” Comincerò con gli auguri di Natale.. ” di Angelo Maria Ripellino (1968)

 

‘’…Delicatamente viene a emergere, lungo le ultime quattro raccolte poetiche di Ripellino, anche una linea ‘privata’…Si affaccia occasionalmente, fra le poesie, una voce di timbro femminile che si rivolge all’autore e lo ragguaglia, con un affetto venato di crescente dolore, su eventi lontani… È la squisita cortesia di Ela Hlochová Ripellino a chiarire come queste poesie nascessero in calce alla corrispondenza intrattenuta da lei e suo marito con una comune amica di gioventù, l’attrice Zora Jiráková …
Il taglio intimo e la sommessa eleganza con cui le lettere di Zora in arrivo a casa Ripellino trattavano le circostanze dei giorni, quasi ‘imponevano’ ad Angelo di ritradurle in quella veste lirica che sembrava attendere d’essere liberata di sotto il piano dettato della prosa. La prima di queste ‘poesie epistolari’ è la n. 41 di Notizie dal diluvio:

Comincerò con gli augùri di Natale o col chiedervi
come state dai giorni delle vacanze lontane?
Il tempo è fuggito così celermente,
che la sua fuga mi riempie di mille inquietudini.
Ma se mi volgo a guardare, non posso stupirmi:
confusione in teatro, mal di denti, influenza,
viaggi a Pilsen, due case da mantenere,
letture alla radio, récitals di poesie,
urti di nervi, eterni turbamenti.
Eppure dovrei aver messo ragione
e non prendere tutto così sul serio,
come un cavallo che inombra a ogni svolta.
Scusami questo improvviso, non c’è rimedio,
e la mia professione è ancora il mio debole.
Non considerarmi però una Pazza di Teatro,
perché altre cose mi incantano, fuori del palcoscenico.
È sabato e, come una volpe nella creta rossa,
mi vòltolo dentro le pagine della tua «Alvernia»:
strano week-end su un calvario, a ogni pagina
con mezzi iniqui e perfidiosi mi fai piangere.
E a me sembra di esistere molto a spropòsito
e di recitare i miei futili giorni di fianco,
come affermava quel vecchio bacucco rabbino.
E adesso del comico. Se la preistoria
ti dice qualcosa, apri bene le orecchie:
dopo trent’anni ho incontrato Eiselt, il medico.
In quell’attimo di batticuore e di nebbia mi è parso
che la vita tornasse al suo punto di avvìo
e che sia proprio inutile che essa continui.
Quando con tutti i sensi, e col sesto, ti accorgi
che una sembianza svanita è di nuovo
duramente reale e la vecchia ferita,
la dolce, l’ubriaca ferita di nuovo è aperta,
ti metti a ridere come una Pazza di Teatro.
E guardi come un leone,
direbbe Michaela. E ti avvolgi in un plaid,
perché fa freddo, terribilmente freddo, si gela.

La lettera che l’ha generata è con evidenza scritta in occasione delle vacanze invernali: Zora fa riferimento alla lettura della precedente raccolta poetica di Ripellino, La Fortezza d’Alvernia, uscita presso Rizzoli (finita di stampare «nel mese di aprile 1967»). Non si coglie invece alcun accenno all’invasione sovietica della Cecoslovacchia (agosto 1968), che dominerà le poesie immediatamente successive di questa serie…
Zora stessa, all’inizio della poesia raccorda l’imminente Natale ai giorni ormai lontani delle vacanze estive. È anzi questa considerazione sull’ampiezza dell’intervallo trascorso dall’ultima occasione di conversazione, personale o a distanza, a introdurre quello che è uno dei temi principali di questa lirica, nonché uno degli spunti più cari alla sensibilità dell’attrice: la fugacità del tempo. Il frenetico accavallarsi degli impegni e dei piccoli ostacoli della vita quotidiana ne impedisce una piena fruizione. Eppure talora si apre uno spiraglio da dedicare a qualche cosa d’altro, alle amicizie, alle letture: ecco dunque entrare in scena il tema dell’«Alvernia». Zora legge ‘in diretta’ sotto i nostri occhi le pagine dolenti in cui Ripellino ha fermato nei versi la sua lunga e disperata degenza, sospesa fra la vita e la morte, nel sanatorio di Dobříš, trasfigurato in «Fortezza» di una fantastica e desolata landa: «strano week-end su un calvario, a ogni pagina/ con mezzi iniqui e perfidiosi mi fai piangere». L’attrito con il dolore altrui induce quasi un senso di colpa in chi vive da sano; e, per – teatrale – contrasto rispetto ai referti di questa situazione tragica, Zora introduce «del comico». Si tratta tuttavia di un comico tutt’altro che aperto al sereno (la stessa risata che lo segue è una risata da «Pazza di Teatro»): l’improvviso incontro, dopo trent’anni, con un antico amore. La pretesa comicità della situazione si sfarina così in un «attimo di batticuore e di nebbia», che riavvolge il nastro del tempo e ribadisce il senso di smarrimento di fronte a una vita apparentemente priva di senso. Con rigorosa coerenza, la poesia svaria su una menzione occasionale di Michaela – la figlia nata lungo un diverso itinerario esistenziale – e va a concludersi sulla mestissima nota «fa freddo, terribilmente freddo, si gela».
(da Notizie dall’inverno: una voce da Praga nei versi di Ripellino di Alessandro Fo in L’ora di Praga ed. Le Lettere)
Foto di Josef Sudek | Prague Motiv, bank of the Vltava (1963)

 

 

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