno ascoltare i tecnici migliori in merito a spending review, semplificazione, testi unici, ecc. Ma non basterà. Dire patrimoniale non significa nulla. Quale patrimoniale e per quali investimenti – questo è il problema. Nessuna decisione che sia tale è indolore per tutti, né può colpire tutti allo stesso modo. Populismi e demagogie hanno i giorni contati, come gli Stati Generali. Ma se al loro posto non emergeranno scelte coraggiose, coalizioni e ceto politico in grado di sostenerle per un lungo periodo, guariremo dal virus con l’Italia in rianimazione.