Jack Lang, ministro simbolo durante la presidenza Mitterrand, ricorda la rivoluzione della gauche al potere. A quarant’anni da allora
Anais Ginori
PARIGI
“Dovrei scrivere le mie memorie ma non riesco, la sola idea mi dà noia”. La gauche vive giorni di amarcord con l’anniversario della vittoria di François Mitterrand nel maggio 1981, ma Jack Lang, che pure si trova al centro di omaggi, articoli e libri sulla rivoluzione che portò da ministro della Cultura, osserva le rievocazioni con un certo distacco. «Non oso abbandonarmi alla nostalgia, preferisco farmi trascinare dal piacere del presente» commenta, porgendo il catalogo della mostra “Divas” che sarà inaugurata la prossima settimana all’Institut du monde arabe. È dal 2013 che Lang dirige il centro culturale progettato da Jean Nouvel. «Fu uno dei primi cantieri che lanciammo con Mitterrand » ricorda. In Francia esistono due ministri della Cultura rimasti nell’immaginario: André Malraux, l’intellettuale gollista che battezzò il dicastero nel 1959, e il socialista Lang che ha reinventato il sistema d’Oltralpe, creando musei, teatri, feste, nuove istituzioni. Ancora oggi è una delle eredità più forti del doppio settennato di Mitterrand.
Il ministro allora quarantenne, cresciuto nel teatro d’avanguardia del festival di Nancy, avanzò a tappe forzate, sfidando conformismi e rigidità burocratiche, tempestando di richieste il leader socialista, come testimoniano note e appunti dei suoi anni al governo ora raccolti nel volume curato da Frédéric Martel ( Jack Lang, une révolution culturelle ).
«Sapevamo che le cose più difficili bisognava farle immediatamente, senza perdere un attimo» spiega adesso. In quella tarda primavera del 1981 c’era un misto di euforia e spavento, la destra era colpita ma non affondata e paventava l’invasione dei carri armati russi in place de la Concorde. Lang aveva ottenuto subito da Mitterrand fondi raddoppiati per la Cultura e impose il trasloco del ministero delle Finanze che occupava un’ala del Louvre. «Una volta portai Mitterrand davanti al museo e gli mostrai lo scempio delle auto blu che sfrecciavano tra i visitatori». Il neoministro si era poi scagliato contro le grandi catene commerciali che volevano scontare la letteratura. Nacque così il prezzo unico del libro, riforma che ha permesso alla Francia di avere uno degli ecosistemi culturali più potenti d’Occidente.
«Ogni volta mi sentivo come il piccolo Davide contro Golia». Fu l’inizio dell’eccezione culturale poi allargata al cinema sempre in deroga alle regole del mercato e con un protezionismo rivendicato. «Intendiamoci: ho sempre detestato lo sciovinismo. Sono un universalista. Era un sistema protetto ma aperto a tutti.
Ricordate quanti film italiani sono stati coprodotti?».
Lang è passato alla storia come l’avversario dell’imperialismo statunitense. «La mia non era una visione anti- americana, anzi speravo che altri governi europei avrebbero seguito il nostro esempio per tutelare la libertà di creazione».
Una strana coppia, Lang e Mitterrand. «Non ho mai conosciuto un altro uomo di Stato con una tale passione per la cultura» racconta l’intellettuale ottantenne. Con un viso largo ed espressivo, sembra una maschera di Goldoni. «Mitterrand non era solo colto, ma penetrato dall’arte, la letteratura, il cinema». Prima dell’elezione presidenziale, Lang aveva invitato il leader socialista a una conferenza a Hyères, nel sud, dal titolo profetico: salvare i cinema in Europa. «C’erano Ettore Scola, Marco Ferreri e tanti altri». Mitterrand li conosceva tutti. Era un assiduo lettore di Leonardo Sciascia e in passato aveva avuto un progetto di libro su Lorenzo Il Magnifico, chiedendo a Giovanni Spadolini di vedere degli archivi a Firenze. «Aveva un rapporto sensuale con l’Italia, era la sua patria d’elezione come François Ier».
Scorrendo note e appunti sui dieci anni passati alla Cultura appare un’energia vulcanica. Lang non era mai a casa, passate le serate a teatro, non perdeva un’inaugurazione, coccolava artisti come figli e fratelli, si batteva ossessivamente per i suoi progetti, dal parco della musica alla Villette all’Opéra Bastille per cui non condivideva la scelta dell’architetto. A un certo punto ha anche sognato di creare un ministero della Bellezza e dell’Intelligenza, nel quale potessero convogliare altri dicasteri come Istruzione, Ricerca scientifica, Comunicazione.
Con Mitterrand si scontrò sul lancio de La Cinq di Silvio Berlusconi. Era Bettino Craxi, ricorda oggi, che aveva presentato l’imprenditore brianzolo al presidente francese in vista delle elezioni politiche del 1986. «Craxi ci suggerì di creare un’emittente nostra prima che Chirac vincesse». L’allora ministro della Cultura minacciò le dimissioni nell’ipotesi di una deregulation in favore della nuova tv commerciale. «Il mio incubo era ripetere quello che stava accadendo in Italia. Avete avuto il più grande cinema del mondo dopo gli americani. E in qualche anno Craxi e Berlusconi l’hanno distrutto».
Nella mostra allestita a Bastille per ricordare la vittoria della gauche c’è una foto di Lang con Giorgio Strehler. «L’amore della mia vita » confida. Lo chiamò per guidare il Théâtre de l’Europe. Più di dieci anni dopo è stato Lang a dirigere il Piccolo di Milano quando Strehler entrò in rotta con la giunta leghista. «Mi chiamò Veltroni (allora ministro della Cultura, ndr) per convincermi ad accettare. Non chiesi una lira per l’incarico, volevo essere indipendente, mi sentivo un casco blu culturale». Strehler alla fine è tornato. «Purtroppo era ancora ferito ed è morto poco dopo». Lang ha passato un mese in Italia l’estate scorsa.
«Sono rimasto colpito dal fatto che le nuove generazioni non conoscono questo grande maestro del teatro, immenso quanto Brecht ». «Ottimista inossidabile», così si definisce, ha inviato una lettera a Emmanuel Macron il 27 aprile scorso per incitarlo a immaginare un New Deal. Nel 1929 il presidente Roosevelt, spiega, aveva messo al centro del rilancio un importante pilastro culturale. «Con Mario Draghi — osserva — c’è una nuova chance da cogliere per l’Europa». Anche se Lang è nato vicino alla frontiera tedesca, è convinto che la Francia sia naturalmente portata a guardare verso il Mediterraneo.