Contenitori da riempire

Il cuore degli Uffizi diffusi Il direttore Eike Schmidt racconta la maestosa Villa Medicea di Montelupo: «Un contesto perfetto per molte opere dei depositi e per un turismo slow»

Il riscatto dell’Ambrogiana, gran finale di un viaggio unico

«L’aria vi è perfettis-sima, perciocché i venti la fan cangiare di frequente; agevolmente dal piano si può far passaggio alle colline, e il vicino fiume accresce il bello della sua ben felice situazione; i non lontani monti offrono il piacere di graziose vedute, e di abbondante cacciagione».

Con queste parole, l’abbate Francesco Fontani nei primissimi anni dell’Ottocento descrisse la più grande delle ville medicee, l’Ambrogiana. Un edificio grandioso, di statura veramente reale — commisurata alle ambizioni del granduca Ferdinando I di dominare la Toscana tutta ed insieme di renderla una delle prime forze navali nel Mediterraneo grazie ai Cavalieri di Santo Stefano — è un monumento straordinario dell’architettura fiorentina del secondo Cinquecento, dello stesso architetto Buontalenti attivo agli Uffizi e a Boboli, per intenderci.

Oggi ha un aspetto purtroppo délabré , con l’intonaco che si stacca dalle pareti, eppure — per fortuna — la struttura è sana, e le alterazioni si sono limitate a delle aggiunte e agli infissi deprimenti che ne ricordano l’utilizzo, nell’ultimo secolo e mezzo, come manicomio criminale. Qui si spense nel 1910 il cuoco anarchico Giovanni Passannante, che 32 anni prima aveva attentato invano alla vita di re Umberto I. Era stato dichiarato pazzo per le sue idee universaliste: dopo la morte il cervello fu messo in formaldeide per studi lombrosiani, e successivamente (fino al 2007) venne esposto nel museo criminologico di Roma. Però l’Ambrogiana, luogo della sua reclusione, rimase chiusa al pubblico, finché nel 2017 — con quattro decenni di ritardo sulla legge Basaglia — l’Ospedale psichiatrico giudiziale fu finalmente chiuso e l’ultimo paziente lasciò la struttura. Oggi i lunghi tratti con le celle dell’ex nido di cuculo sono abitati da centinaia di piccioni, ma sotto il guano l’architettura cinque e seicentesca rimane intatta. E tra le erbe alte del giardino si intravedono ancora le forme delle aiuole raffigurate nella lunetta di Giusto Utens, mentre attraversando la giungla nella parte verso il fiume, tra nugoli di insetti vari si scorge l’ingresso alla grotta manierista, sorella di quelle celeberrime di Boboli. È un giardino incantato: e non importa che lo si guardi con un temperamento da gothic novel o da favola. All’interno della città metropolitana di Firenze dorme dunque un monumento di straordinaria bellezza, di importanza storica e artistica negletta ma unica nel suo genere: l’anello più prestigioso nella catena delle ville medicee. Immaginiamoci se in Francia il castello di Chambord fosse stato lasciato andare in rovina, col parco circostante devastato da erbe infestanti, o se questa incuria avesse colpito Alnwick in Inghilterra (il castello dei film di Harry Potter ), o ancora il castello di Heidelberg in Germania. Oggi abbiamo l’opportunità — e il dovere verso i contemporanei e i posteri — di salvare e resuscitare uno dei principali monumenti storici e artistici della famiglia Medici, e del Cinquecento europeo in generale.

Il recupero della grandiosa villa di Montelupo, con le sue quattro torrette monumentali che offrono viste mozzafiato, del Corridoio Ambrogiano che conduce dalla villa alla chiesa di Santa Lucia, del giardino e delle scuderie, non costituisce solo un enorme valore a sé. Infatti si guadagnerebbero oltre 20 mila metri quadri di spazi espositivi: il contesto perfetto per molte opere conservate nei depositi delle Gallerie degli Uffizi risalenti ai due periodi di massima fioritura dell’Ambrogiana, ovvero quello di Ferdinando I che l’aveva fatta costruire, e quello di Cosimo III e degli ultimi Medici. Alcuni dipinti — come le nature morte di Bartolomeo Bimbi, create appositamente per la Villa — potrebbero letteralmente tornare a casa.

Secondo il progetto del presidente toscano Eugenio Giani, la villa di Careggi presto racconterà gli inizi dell’umanesimo a Firenze e la committenza di Lorenzo il Magnifico e gli studi dell’Accademia Platonica. Essa servirà come punto di partenza per un percorso coerente attraverso tutte le ville medicee nei dintorni di Firenze. La maestosa Villa Ambrogiana, prediletta dagli ultimi Medici, costituirà l’apice e il grande finale di questo itinerario. Come insegnano i castelli della Loira, e come conferma il notevole successo di pubblico delle recenti iniziative espositive degli Uffizi ad Anghiari e a Poppi, una volta messe «in sistema» le ville medicee non saranno solo punti di riferimento per i cittadini, ma senza alcun dubbio — finalmente — saranno un’attrazione anche per i grandi flussi di turisti. Il fatto che l’Ambrogiana si trovi in una posizione strategica tra Firenze e Pisa (non a caso il luogo fu scelto da Ferdinando I, con il suo particolare interesse per il dominio sul mare) si rivela ideale per chi arriva e parte dagli aeroporti toscani, e lo stesso si può dire per il turismo portato dalle navi a Livorno. Per gli Uffizi sarà un impegno (e un onore) contribuire attivamente al risveglio delle ville e del territorio toscano tutto. Ma non ci fermeremo alla città metropolitana. Il riscatto dell’oppressione grazie all’arte, simboleggiata dalla trasformazione della villa a Montelupo da prigione e manicomio a museo e centro culturale, sarà un modello per tutta la regione.

Ed ecco un’altra ragione per cui gli Uffizi rivestono un ruolo centrale nell’operazione: da grande attrattore possono servire da prisma non tanto per deflettere ma per distribuire e diffondere, contribuendo così alla nascita di un turismo «slow», più sano per noi e per il pianeta, che unisca paesaggio e arte, e crei agiatezza per tutti.

Corriere Fiorentinocorrierefiorentino.corriere.it