ANALISI
L’impressione che si ha guardando le azioni in area di politica economica del governo è di gran confusione e ritardo. E la confusione genera incertezza sugli sviluppi economici futuri. E l’incertezza spinge imprese e cittadini a posticipare le decisioni di spesa, di investimento. Ne segue una stasi dell’attività economica peraltro confermata da quasi tutti gli indicatori disponibili. Sono di ieri le notizie della revisione verso il basso della stima di crescita per il terzo trimestre (-0,1, il primo segno negativo dal 2014) e dell’aumento del tasso di disoccupazione al 10,6 per cento in ottobre, il secondo aumento consecutivo. Confusione e incertezza. A partire dalla definizione del quadro di finanza pubblica che, ormai alle soglie di dicembre, resta ancora poco chiaro. Si era partiti in settembre con un deficit dell’1,6 per cento, almeno questo sembra essere la cifra che il ministro Tria stesse discutendo con la Commissione. Poi c’è stato l’annuncio del 2,4 per cento, la linea del Piave al di sotto della quale non si poteva scendere. Ora si parla di un 2,2 per cento. che fra l’altro sembrerebbe comunque insufficiente per evitare un giudizio negativo dell’Europa. Al più il giudizio potrebbe essere rinviato a primavera, certo meglio di una bocciatura, ma il clima di incertezza perdurerebbe. Come permane incertezza sulle principali misure coerenti con l’obiettivo di deficit. La minore crescita negli ultimi mesi rende già di per sé quasi irraggiungibile la crescita prevista dal governo per il 2019 (1,5 per cento) e le relative entrate (nonostante il cuscinetto prudenziale introdotto in tali previsioni). Inoltre le principali misure annunciate inizialmente dal governo sono state o eliminate (per ora) o restano a livello di bozza. Rientra nel primo gruppo la pace fiscale che da massiccia operazione di «saldo e stralcio» dei crediti fiscali non incassati dallo Stato è stata trasformata prima in un generoso condono di quanto non era stato dichiarato, poi in un condono che però non evitava le conseguenze penali e, infine, in una più modesta «terza rottamazione» delle cartelle e in una facilitazione per la risoluzione delle liti fiscali. Meglio così, da un punto di vista sostanziale (ci siamo evitati l’ennesimo condono tombale o quasi), ma resta l’impressione di un comportamento ondivago da parte del governo. Rientrano nel secondo gruppo le due principali misure di finanza pubblica del governo: il reddito di cittadinanza e la controriforma delle pensioni (la «quota 100»). Al momento, queste misure sono solo dei gusci vuoti. Il guscio c’è, sotto forma di stanziamenti per quasi un punto percentuale di Pil in totale, ma mancano i contenuti e restano domande fondamentali su come tali contenuti, se minimamente coerenti con le promesse elettorali, possano risultare anche coerenti con gli stanziamenti stessi. Prendiamo la quota 100. Quando scatterà la riforma? Come sarà possibile conciliare l’esigenza politica di avere una riforma permanente (e che non riguardi quindi solo il 2019) con il fatto che gli stanziamenti previsti restano praticamente invariati tra il 2019 e i due anni successivi? Quali sono le implicazioni di lungo periodo della riforma? I parametri della quota 100 resteranno invariati nel tempo o saranno collegati agli sviluppi demografici, in particolare all’aspettativa di vita? E quale sarà il taglio delle pensioni corrispondente al pensionamento anticipato? La confusione, se è possibile, aumenta quando si passa al reddito di cittadinanza. Chi ne beneficerà? Ora si parla di cinque o sei milioni di tessere. Ma lo stanziamento previsto per il 2020 (prendo questo per valutarne a pieno l’effetto sui 12 mesi) è di circa 8 miliardi. Questa cifra divisa per, diciamo 5 milioni e mezzo di tessere, comporta una spesa per tessera di 1450 euro circa. 1450 euro all’anno, ossia 120 euro al mese. Ma il reddito di cittadinanza non doveva essere di 780 euro al mese? Ora, è vero che il reddito di cittadinanza è un’integrazione al minimo, per cui molti riceveranno meno, ma il divario tra 120 e 780 euro sembra molto elevato. E quali saranno i paletti (per esempio in termini di offerte di lavoro che si possono rifiutare) che dovranno essere rispettati per ricevere il reddito di cittadinanza? Nessuno lo sa. Si potrebbe andare avanti ricordando, per esempio, la confusione che regna nel campo delle grandi opere (solo per il Tap si è presa una decisione). Ma fermiamoci qui. Il punto è che questo clima di incertezza induce a posticipare le decisioni economiche, tanto quelle di consumo quanto quelle di investimento. Questo, combinato all’aumento dello spread, che certo non fa bene all’economia, spiega l’interruzione (se va bene) della crescita nel terzo trimestre. Non mi meraviglierei se il segno restasse negativo nel quarto trimestre. Un’ultima domanda: perché questa incertezza? In parte deriva dalla difficoltà di riconciliare promesse elettorali irrealistiche con la realtà dei fatti. In parte dalla strana natura di questo governo, che viene tenuto insieme più da un’avversione verso l’establishment passato che da una condivisione della visione per il futuro. Quanto possa essere forte questo collante resta parimenti incerto, aggiungendo all’incertezza economica una incertezza politica.