A proposito di esperienze toscane
Di esperienze, aggregazioni e liste all’insegna del civismo si contano parecchie in Toscana. Sarebbe utile disegnarne una mappa e indagarne natura, composizioni, esiti. Civismo è categoria vaga, poliuso. C’è una certa reviviscenza anche delle sardine che paiono voler replicare l’exploit emiliano. Ognuno interpreta la parola a suo piacimento. E non mancano candidati che si qualificano seccamente “civici”. I movimenti nati dopo la cesura provocata dal ciclone di Mani Pulite, che ci tengono fregiarsi della qualifica hanno tratti nuovi rispetto al “Melone” triestino del 1978 o a “La Rete” intessuta da Leoluca Orlando. Furono, quelle, formazioni a guida personalizzata ed esplicitamente tese a conquistare rappresentanza in alternativa ai partiti tradizionali e assunsero strutture di taglio partitico. O addirittura nacquero dandosi come meta la confluenza in partiti di tipo nuovo. Iniziative più recenti, moltiplicatesi all’inverosimile, son nate dall’irreversibile crisi dei modelli di partito di massa affermatisi nel Novecento. Si è fatto strada anche un civismo che non è errato definire politico. Un civismo che punta a ricostruire un senso di appartenenza comunitaria alimentato da valori e obiettivi non sorretti da ideologie totalizzanti, ma da visioni laiche, limitate, focalizzate su specifiche questioni. Con quale frequenza ha preso forma? Quali rapporti ha con quel che resta della società politica? Quali distinzioni saltano agli occhi? Il civismo è termine ambivalente: può prendere due strade. O s’impegna nel costruire nuovi metodi di partecipazione alla politica o alza la bandiera di un’antipolitica nemica (almeno a parole) di qualsiasi contaminazione o dialogo, magari autoritaria e erede dei tratti peggiori di quanto si dice tramontato. Tra le due strade non c’è una separazione insormontabile, ma la divaricazione è sostanziale. Il civismo che può contribuire ad un rinnovamento etico e metodologico in grado di spingere alla riforma effettiva di una politica in frantumi può, a sua volta, o scegliere di radicarsi nella società civile o farsi componente istituzionale stabile di un’alleanza di governo o di un fronte d’opposizione. E non è vero ciò che molti teorizzano, cioè che il lavoro per dare voce ad una “cittadinanza attiva” non ha nulla a che fare con un civismo immerso nelle contese politiche. Definire programmi che si giovino di energie culturali giovani e di elaborazioni professionali sottratte all’astrattezza degli slogan propagandistici è il mezzo migliore per gettare le basi di una gestione della cosa pubblica non sottomessa a fruste spartizioni, sia in una giunta che al governo centrale. Non c’è da scandalizzarsi se si fanno sulla scena, interpretando un civismo autentico, persone che, senza furbeschi collateralismi, promuovono un ceto dirigente realmente innovatore. «Il civismo politico – ha osservato Stefano Rolando presentando un suo volume dedicato al tema (2015) –, al netto di alcuni suoi limiti e difetti (contraffazione, riciclaggio di vecchia politica, iper-localismo che non fa percepire nessi causali con macro-fenomeni, eccetera), ha diritto di esprimersi come alternativo alla democrazia dei partiti ma deve avere anche l’intelligenza di crescere in condizioni di tallonamento critico e, come sostiene da anni Pierre Rosanvallon, teorico del ruolo del controllo e della protesta per salvare la democrazia, in modo da partecipare alle forme di valutazione e controllo interne alle istituzioni e quindi collaborare con la democrazia dei partiti allo scopo di aiutarne la rigenerazione». Se non che in Toscana abbondano fenomeni che sono la caricatura di una benefica volontà civica. Non di rado si qualificano civiche liste o sigle che sono portavoce di interessi corporativi e si comportano come piccole lobbies affaccendate in interessatissime pressioni. La proclamata ansia civica si scopre in molti casi essere un’ambigua mascherina del cinismo italico. Che in una sua parte è diventato o diventerà, sì, politico, ma nel senso più decrepito dell’attributo: una stampella strumentalizzata da quel che resta di spezzoni partitici o da ciò che ribolle in rissosi nuclei nati dalla crisi per offrire un (non gratuito) aiuto ad un ingannevole trasformismo. C’è civismo e civismo. Se so guarda al caso Siena, ad esempio, l’esperienza di “Per Siena” – associativa e istituzionale – ha assunto un ruolo chiaramente politico, svolge una penetrante opposizione ricca di contenuti al punto da essersi conquistata pressoché un ruolo di autorevole leadership. Non altrettanto direi per liste civiche come “Voltare pagina”, anche se le si deve riconoscere una buona dose di coerenza e, insieme, un’ermetica chiusura entro appassionate tematiche localistiche. È essenziale considerare, al di là della nobilitante etichetta, la credibilità delle persone e verificare la coerenza degli intenti è essenziale per giudicare, distinguere e scegliere. Soprattutto nelle frenetiche vigilie elettorali.
Roberto Barzanti
Una versione lievemente ridotta dell’articolo è stata pubblicata
sul “Corriere Fiorentino” del 27 agosto 2020